ARMORED SAINT

Symbol Of Salvation

1991 - Metal Blade

A CURA DI
ANDREA CERASI
10/04/2016
TEMPO DI LETTURA:
9

Introduzione Recensione

Il rientro alla "Metal Blade" ha il sapore di un sorta di redenzione ed è accolto dal pubblico in modo favorevole. Si tira un sospiro di sollievo, perché l'intera parabola di questa sfortunata ma enorme band ha del miracoloso. Eh, sì, perché esattamente fino a pochi anni prima (siamo nel 1991) gli Armored Saint erano letteralmente con l'acqua alla gola, indebitati e snobbati da molti a causa del pessimo trattamento ricevuto per quattro lunghi anni dalla "Chrysalis" (per giunta con tre album in studio poco pubblicizzati e quasi boicottati dalla casa stessa), il cui comportamento ne danneggia irrimediabilmente l'immagine; e invece, proprio nel 1988 e dopo numerose vicende burrascose, debiti accumulati, scazzi con i produttori e litigi tra membri, ecco che ha inizio la vera (e breve) ascesa del combo statunitense. I ragazzi cominciano a recuperare fiducia e speranze di successo e, senza perdere troppo tempo, registrano un mini live (che abbiamo avuto modo di esaminare proprio sulle pagine di R&MIMB) le cui tracce sono estrapolate dalle date intraprese come spalla agli Helloween, pubblicandolo col titolo di "Saints Will Conquer" e battezzando così il nuovo contratto discografico. Grazie al nuovo contratto, il live viene distribuito ovunque e vende benissimo, dimostrando a tutti che una seria e fedele etichetta alle spalle è fondamentale per il successo di un gruppo, tanto che nel giro di un solo anno gli Armored Saint sono sulla bocca di tutti e si preparano, in tutta tranquillità  e serenità, a conquistare il mercato americano e a imporsi tra i maggiori esponenti del cosiddetto U.S. Power Metal. Finalmente è giunto il tempo di togliersi qualche piccola soddisfazione, eppure i problemi non sono ancora finiti: l'instabilità regna sovrana all'interno del combo newyorkese, ed infatti il batterista Gonzo Sandoval decide di abbandonare momentaneamente il gruppo per motivi personali. Viene sostituito da Eddie Livingstone, mentre a supporto di Dave Prichard viene arruolato il chitarrista Jeff Duncan. Con questa formazione rivisitata, gli Armored Saint si imbarcano in un tour mondiale in compagnia di King Diamond. Nell'autunno del 1989, con il rientro non solo di Gonzo ma anche di suo fratello Phil Sandoval (cacciato molto tempo prima), la band torna alla formazione originale, recuperando stabilità e serenità, ma soprattutto grinta per concepire nuovo materiale. Purtroppo, la cattiva sorte si accanisce ancora una volta contro i musicisti e, non appena questi fanno ritorno in studio, a Prichard viene diagnosticata la Leucemia, fulminante malattia che lo porta via in poco tempo (nel febbraio 1990). Ciò pone l'ennesimo punto interrogativo sul futuro degli Armored Saint, che si ritrovano ancora una volta in un mare di incertezze che ne minano la stabilità e che sembrano destinarli allo split definitivo. Ma nel momento più buio, grazie all'amore dei fans, nonché alla pressione dell'etichetta, la band viene rincuorata e "costretta" a proseguire le registrazioni proprio con Jeff Duncan nella parte del suo illustre predecessore. Il 14 maggio del 1991, tra il clamore generale, l'imponente "Symbol Of Salvation" vede la luce, sbalordendo un po' tutti gli addetti al settore. La nuova opera, la quarta per la band, ha origine dal caos, risultando un lavoro che è frutto di dolore ma anche di determinazione nel voler consegnare il proprio testamento alla scena musicale mondiale. Le basi composte dal compianto chitarrista, che sono ben otto, vengono riprese e rielaborate da Duncan e da Phil Sandoval, ma la sensazione generale è che lo spirito di Dave Prichard sia ancora lì, nelle tracce che compongo l'album, e che aleggi nella musica mai così matura come in questo caso. "Symbol Of Salvation" è considerato da (quasi) tutti il miglior prodotto mai partorito dalla band, e in un certo senso ciò è vero: in questo episodio tutti lavorano al massimo delle proprie capacità, a cominciare dalla produzione, affidata a Dave Jerden (già collaboratore di gruppi come Alice in Chains Jane's Addiction). Essa risulta essere a dir poco valida, scintillante, senza scordarsi dei singoli membri del gruppo, i quali si spingono oltre ogni loro limite per creare un qualcosa di stupefacente, onorando così la memoria del loro compagno scomparso. Le fatiche e l'impegno vengono ricompensati, visto che il disco vende bene (meglio di tutti gli altri), raggiungendo le classifiche con due splendidi singoli ("Reign Of Fire" e "Last Train Home") e gli elogi da parte della critica si sprecano. Ce n'è voluto di tempo, ma proprio in extremis, sia perché siamo alla fine dell'epoca classica del metal, sia perché siamo alla fine della prima fase della band. Gli Armored Saint raggiungono lo status di band importante, fondamentale per l'evoluzione di un genere di Metal, uscendo dal sottobosco metallico e consegnando il proprio nome alla storia.

