AGGRAVATOR
Aggravator
2019 - Independent

DAVIDE CILLO
07/06/2019











Introduzione
Quando c'è da sfogliare fra le pagine del Thrash Metal, e scoprire qualche nuovo racconto di nicchia, beh, mi troverete sempre in prima linea, con tanto di occhiali e blocchetto degli appunti. O, sarebbe meglio dire, cuffie e volume sparato al massimo: perché il panorama Thrash underground è stupendo e letteralmente infinito. Ed eccoci qui oggi, ancora insieme, per una nuova avventura, una nuova scoperta: e lo facciamo con una band della "nuova ondata", nata nel 2008, ci troviamo negli Stati Uniti. Ma niente California, stavolta, siamo nel Texas! Avete capito bene: i ragazzi si chiamano Aggravator e sono di San Antonio. A fondare il complesso, appunto in quel 2008, il cantante e chitarrista ritmico Derek Jones e il batterista Mike Cortes. Si uniscono ben presto alla band Tristan Hernandez, bassista, Jesse Lopez, alla chitarra solista. E arriva così il primo demo della band, "Seven Sword" del 2010, ben presto seguito dal primo vero lavoro discografico: "Age of Combat" del 2012. "Age of Combat" è stato un debutto rapidissimo e inflessibile, nove tracce per un totale di 28 minuti d'ascolto. E' in seguito a questo lavoro che per gli Aggravator arriva la prima vera occasione di esibirsi, live, all'infuori degli States: la band vola in Norvegia, e si esibisce all'Inferno Metal Festival di Oslo. Tornati dall'oltreoceano, i ragazzi presto intraprendono una nuova avventura, un tour di tre settimane sulla West Coast, sempre all'insegna della promozione di "Age of Combat". L'anno successivo, nel 2013, arriva una nuova soddisfazione per la band: il primo contratto discografico, con la underground label canadese Mulligore Productions. Forti di questo accordo, i ragazzi cominciano a lavorare al loro secondo capitolo discografico, "Populace Destructor", che vede la luce nel corso dell'estate 2014: l'album riceve buoni apprezzamenti dalla critica e permette alla band di farsi conoscere da una nuova fetta del pubblico, forte dell'accordo discografico e di qualche comparsa sulle riviste del settore. Nel 2015 il re-release di "Populace Destructor" tramite Dead Center Productions, e l'anno successivo nuove apparizioni in Scandinavia, con tanto di partecipazione al "Muskelrock Festival" in Svezia appunto nel 2016. La band non viene mai alla propria attitudine e al proprio sound: un Thrash/Death Metal feroce e senza compromessi, con voce feroce e old school sulle orme di storie band del genere come i Morbid Saint. I ragazzi, tuttavia, preferiscono definirsi sempre esclusivamente "Thrash Metal", e noi ne prendiamo atto: si tratta, semplicemente, di una proposta del genere in vesti alquanto estreme. Nel 2016 il terzo grande lavoro della band: arriva l'album "Sterile Existence", rilasciato tramite l'etichetta estrema Headsplit Records. Come avrete tuttavia intuito, nessuno dei lavori sopra elencati è il protagonista della recensione odierna. Con una formazione che oggi include Austin Zettner alla chitarra solista al posto di Jesse Lopez, gli Aggravator nel 2019 rilasciano un EP omonimo della band. "Aggravator" è un lavoro di sei tracce per 17 minuti d'ascolto, e che ha visto la luce in questa primavera. Tutto lascia presagire che, anche in occasione di questo lavoro, la band non sia venuta meno, in alcun modo, alla propria attitudine. La band ha un ottimo seguito sul web, ma non sarà certo questo ad influenzarci: per noi è esclusivamente la musica che conta. Prepariamoci allora all'ascolto, ma vi avverto: ascoltare questi ragazzi non è come partire per un tranquillo picnic in foresta. Alzate le casse, o le cuffie, il nostro viaggio sta per iniziare.

Desensitized Devotion
L'EP si apre con "Desensitized Devotion" (Devozione desensibilizzata). E il brano, il lavoro, si aprono nella maniera più rapida e spietata possibile, all'insegna del Thrash/Death più estremo e privo di compromessi. A salire in cattedra, il veloce tupa tupa della batteria di Mike Cortes, ma l'elemento davvero di massima godibilità sono per me quelle continue scariche in alternate picking che, cambiando di nota in un monologo macabro e tenebroso, rendono il riff principale letteralmente all'altezza dei migliori all'interno del genere. Ad unirsi benissimo qui è anche la voce di Derek Jones, sempre feroce al punto giusto e perfettamente amalgamata. A metà brano viene lasciato molto spazio anche al basso di Tristan Hernandez, cosa che in molti lavori del genere spesso non accade: il quattro corde, in questa sezione di metà pezzo, diventa vero protagonista all'interno del mix. Si tratta, qui, di un bridge che fornisce l'input per il brevissimo e rapido assolo di Austin Zettner, che accelera nel corso dei secondi chiudendo squillante, e lasciando il là per il ritorno dello spietato e rapidissimo riff portante in alternate picking. A rendere bello questo brano anche una serie di brevissimi e quasi impercettibili stop and go, che però aiutano davvero molto a tenere "fresco" e movimentato l'ascolto. Come qualcuno di voi avrà già potuto intuire dal titolo, il testo è strettamente anti-religioso, e intende esprimere dubbi sulla reale esistenza di Dio e, di riflesso, sull'utilità della fede. "Qual'è lo scopo della fede?", queste alcune delle letterali parole cantate nel corso della traccia. Per gli Aggravator, metaforicamente, essere religiosi significa essere ciechi, non voler vedere l'ovvio, essere abbagliati da qualcosa che depista e, fuorviante, conduce su sentieri sbagliati. Fra citazioni religiose, come quella del sangue di Cristo, la band giunge alla conclusione che, per l'uomo, credere sia addirittura "velenoso", dunque dannoso se non ce ne si libera con urgenza. Abbiamo apprezzato molto le ritmiche di questa prima traccia di tre minuti esatti, così come il comparto vocale, e sperando che il lavoro si confermi, è tempo di passare al brano successivo.

Redundancy
Eccoci alla seconda mattonella di questo "Aggravator", EP omonimo della band del 2019. Il brano si intitola "Redundancy" (Ridondanza), e l'avvio del pezzo è incredibile: due, letteralmente, due power chord, e neanche un secondo dall'inizio del brano che i ragazzi di San Antonio si lanciano in una scarica di alternate picking ancora più rapida e spietata rispetto a quella ascoltata nel corso del brano precedente. Gli Aggravator sembrano inamovibili e piacevolmente fedeli alla loro attitudine: nulla sembra poter fermare questa band, che dimostra fra l'altro di avere più spina dorsale di molte presenti all'interno dell'underground. La voce di Derek Jones, qui, si fa più esasperata, evolvendosi in linea con le caratteristiche del brano, ancora una volta ineccepibili dal punto di vista compositivo: i quattro si cimentano in una serie sfrenata di alternate picking e tupa tupa, colorando una melodia ancora una volta tipica del metal estremo, al punto che, se considerassimo le note e il sound, sono possibili paragoni con i primi Morbid Angel. Bellissimo l'assolo di metà brano, ancora una volta molto breve ma opportuno, e che a dire la verità lascia sensazioni positive anche sulle proprietà tecniche sullo strumento del chitarrista solista della band Austin Zettner. Tuttavia, uno dei momenti massimi della traccia, forse l'apice, arriva con l'unico rallentamento del pezzo: siamo appena al secondo minuto d'ascolto, l'assolo è oramai terminato, e un violentissimo urlo gutturale del cantante avvia un riff più ritmato e da un groove assolutamente old school. Abbiamo citato i Morbid Angel per le note toccate, ma qui sono i Morbid Saint a mia opinione una vera influenza per la band, più di altre band del settore come Sadus, Demolition Hammer, e chi più ne ha più ne metta. Continuando con i paragoni, le liriche della band mi ricordano qui molto i Kreator di Petrozza e compagni, come benissimo già saprete band leggendaria del panorama Thrash tedesco. Non che non vi siano somiglianze dal punto di vista musicale, ma qui gli Aggravator si scagliano contro il conformismo e i modi "predefiniti" di pensare, la scontatezza, gli schemi della società. Per i ragazzi del Texas, questo processo di conformismo dei pensieri è un autentico "assorbimento" di ogni facoltà intellettiva e di pensiero a danno degli individui che la subiscono. La pazienza della band, nei confronti di questi comportamenti e in particolare appunto modi di pensare, ha "raggiunto il picco", citando letteralmente il brano. Ci troviamo sotto le maree del controllo sociale, continua la band, siamo spesso gusci vuoti con riferimenti sempre esterni a quella che è la nostra reale personalità.