Reign Of Fire

"Reign Of Fire (Regno Di Fuoco)" è il primo singolo dell'album, corredato persino da un bel videoclip entrato nelle classifiche americane, ed ha il compito di rappresentare l'anima di questa opera e di introdurci nella nuova fatica firmata Armored Saint. Heavy metal martellante dalla potenza inaudita scuote le casse grazie alla dinamicità della sezione ritmica che strizza l'occhio al thrash metal con una serie di riffs vorticosi, pesantissimi, accompagnati da un Gonzo Sandoval, dietro le pelli, in stato di grazia. Le direttive dello scomparso Dave Prichard sono ben riprodotte dai due axe-men che si alternano per tutto l'album, con l'idea di creare il disco più potente della carriera. La violenza espressa parla da sé, evidenziata da una produzione eccellente che ne mette in risalto i piccoli particolari disseminati qua e là, suggerendo che siamo di fronte a un lavoro più complesso di quanto possa sembrare, nonostante la durata media dei singoli pezzi sia piuttosto breve. Ma la classe e la tecnica della compagine sono al massimo livello, i cambi di tempo di succedono insistentemente, facendo tesoro del coraggio sperimentale accumulato col grandioso "Delirious Nomad" ma conservando onestà e cuore tipicamente Armored Saint. Gonzo è scatenato ma anche Joey Vera, uno che ne sa di tecnica e di eleganza, sorprende per la maestria con cui dirige l'andamento grazie al suo basso corposo che sembra messo in disparte per favorire il riffing ruggente delle chitarre ma che in realtà dà solennità al brano. Infine, John Bush esordisce al microfono proprio sugli intrecci chitarristici di Duncan e Phil Sandoval; la sua voce è feroce e velenosa, dotata di una passione e di un'energia che pochi cantanti possono vantare. La strofe sono dense, figlie del precedente "Raising Fear", stanziate su una valanga di soluzioni chitarristiche dettate proprio dal compianto Prichard tanto che abbiamo almeno tre cambi di tempo in ogni singolo strofa. Si giunge in fretta al ritornello, in pieno stile Saint, composto da una quartina poco melodica e molto oscura che, nonostante tutto, si stampa subito in mente grazie alla freschezza di cui è dotato. Tra fraseggi importanti, urla disumane di Bush e sezioni di basso si giunge al bridge, questo abbastanza melodico e sostenuto dalla batteria che ne detta l'elegante cambio di tempo per poi lasciare spazio allo strepitoso assolo di Sandoval eseguito sopra una serie di riffs di Duncan che irrobustiscono la musica e che terminano con un secondo solo suonato da quest'ultimo. Acciaio puro per la gioia di tutti i metallari del mondo, una canzone preziosa, imponente, in grado di rappresentare l'anima nera della band e del disco ma anche la classe di questi cinque giovani ragazzi. Il testo è cupo quanto sintetico (e non può essere altrimenti, nel quale si accenna a un mondo apocalittico, il regno dell'inferno, divorato dalle fiamme e dalle lacrime per la guerra in corso. Ma è un mondo fittizio, interiore, la guerra è interna nell'uomo, esplode direttamente nell'animo, nel cuore e nella mente, la cui parola d'ordine è caos, come quello che sta attraversando la band nel momento in cui esce "Symbol Of Salvation". Infatti, le liriche sono metafora preziosa di una situazione instabile e dolorosa che colpisce i nostri per tutto il 1990 e il cui leitmotiv è tetro, infernale, ma anche sintetico. Sintesi tradotta nella brevità del minutaggio e di un testo conciso. 

Dropping Like Flies

"Dropping Like Flies (Cadendo Come Mosche)" si distacca dal brano di apertura grazie a un atteggiamento più sornione, mascherando la vena critica con un'attitudine sarcastica e quasi scanzonata e con un ritmo di scuola hard rock costruito più sulla genuinità che sulla velocità di esecuzione. Sembra quasi una canzone street metal, ricorda vagamente qualcosa da "Appetite For Destruction" dei Guns n' Roses perché si poggia su chitarre incendiarie dai connotati hard 'n' roll che allentano la presa e puntano sulla melodia, ben tratteggiata nell'arioso refrain, dimostrando che si può essere cattivi anche su ritmi meno feroci. Bush divora le quartine, queste hanno il pregio di mettere in mostra la sua grande versatilità e il suo splendido timbro, un po' sporco e potente che punta su uno spettro vocale medio-alto senza mai lanciarsi in acuti e falsetti tipici delle band heavy/power americane. In breve si giunte al break centrale, dove la scena è dominata non solo dal vocalist ma soprattutto dalla batteria di Gonzo e dal basso di Vera che mettono in scena un duello da brividi dando sfoggio delle proprie capacità tecniche, per poi dare il via al solo di Phil Sandoval, rientrato alla grande nel gruppo dopo un'assenza di cinque anni. Infine, rientra il chorus e si prosegue con un secondo assolo, questa volta eseguito da Jeff Duncan e il tutto sfuma nel silenzio. È interessante notare che il pezzo prende quota col passare dei minuti, la prima parte, più improntata sull'hard rock si irrobustisce progressivamente per terminare nell'heavy classico che noi tutti conosciamo e che ci aspettiamo dai nostri. Decisamente una traccia riuscita, che prepara il campo per il terzo cambio di stile, facendo un percorso discendente verso sonorità più morbide e suddividendo l'intera opera in tre sezioni che vanno dal brano più potente e veloce a quello più delicato. Prima di proseguire dobbiamo però soffermarci sull'aspro testo di "Dropping Like Flies", ossia una critica a tutti gli ipocriti del mondo che hanno messo i bastoni tra le ruote ai cinque ragazzi di Los Angeles. Qui torna la tematica della rivincita, la vendetta del Santo Corazzato, riprendendo un discorso vecchio che affonda le sue origini nel primo album "March Of The Saint". I bastardi che governano il mondo, i potenti corrotti, i nobili nullafacenti sono solo la feccia della società, il male eterno dell'universo, ma il tempo schiaccerà anche loro come mosche e già si nota la paura nei loro occhi e le gambe pronte a fuggire, o meglio a strisciare invocando il perdono. Ma il Santo Corazzato è il cavaliere della giustizia e non avrà pietà alcuna. Giustizierà i potenti e salverà gli innocenti, perché la filosofia della band, tradotta nell'icona del cavaliere, è lotta alla corruzione civile e critica alla società moderna.