Carved Apart
Giungiamo al terzo pezzo del lavoro, che si intitola "Carved Apart" (Scolpito). Questo brano mi colpisce davvero: il riff d'apertura, introdotto da un singolo power chord che battezza il pezzo, è più lento dei precedenti, ma di pregevole fattura e composizione, degno dei maestri del settore. "Un riff da headbanging", potremmo definirlo, una di quelle ritmiche che ci porta a sbattere la testa all'insù e all'ingiù. Capacità loro, in quante band non ci riescono! Ma, prima di ogni altra caratteristica, questo è il brano del "rallentamento". Un rallentamento relativo, certo, le velocità sono comunque sostenute, ma questo è il classico pezzo in cui il complesso è costretto a cambiare e rallentare per dare varietà al lavoro, cosa buona e giusta. Ed è proprio in queste occasioni che emergono le reali capacità compositive e di variazione di un gruppo, una prova che i texani Aggravator superano alla grande: riff dal groove più cadenzato ma mai nel banale, mai nella scontatezza delle composizioni metallare moderne. Essere lenti ed old school nel 2019 non è facile, considerato l'inquinamento acustico che ogni giorno subiamo. Gli Aggravator dimostrano invece di essere una band vera, e anche l'assolo di metà brano, pur durando pochissimi secondi e proponendo qualche semplice nota, non si dimostra mai inadeguato. Per il resto, l'attitudine estrema della band è confermata, ciò che invece sorprende è appunto la capacità di innovarsi rimanendo al tempo stesso fedelissimi al proprio sound. E questo brano "dell'innovazione", nel senso che con il suo groove più ritmato e cadenzato e alcune ritmiche rinnova rispetto alla proposta dei precedenti, possiede al suo interno anche un secondo assolo, anche se sarebbe probabilmente più opportuno parlare qui di "intermezzi" di chitarra solista, considerato la velocità e la breve durata di questi momenti. "Carved Apart", con i suoi due minuti e trenta e le sue brevi liriche, ci parla di violenza allo stato puro: dimenticatevi dunque della critica sociale dei precedenti brani, qui gli Aggravator ci lanciano nella guerra più totale, con due fazioni che si combattono in una guerra che sparge morte, dolore e delirio. Sono le tremendità della morte le vere protagoniste della canzone, gli orrori del combattimento, e senza alcuna flessione o pensiero politico e sociale, le crudeltà della guerra vengono raccontate in maniera decisa e priva di censure.

Carnal Forms
E' il momento del quarto pezzo del lavoro, e il titolo sin dal primo momento non lascia spazio a dubbi: "Carnal Forms" (Forme carnali) sarà un altro pezzo all'insegna del "metallo" più duro ed estremo. Il modo in cui la band realizza tutto ciò, tuttavia, ci sorprende: sono delle autentiche scariche intervallate di plettrata alternata le protagoniste, una nuova formula, ancora una volta vincente. La band ha la capacità di proporci sempre nuove chiavi di lettura senza snaturare la sua anima, la sua essenza. E anche il riff principale del pezzo, quello che segue quello introduttivo, conferma le caratteristiche ritmate e sincopate che tanto intrigano per la maniera in cui sono proposte. La band in brevi frangenti utilizza anche la formula degli slide, senza mai abusarne: ho sentito poche band del genere saper realizzare un lavoro così estremo e inflessibile, ma allo stesso tempo così in grado di colpirti per degli elementi. Ad ogni modo, sarebbe ingeneroso non onorare quella che è la prima, vera, caratteristica e qualità di questo pezzo: i riff devastanti e contraddistinti da note macabre e maligne, melodie colorate d'oscuro e spietatamente crudeli. Verso l'avvio della conclusione del brano c'è anche spazio per una gutturale vocalità, che si pone su un riff più lento e profondo. Le variazioni non mancano, eppure ci sembra di aver ascoltato un brano così compatto e fluido, unito e scorrevole. Le liriche del brano sembrano il capitolo due di "Desensitized Devotion", il pezzo d'apertura del lavoro: queste confermano infatti tematiche fortemente anti religiose, e coloro che credono vengono descritti come autentiche vittime. L'idea di un salvatore, per gli Aggravator, è una pura invenzione dell'uomo, una follia, qualcosa di cui liberarsi il più presto possibile. E' una credenza falsa e tramandata nel corso degli anni, "un'eredità" indesiderata del passato, mentre attualmente è necessario andare avanti. Esclusivamente, andare avanti, procedere. In conclusione, questo brano mi ha davvero sorpreso e colpito, e sono davvero curioso di ascoltare gli ultimi due frammenti di quest'uscita discografica.

Frantic Repression
Il quinto pezzo è la brevissima "Frantic Repression" (Repressione frenetica), brano che non raggiunge i due minuti d'ascolto. Ve lo aspettereste, a questo punto, velocissimo, inflessibile, "hardcore", se potete passarmi il termine. E' così solo in parte: le velocità sono sostenute, ma mai esasperate, anzi qui è la batteria di Mike Cortes la vera protagonista, con bellissimi lanci e interessantissimi stacchi. E' una grande prestazione quella di Mike dietro le pelli, ed è in questo brano che dimostra di essere un componente importantissimo per questa band. Nulla toglie questo ai suoi gregari: dal punto vocale la prestazione è impeccabile come sempre, l'esecuzione degli strumenti a corda è perfetta, ma anche dal punto di vista compositivo c'è davvero poco da recriminare al complesso, dal momento che questo pezzo si mostra ancora una volta tanto scorrevole quanto spietato ed efficace. Dopo un minuto e venti d'ascolto ascoltiamo l'assolo di chitarra, ancora una volta di pochi secondi, ma perfetto dal punto di vista tecnico e con frangenti spesso non banali da eseguire. Il pezzo si conclude con la voce del vocalist, urlata, seguita da un secco power chord. Le liriche della band sono alquanto "ciniche", rivolgendosi a tutti gli individui ritenuti, dalla band, non meritevoli di esistenza. In effetti, a chiunque sarà capitato di vedere o conoscere una persona che, per certi aspetti, può sembrare non meritevole di aver ricevuto il dono della vita. Per un motivo, o per l'altro. Gli Aggravator giungono al livello superiore, portando questo pensiero in un testo e scolpendolo nella loro uscita discografica. Per i Texani, semplicemente, ci sono individui umani che meritano e altri che non meritano, in una teoria della sopravvivenza di filosofica e Nietzschiana memoria: chi è sempre destinato al fallimento, non ha motivo di vivere. Questa la massima, riassunta in una sola ma efficace frase.

Suspended Agonal Breathing
Amici, siamo giunti all'ultimo episodio di questo "Aggravator", il pezzo si intitola "Suspended Agonal Breathing" (Respirazione agonizzante sospesa). Il brano è introdotto da un assolo di basso di pochi secondi, ben presto coadiuvato da un ruggente e spietato ingresso di chitarra. Il riff è profondo, ritmato, il groove è pesante e più lento rispetto ai pezzi precedenti. Dopo qualche secondo, una serie di note ben infilate e in scala colorano l'ingresso vocale, che si legge su lenti e spietati power chord. Il brano, dal titolo, mi ricorda molto i cari Demolition Hammer, band che adoro, ma anche dal punto di vista musicale qui le similitudini non mancano affatto. Le liriche ci raccontano, passo per passo, di ciò che io definisco il "racconto della tortura", nel senso che le caratteristiche descrittive del testo ci raccontano di un individuo morente e in agonia, in un continuo processo di soffocamento. Il testo per la verità è qui anche abbastanza astratto, sicuramente il più difficile da cogliere, e credo andrebbe lasciato alle interpretazioni personali di ognuno. Fantastica qui la voce, davvero violenta e profonda, mentre per quanto riguarda la produzione, ne tratterò nella conclusione della recensione. Voglio invece qui soffermarmi sul bellissimo assolo di chitarra, che anche stavolta non si dilunga più di tanto, e se così fosse stato, di ciò, non si sarebbe assolutamente sentito la necessità. Questo è un brano che, come sua principale qualità, ha quella che ogni bel pezzo dovrebbe possedere: una bellissima melodia su cui reggersi, evolversi, colpire e infilare i propri affondi. Molti lo definirebbero il brano del "basso", e in effetti il quattro corde qui riveste un ruolo importantissimo. Io preferisco invece definirlo il brano degli "Aggravator", perché davvero, compositivamente e non solo, la band qui ci regala il meglio di sé. Tanto di cappello, infine, anche per quanto riguarda la doppia cassa di batteria. Per il lavoro, credo sia una conclusione davvero adeguata. Sono contentissimo di aver scoperto questa band, e ansioso di raccontarvi i miei pensieri finali su questo lavoro.