Last Train Home

Arriva la parentesi soft con "Last Train Home (Ultimo Treno Per Casa)" dove però non ci troviamo in territorio ballad ma che si rivela un lento dal sapore oscuro e dai tratti mistici costruito su bellissime linee di basso e arpeggi esoterici che affascinano non poco. Gonzo introduce con potenza il brano, pestando come un dannato con l'accompagnamento dell'ascia di Duncan che si divincola subito in un breve assolo, poi il ritmo si smorza dopo pochi secondi e arriva l'arpeggio di Phil Sandoval che dà il via al primo verso, cupo e cadenzato, una perla di poesia nera che procede sotto i colpi irrequieti del batterista e sui muscoli pompati del basso di Vera fino al magnetico chorus che si appiccica addosso e non va più via, intonato da un Bush dannatamente perfetto. Non a caso questo è il secondo singolo scelto per rappresentare l'album, decorato con un videoclip semplice ma toccante, girato in una stazione ferroviaria, che sarà anche il maggior successo commerciale degli Armored Saint, restando a lungo nelle classifiche e conquistando posizioni interessanti sia negli U.S.A. che in Europa del nord. Il break diventa ancora più cattivo grazie ai riffs dei due chitarristi, i quali si alternano in due assoli davvero spettacolari che accelerano il ritmo generale del pezzo. La coda finale vede ancora l'arpeggio immaginifico che fa ricominciare il brano, spegnendo la frenesia accumulata, per poi dare origine a un mid-tempo dominato dalla calda voce del singer che si inerpica nella ripetizione del ritornello con l'aiuto di una sezione ritmica attenta e funzionale. Il testo identifica bene la posizione della band nel 1991, ovvero un combo scosso dal lutto del proprio chitarrista, infastidito da un passato difficile che lo ha allontanato dal successo duraturo nonostante la bravura dei singoli musicisti e soprattutto l'incertezza nel futuro stesso del gruppo all'alba dell'esplosione del grunge, dei cambiamenti culturali dell'epoca e della poca volontà di proseguire il cammino con questo moniker. Si tratta di un brano profondo, uno dei migliori mai scritti dalla band, carico di malinconia e di sofferenza. L'ultimo treno per casa è quello del cambiamento, che arriva veloce portando con sé un vento gelido, nuvole chiare, una folla accalcata nei convogli e uno spirito solitario. Bisogna decidere se rimanere gli stessi e andarsene oppure salire sul treno e accettare di cambiare. Intanto le voci provenienti dai passeggeri sussurrano il nome del protagonista, lo invitano a prendere parte a questo ultimo viaggio, poiché la vita è costituita da incroci, da bivi che ognuno di noi è costretto a prendere. Il tema del cambiamento è un po' la parabola di questa grande band. 

Tribal Dance

"Tribal Dance (Danza Tribale)" è la traccia più sperimentale del lotto, una sorpresa ben accolta da tutti poiché mostra un gruppo affiatato e che si mette in gioco. Gonzo si diletta ai tamburi, proiettando il pubblico in una terra arida del centro America accanto a uomini primitivi, rendendolo parte di questa danza ancestrale. Emerge il basso di Vera, ha un suono strano, quasi jazz, dunque ecco che arrivano le chitarre a potenziare il tutto e Bush si lancia in un grido arcigno. Il riffing è serrato, così come i versi molto sporchi e cosparsi di polvere. Sono proprio questa aria polverosa e la strumentazione che sa di ruggine gli aspetti caratteristici del pezzo, trasmettendo un qualcosa di antico, un rituale magico intorno a un idolo di legno, magari per far piovere o chissà cosa. Il ritmo è sinuoso, molto sensuale, cattura sin dal primo ascolto, le strofe sono brevi ed energiche e in un baleno si trasformano in refrain potenti e basati su una sezione ritmica dall'istinto thrash metal. La sezione centrale è pura adrenalina, incentrata sul basso di Vera che fa scintille e su un solo di Sandoval particolarmente violento. Il bridge comporta una maggiore melodia ma nulla di trascendentale, visto che la cattiveria domina ogni minima parte della canzone. Quattro minuti che scorrono in fretta, evidenziando un lavoro minuzioso e coraggioso che tende al rock alternativo grazie allo spirito innovatore che sa ricreare paesaggi desertici e atmosfere primitive. Il rituale magico, in realtà, è lo spaccio di droga e il popolo balla per avere successo e soldi facili, ingraziandosi così le divinità dell'illegalità. Ci troviamo in Colombia, accanto a spacciatori che programmano lo spaccio negli Stati Uniti, la domanda è alta e per aumentare il guadagno mischiano la droga nel caffè che esportano, eludendo i controlli della dogana. La guerra della droga è vinta dai colombiani, mentre in tutta l'America la gente muore facendo arricchire questi fottuti bastardi. 

The Truth Always Hurts

"The Truth Always Hurts (La Verità Fa Sempre Male)" si apre con un giro di chitarra scanzonato, molto hard rock, e immediatamente Bush si lancia in morbide strofe, dal gusto solare e insolitamente melodico, dove la cattiveria musicale viene, seppur per un momento, accantonata in favore di un mid-tempo che sembra appartenere a band come CinderellaDef Leppard o Thunder. Qui, il sound degli Armored Saint viene stravolto, la sezione ritmica è insolitamente cauta, i fraseggi di Duncan e di Sandoval hanno il sapore del rock 'n' roll più allegro, Gonzo si limita ad accompagnare il ritmo e Vera nemmeno si sente tanto è cauto e lineare. Ciò non significa che ci troviamo davanti a un brano insulso, anzi, la melodia colpisce dritti al cuore, Bush è un grande interprete e non è mai stato così elegante e, se la traccia è adagiata su dinamiche poco originali, sopperisce con una bella dose di melodia che cattura all'istante. Il refrain è anticipato da un delizioso pre-chrous ma a stimolare l'ascoltatore è proprio il fresco ritornello che va in crescendo e che è supportato dalla chitarra di Phil Sandoval che subito dopo si cimenta in un breve assolo che contrasta con il tema portante del disco, con quell'oscurità di fondo che avvolge ogni singolo brano qui presente. Sarà l'aria scanzonata e leggera che stempera questo involucro nero e allenta la tensione accumulata, ma questo pezzo compare proprio nel momento giusto, quasi a metà disco, forse per imporsi come intermezzo, anticipando appunto il giro di boa con la strumentale "Half Drawn Bridge" che inizia la seconda parte dell'opera, sfumando d'intensità e violenza. Sicuramente la sezione più interessante di "The Truth Always Hurts" è la coda finale, suddivisa da un bridge sospeso in cui è udibile la sola batteria e che poi riprende con un chorus ancora più malvagio, cantato a voce piena da un Bush a dir poco magistrale. Ma se la musica è leggiadra non si può dire lo stesso di un testo amaro e privo di speranza che narra della fine di un amore, stroncato dal tradimento e da menzogne continue. Questo è un tema caro alla mitologia degli Armored Saint, già affrontato nel debut album e che comparirà anche nei seguenti lavori. Un cuore spezzato dalla verità, la verità che sempre ferisce e che in questo caso porta il volto in lacrime di una giovane fanciulla, in ginocchio e con le mani tese per chiedere un perdono che non riceverà perché ha tradito il suo compagno con un idiota del cinema, attirata dai soldi e dal potere. La coppia prova a fare pace ma di fronte alle bugie, alle giustificazioni, alle illusioni, c'è poco da fare. La storia è destinata a naufragare, dunque meglio dire addio e lasciarsi il passato alle spalle.

Half Drawn Bridge

Come accennato in precedenza, arriviamo all'intermezzo strumentale che porta il nome di "Half Drawn Bridge (Un Ponte -Quasi- Disegnato)", poco più di un minuto che vede ancora una volta i due chitarristi cimentarsi in soli incrociati. Non si tratta di soli particolarmente tecnici e nemmeno troppo originali, l'intento di questa strumentale è soltanto quello di introdurci in un'altra sezione del disco, come un passaggio per un'altra dimensione, e se nella prima sezione si partiva dal brano più possente per scendere di intensità e approdare su lidi più calmi.