Conclusioni
Aver ascoltato questo lavoro mi ha davvero lasciato sensazioni positive, penso sia stata davvero una piacevole scoperta e, questo stato di felicità per l'aver conosciuto una band nuova, non è facile da provare. A dirla tutta, accade sempre più raramente di ascoltare qualcosa che ti colpisca, specie sfogliando le band Thrash Underground, spesso valide, ma spesso anche poco originali e simili fra loro. Gli Aggravator, che per la verità si spingono spesso anche oltre la "soglia Kreator" suonando un vero e proprio Thrash/Death, hanno dei grandi meriti, primo fra tutti quello di dimostrarsi interessanti all'ascolto. Derek Jones è un ottimo ritmico e cantante, a dirla tutta, un eccellente cantante per il genere, e la sua voce è sempre cattiva al punto giusto e mai inopportuna. La sintonia con la base musicale, è ottima. Del batterista Mike Cortes abbiamo detto: quando è richiesto, come ad esempio nell'ultimo brano, il suo lavoro è di primissimo rilievo. Tristan Hernandez al basso non è in "fanalino di coda" della band, tutt'altro: è uno di quei bassisti anche in grado di rendersi protagonisti. Infine, per quanto riguarda il chitarrista solista Austin Zettner, secondo me dimostra di possedere grande intelligenza, ottime proprietà tecniche sullo strumento, senza tuttavia mai eccedere e fare più di quanto necessario. Austin è uno che, per dirla in maniera breve, "se sa fare 8, ti dimostra 6": e si dice che, questo, sia sintomo di grande intelligenza e una caratteristica che tutti i musicisti dovrebbero possedere. Abbiamo parlato poco, anzi per nulla, della produzione, argomento che come vi accennavo volevo conservare per questa fase conclusiva della recensione. Io ritengo, sinceramente, perfetta la produzione di questo lavoro. Quando si utilizza il termine "perfetto", c'è ben poco da aggiungere. Mi pare giusto, ad ogni modo, motivare il mio pensiero: il modo in cui si propone questo "Aggravator" è sia in linea con i tempi, cioè con il 2019, che maledettamente old school. Le chitarre non sono "plastificate", come spesso di questi tempi accade, anzi sono taglienti e vecchia scuola come qualcune fan del genere le vorrebbe. Ciò non pregiudica in alcun modo la "potenza", la "grossezza" del master, davvero corposo e profondo, esplosivo. Una cosa che io ritengo importantissima nelle produzioni di questo genere è il suono della batteria e, in particolar modo, del rullante. In "Aggravator" mi piace davvero tantissimo, anzi, penso di spingermi oltre nel dire che dona davvero un ulteriore salto di qualità al lavoro. Un lavoro che, quando serve, è anche in grado di rendere il basso protagonista, ma di mantenerlo comunque ben rilevante quando ciò non è richiesto. Credetemi, ho ascoltato davvero tanti di questi lavori underground a cavallo fra il Thrash e il Death, e molto spesso iniziano, si evolvono e concludono tutti alla stessa maniera: tutti i pezzi, dal primo all'ultimo, sono ugualmente rapidi e simili, senza nessuna capacità di cambiamento ed evoluzione. Gli Aggravator mantengono questo loro sound, cosa importantissima, non sconvolgono mai le caratteristiche del lavoro, che erano, sono e rimarranno quelle. Nonostante ciò, riescono ad evolversi, a proporre brani sempre diversi nella loro similitudine, a cambiare velocità e a mantenere fresco e attivo l'ascoltatore. Bravi ragazzi. Tutti quanti, tutti all'altezza del compito. Concludo la recensione accennando rapidamente dell'artwork di questa uscita. Quest'ultimo raffigura, su un monocromatico e tenebroso blu scuro, un bosco caduto preda di una sorta di maledizione non morta: rami secchi, spiriti che risalgono dall'inferno, teschi e creature dannate emerse dalla terra e pronte a cibarsi delle loro prede. In alto a sinistra, il logo della band, che in questo caso è anche titolo del lavoro: Aggravator, appunto. Consiglio a tutti gli amanti del genere questa uscita, che per me merita un 8 pieno.

2) Desensitized Devotion
3) Redundancy
4) Carved Apart
5) Carnal Forms
6) Frantic Repression
7) Suspended Agonal Breathing