Another Day

Qui è tutto il contrario e si passa così alla stupenda "Another Day (Un Altro Giorno)", power ballad di grande emotività, per poi recuperare sempre più vigore. Il pezzo qui presente è una perla oscura destinata a diventare una delle hit di "Symbol Of Salvation". L'arpeggio di Jeff Duncan e la calda voce di John Bush cullano l'ascoltatore, accompagnandolo in un dolce viaggio sonoro che emoziona e fa venire i brividi. La prima parte è tutta giocata sulla delicatezza delle sei corde, mentre Gonzo, alle pelli, è vigile ma quieto, sembra attendere la tempesta che a breve si infrangerà sulle casse dello stereo. Le lunghe strofe proiettano in un mondo lontano, sono intonate con dolcezza sognatrice, come se il vocalist fosse attento a non eccedere troppo e svegliare il pubblico dal torpore in cui riversa. Il passo dal verso al refrain è molto delicato, quasi irriconoscibile, poiché la melodia sembra la stessa, eppure c'è qualcosa che cambia e si intensifica, il cambiamento è presente soprattutto selle linee di basso che prendono corposità. Metà brano trascorre così, nel modo più prezioso possibile, come fosse fragile cristallo, ma Phil Sandoval spezza l'idillio intervenendo con uno dei migliori assoli del disco, rendendo tutta la sezione ritmica possente, un terremoto che si concretizza nei poderosi colpi di piatti da parte di Gonzo e doppia cassa sparata. Bush alza il tono vocale e si inerpica nel bridge anticipando il secondo strepitoso assolo, questa volta eseguito da Duncan che poi lascia ancora una volta il testimone al compagno d'ascia, quando inizia la coda dove tutti gli strumenti sono impennati, creando un inferno sul quale svettano le grida del cantante. Una ballata suddivisa in due parti, quella morbida, onirica, e quella tempestosa e irascibile. Due anime per un unico capolavoro, emotivamente trascinante, evocativo come solo questi ragazzi sanno scrivere. Le liriche sono intrise di poesia, rappresentano un inno alla vita e al destino di un uomo, perché la caducità dell'esistenza è incontrastabile, ma quello che conta è il saper vivere, il voler vivere. I vari istanti del nostro tempo sfumano, il passato trascorre e sbiadisce, è una cosa strana ma il mondo va così; il cammino di un uomo è lastricato di luci vagabonde, di vortici irrequieti e di vuoti incolmabili che si muovono lenti, ma un uomo è destinato a vivere, purché segua il proprio cammino, il proprio volere. La richiesta è semplice: un altro giorno in più per realizzare i proprio sogni, per inseguire i proprio desideri, prima di fuggire da questa gabbia. Giunge il momento atteso da tutti, quello della title-track.

Symbol Of Salvation

Il tema di "Symbol Of Salvation (Il Simbolo Della Salvezza)" è ben rappresentato non solo dalla musica ma anche dall'affascinante e strano artwork, dallo sfondo nero (come i sentimenti riscontrabili nei testi e nelle musiche) che circonda una specie di specchio antico dalla forma particolare che fa intravedere il busto di una donna, origini della vita stessa. La forma dello specchio sembra però riprodurre anche un utero, o comunque l'apparato intimo femminile, dal quale ha origine la nascita. Non a caso il tema portante dell'album sono la difficoltà del mondo, i suoi vizi, i problemi dell'umanità, l'amore e la morte, e l'unica salvezza resta appunto la nascita, una nuova generazione più attenta e razionale, più informata sui rischi del pianeta. In una parola: Futuro. Il simbolo della salvezza è un altro mondo, che sa trasformare i difetti del passato nei pregi del futuro, è un nuovo modo di intendere la giustizia, l'onesta, la verità, di trasformare le debolezze in punti di forza. Chi e cosa è questo simbolo di salvezza? Il futuro. Un futuro migliore, uguale per tutti, da vivere a testa alta. Concetto semplice ma potente, così come potenza è la parola chiave del brano, concentrato su chitarrone schiacciasassi dal sapore thrash metal e dall'andamento dinamico. La sezione ritmica è possente, le chitarre graffiano, il basso di Vera pulsa che è una bellezza e Gonzo fomenta gli animi, mentre Bush è incazzato nero e lo grida in faccia al pubblico, declamando questa speranza di futuro con voce arcigna, rauca, impolverata come le note eseguite dagli altri musicisti che sembrano esibirsi nel deserto. Si tratta infatti di una traccia dal sapore arido, amaro, screziato di ruggine e dai suoni metallici che sembrano prodotti in una fabbrica di acciaio. In tutto ciò emerge comunque la melodia, soprattutto in prossimità dell'ottimo ritornello, contornato da cori, che potrebbe indurre in un furioso headbanging. La sezione strumentale è fantastica, Vera dirige l'intero pezzo con maestria e classe e si mette in evidenza con un solo appena trascorsa la metà, quando le chitarre si fermano per circa un minuto lasciandogli spazio. Sicuramente siamo davanti a una delle migliori composizioni della band di losangelina, cattiva al punto giusto, dotata di testo importante e incentrata su un atmosfera cupa ma non priva di luce.

Hanging Judge

Si prosegue sulla stessa scia violenta con "Hanging Judge (Giudice Appeso)", speed song che rientra tra le mie preferite, costruita su chitarre impazzite e su una doppia cassa terremotante. Le strofe sono molto brevi, si tratta di semplici terzine, però direttamente inserite nel pre-ritornello e nel refrain, quasi a confondere l'ascoltatore sulla struttura della canzone che sembra prendere le sembianze di una massa magmatica in continuo movimento. Gonzo è protagonista con accelerazioni fantastiche soprattutto in prossimità del pre-chorus, sul quale svetta la voce gracchiante di Bush, mentre è interessante notare un bellissimo scambio dialettico tra basso e chitarra nel break centrale, sul quale si staglia il solito ottimo assolo di Sandoval. In definitiva, "Hanging Judge" è molto semplice e va dritta al punto senza fronzoli e arpelli; qui contano la velocità e l'arroganza sonora, perciò niente di elaborato ma eccellente per allenarsi a fare un po' di headrolling. Bisogna ammettere che non si tratta di un brano di punta dell'album, soffocato letteralmente dalle altre perle presenti, ma in un disco del genere e di tale livello artistico, e che non ha praticamente punti deboli, si fa fatica a scegliere il brano minore o maggiore. La carica e l'energia contenute qui dentro, però, fanno sì che questa sia una delle mie tracce preferite. Narra di un poveraccio condannato da un giudice senza scrupoli, le cui certezze sono state infrante nel momento della sentenza. Egli ha fatto affari col destino e quest'ultimo è stato ingrato, ma nel momento di estrema tristezza un accenno di sorriso gli illumina il volto, perché il giudice che lo ha incastrato è morto, così il prigioniero smette di avere il broncio e si lancia in una lunga risata, dimenticando, seppur per un instante, i suoi problemi. La sua anima è ormai perduta nella scalata alla vita, eppure riesce ancora a trovare qualcosa per cui rallegrarsi perché sa che in un'altra vita ritroverà il giudice e lo affronterà nuovamente faccia a faccia, secondo un'altra giustizia, quella ultraterrena. 

Warzone

"Warzone (Zona Di Guerra)" è una bomba incandescente, nonché il brano più corto e diretto del lotto, dove gli Armored Saint esprimono al meglio le loro ineguagliabili capacità. Parliamo di un heavy metal feroce, basato su un muro di suono duro come il cemento grazie all'irruenza della sezione ritmica, dove le chitarre dei due axe-men si alternano per tutta la durata con fraseggi micidiali e assoli veloci come la luce, mentre il basso è pompato all'inverosimile e messo in evidenza dalla scintillante produzione, mai eccellente come in questo album, eppure, in tutta questa miscela di tecnicismi, è Gonzo che fa la parte del leone, attraverso cambi di tempi e rullate spacca timpani che potenziano il tutto. La struttura della traccia è lineare, semplice, in grado di rievocare l'essenzialità di "March Of The Saint", non a caso il goliardico e grezzo refrain giunge appena dopo la prima strofa e si prosegue alternando versi e ritornelli per tutto il minutaggio. Quando si azzeccano il riff e la melodia portante, tra l'altro esaltata da un vocalist di tale livello, ogni cosa risulta vincente, e tutto questo grazie a un genio come David Prichard che ha composto il brano (come quasi tutti quelli presenti), un chitarrista davvero avanti, capace di riscrivere le regole del metal classico e di arricchirlo, ponendosi addirittura come ispiratore per molte thrash metal band a causa della sua innata attitudine al caos metallico, tanto che il suo modo di suonare e i suoi riff saranno letteralmente scippati da tantissimi gruppi, americani e non. Il testo è abbastanza complicato da interpretare, la zona di guerra del titolo si riferisce a un uomo solitario che non riesce a dormire perché tormentato dai fantasmi del suo passato, dai volti degli uomini che ha ucciso e che, nel sonno, gli sorridono. Ogni notte la solita maledetta storia, ripercorsa come fosse un film, dove i personaggi sono sempre gli stessi ma i paesaggi cambiano di continuo. È una strana sensazione, quasi di soffocamento, soprattutto quando i corpi dei morti si accumulano nelle trincee. La battaglia è nella mente del nostro protagonista, forse un reduce di guerra rimasto traumatizzato dall'inferno vissuto e che è capace di abbracciare soltanto un'unica parola: insanità. Sì, probabilmente egli, nei suoi deliri notturni, rivive i momenti più terribili della guerra, come la perdita dei compagni, il sangue dei nemici, lo scoppio delle bombe che lo stordiscono; il trauma è stato talmente crudele che preferisce rifugiarsi nella follia, nel suo mondo solitario e silenzioso.

Burning Question

"Burning Question (Domanda Scottante)" si pone come brano gemello di "Warzone" perché prosegue sulle stesse coordinate e proprio con lo stesso Gonzo a dettare il passo veloce a suon di rullate, comandando una sezione ritmica che fa della virilità il suo punto di forza. Mentre le chitarre si insinuano gradualmente, crescendo di intensità, Bush intona la prima strofa, coadiuvato da un Vera in grande spolvero, ed è importante sottolineare proprio lo scambio tra voce e basso perché in tutta la durata del pezzo si farà questo gioco sulle strofe, mentre le asce entreranno solo sul pre-chorus per poi farsi sentire davvero nello strepito ritornello, forse il migliore dell'album, intonato da un John Bush trionfale. Ma in appoggio a tanta tecnica c'è sicuramente un ottimo gusto melodico che pervade l'atmosfera, dimostrando che va bene la violenza ma senza dimenticare la melodia. Si prosegue allo stesso modo nella seconda parte, mentre il bridge è di una cattiveria inaudita e inizia non appena termina il secondo ritornello, interrompendo un accenno di assolo da parte di Duncan, che si rifà non appena questo termina, prolungandone la dinamica e infine lasciando spazio al riffing portante eseguito da Phil Sandoval proprio mentre Bush declama a gran voce il terzo ed ultimo chorus. Anche qui ci troviamo davanti a una canzone estremamente semplice e dal suono diretto, ma dotata di magia e di epicità che non lasciano scampo. Il testo è dedicato a una donna fatale che ha sedotto l'uomo di turno; i suoi capelli di seta, il suo bagliore spettrale, i suoi occhi di luce hanno confuso il nostro uomo, lo hanno reso docile e obbediente, fino al giorno in cui è stato lasciato. La mente spappolata, il corpo funestato dal desiderio di riaverla, la bestia che insita in tutti noi si è liberata e ha sentito il bisogno di possederla ancora una volta. Ma il fascino della donna ha stregato l'uomo, lo ha ipnotizzato col suo profumo delicato e il suo respiro sommesso. Non si può nulla contro la seduttrice perché la sua natura è quella di fuggire via, di inventare menzogne per scappare, rifugiandosi tra le braccia di qualcun altro, lasciando al malcapitato una sensazione di soffocamento e di ossessione perpetua che difficilmente dimenticherà.

Tainted Past

Finalmente, ecco l'omaggio al compianto Dave Prichard con la lunga "Tainted Past (Passato Contaminato)", uno dei primi brani composti per "Symbol Of Salvation", dove troviamo proprio la registrazione originale del defunto chitarrista, quindi non contaminata o risuonata dagli altri musicisti ma, bensì, supportata come se Prichard fosse ancora lì con loro in sala di incisione. È una canzone molto impegnativa, della durata di sette minuti profondi ed emozionanti, aperti da un malinconico arpeggio acustico, dall'animo oscuro e dal sapore country. Una raffica di Gonzo dà inizio alle danze e Bush declama con solennità un verso abbastanza morbido, d'atmosfera, che si intensifica in prossimità del veloce e gustoso pre-chorus per poi esplodere nel ritornello. È ottima la sovrapposizione di chitarra acustica e chitarra elettrica, specie nel fantastico refrain dal cuore polveroso, che dà una sensazione di spensieratezza e di calore, facendo pensare proprio a quei paesaggi desertici della parte meridionale degli U.S.A.. Il basso di Joey Vera fa capolino ogni tanto, portando con sé freschezza e originalità, ed è vero protagonista nel break immaginifico e sognante, carico di pathos, nel quale Prichard esegue un emozionante assolo che dura a lungo facendo scendere persino una lacrima. Si prosegue con il grandioso ritornello per poi mutare forma nuovamente, cambiando tempo inserendo un secondo e inaspettato break poggiato sulla chitarra acustica che scivola via fino al termine. Dunque, abbiamo un brano suddiviso in tre parti, ognuna della quali, da un momento toccante e profondo cresce in velocità e potenza arrivando al cuore dell'ascoltatore. Se la musica è fantastica, il testo non è da meno, nel quale si tenta di lasciarsi alle spalle un passato non proprio piacevole. Una vita corrotta dalla miseria, dalla povertà, dai tormenti del cuore e della mente, tutto a causa di un mondo egoista che sembra dominare e comandare tutti gli esseri umani come fossero burattini. E' tempo di cambiare, lasciarsi i dispiaceri dietro, di ritrovare la pace mentale e di rilassarsi, concedersi dei momenti felici e spensierati, addirittura facendo accumulare polvere sul proprio corpo restando a letto una giornata intera. E' una riflessione sul nostro modo di vivere, troppo veloce, troppo stressante e frenetico, senza mai riuscire a ritagliarsi spazi davvero importanti per noi e per la nostra salute fisica e mentale. Il mondo ci è contro e noi ci adattiamo, ma non dobbiamo lasciarci andare diventando schiavi di un sistema corrotto, dove ogni giorni ci alziamo e facciamo ciò che ci è imposto, mentre i nostri sogni di realizzazione sfumano nel silenzio. Facciamo tutti parte dello stesso mare, ma siamo soltanto gocce e ci perdiamo nell'infinito, questo è il nostro destino. 

Spinless

Si chiude con "Spinless (Smidollato)", una brutale canzone dal riffing puramente thrash metal, poco melodica e molto cattiva incentrata su una progressione della sezione ritmica che parte dalla batteria di Gonzo e pian piano coinvolge tutti gli altri strumenti creando una base a dir poco terremotante. A mio avviso, uno dei migliori brani con coi concludere questo capolavoro di U.S. power, mettendo in mostra una struttura ciclica, terminando così come si era cominciati, con la grinta e la foga che caratterizzano da sempre gli Armored Saint. Il riffing è muscoloso, giocato sulla sovrapposizione delle due chitarre che si muovono all'unisono rafforzando il suono, unendosi alla danza metallica a una batteria indemoniata che fa un uso notevole della doppia cassa, specie nella seconda parte del pezzo, e agli assoli di basso disseminati lungo questo percorso musicale e che sembrano sfidare proprio quelli dei due chitarristi. Bush invece è tonante, canta in tonalità altissime per tutta la durata della canzone mentre sputata parole a raffica con voce sporca e adirata, tecnica utilizzata soprattutto nel thrash metal, mondo nel quale, di lì a poco, entrerà a far parte unendosi agli Anthrax, anche se va detto che, nonostante l'ira funesta delle sue code vocali, uno spiraglio di melodia riesce a insinuarsi nel meraviglioso pre-ritornello, studiato per essere cantato a squarciagola per poi ridimensionarsi in un refrain mefistofelico che potrebbe ricordare, appunto, un brano degli stessi Anthrax, band che si è sempre differenziata dalle altre della stessa categoria proprio a causa della scelta di vocalist (Neil Turbin e Joey Belladonna) dotati di una estensione vocale enorme e di solito più adatta all'heavy o al power rispetto al thrash. Diciamo, quindi, che John Bush anticipa ciò che farà a partire dal 1992 con la band guidata da Scott Ian. Non solo il cantante, ma è tutta la parte strumentale, con le chitarre in primo piano, a fare la differenza, perché gli Armored Saint sono sempre stati un punto di riferimento per tutte le thrash metal band americane, a cominciare dal loro primo album, grazie allo stile affilato con cui il povero Prichard era solito comporre, con intuizioni davvero geniali e fresche che hanno lasciato un segno consistente nel tempo. Non a caso, i Metallica hanno corteggiato più volte John Bush (pregandolo per  ben due volte di prendere parte alla loro avventura per dare modo a James Hetfield di concentrarsi sulla chitarra) e persino i Megadeth di Dave Mustaine hanno espresso la propria ammirazione nei confronti della band californiana. Il testo è impregnato di acredine, dove si sprecano le parolacce nei confronti di un codardo figlio di puttana, di uno smidollato che ha paura di affrontare la battaglia e che fugge via come un coniglio. In sintesi, non è altro che un bravissimo atto accusatorio nei confronti di chissà chi, forse un nemico, forse un amico che ha tradito, non è dato sapere chi sia questo impostore codardo, fatto sta che il pezzo è sviluppato su due sole strofe e su un ritornello ripetuto all'infinito, perciò le liriche sono estremamente sintetiche. Con questa sfuriata termina l'opera magna degli Armored Saint, per quasi un'ora di metallo incandescente che ha fatto scuola.

Conclusioni

"Symbol Of Salvation" è l'album che consacra la band di Los Angeles, nonché il testamento spirituale del chitarrista David Prichard, autore di otto brani su tredici, la cui figura è comunque presente in ogni singola nota di questo platter e nel cuore dei nostri musicisti. Un album dotato di fascino oscuro, di poesia crepuscolare, ma anche di acciaio diretto e potentissimo, il tutto racchiuso in una copertina bizzarra che si distacca da tutte quelle mai realizzate dalla band; Il cavaliere corazzato viene abbandonato una volta per tutte, la band è ormai matura e non ha bisogno di ricorrere ai soliti simboli, ormai fa come gli pare e piace, anche se mai come in questo caso l'aspetto simbolico è così presente: il simbolo della salvezza è ciò che appare nello specchio anticato, ovvero il grembo di una donna, sinonimo di vita e dal quale ha origine la nascita. "Symbol Of Salvation" rappresenta appunto una rinascita dopo le delusioni e le incazzature degli anni trascorsi sotto la direzione della Chrysalis, la quale aveva fatto perdere alla band il treno per il successo commerciale; ma è anche il primo disco senza Prichard, vera anima del gruppo, spentosi troppi presto per una maledetta e terribile malattia. Questo è quindi un lavoro intriso di malinconia, di frustrazione, di dolore per il destino nefasto che ha colpito i nostri sin dall'inizio e, per ironia della sorte, nonostante il momento difficile, è la maggiore espressione firmata Armored Saint, dove testi maturi e abbastanza complessi si sposano perfettamente con suoni maestosi e massicci che lasciano estasiati critica e pubblico. Un disco del genere lascia letteralmente a bocca aperta, perché mai prima d'ora si era creata questa alchimia all'interno della band e mai prima il talento dei singoli musicisti si era amalgamato così alla perfezione, il tutto regolato sotto il vigile occhio della nuova etichetta, la Metal Blade (una delle migliori in ambito metal) che, a differenza della precedente, si fa carico di tutte le spese e mette a disposizione un alto budget per una produzione eccellente, dimostrando professionalità e passione nei confronti della musica e soprattutto rispetto per gli artisti che ha sotto contratto. Era proprio ciò che serviva e i risultati, estremamente positivi, non tardano ad arrivare; Infatti, l'album scala le classiche con i due singoli (che rimarranno in pista per diverse settimane) e vende tanto in tutto il mondo, facendone il miglior risultato in termini di vendite mai ottenuto dagli Armored Saint. Segue un lungo tour in compagnia dei Megadeth che porta la band a suonare davanti a migliaia di ragazzi e che contribuisce a diffondere il nome Armored Saint un po' ovunque. Eppure, nonostante il successo e il periodo si stabilità, qualcosa sembra che si sia incrinata per sempre. E così, dopo la morte di Prichard, nessuno dei membri sembra più convinto di proseguire il percorso, come se il duro colpo subito avesse mandato tutti in depressione. Senza più motivazioni e un futuro incerto, quando a John Bush viene offerta l'ennesima possibilità di entrare a far parte degli Anthrax, questi non ha più il coraggio di rifiutare. Dopo anni di sbattimenti continui e sogni di gloria, il vocalist si unisce a una delle più importanti thrash metal band del mondo, sostituendo il dimissionario Belladonna. A questo punto, terminato il tour, alla fine del 1992 gli Armored Saint decidono di porre termine alla propria storia: Gonzo e Phil Sandoval fonderanno i Life After Death, mentre Joey Vera si unirà ai grandi Fates Warning"Symbol Of Salvation" assume, dunque, un valore ancora maggiore, perché rappresenta l'ultima testimonianza (almeno per quanto riguarda la prima parte di carriera) di questa grandissima ma sfortunata band, che si riunirà soltanto otto anni dopo, alla fine del 1999.

1) Reign Of Fire
2) Dropping Like Flies
3) Last Train Home
4) Tribal Dance
5) The Truth Always Hurts
6) Half Drawn Bridge
7) Another Day
8) Symbol Of Salvation
9) Hanging Judge
10) Warzone
11) Burning Question
12) Tainted Past
13) Spinless
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