ABYSMAL GRIEF
Mors Eleison
2006 - I Hate Records

GIOVANNI AUSONI
09/12/2022











Introduzione Recensione
La metà dei '90 è stata un'epoca di discreti cambiamenti in ambito doom, una fase feconda per una serie di contaminazioni che oggi ne caratterizzano l'identità, con le varie formazioni, specialmente europee e statunitensi, tese ad allargare i confini del genere conservatore per eccellenza. In tale periodo così florido di stimoli, si formano gli Abysmal Grief, entità genovese ancora in splendida attività che, sin dalle origini, mantiene un personale preciso indirizzo artistico, fluttuante tra le ombre dei cimiteri e gli archi rampanti delle cattedrali e apportando gradualmente le necessarie micro-variazioni a un songwriting per certi versi inclassificabile, ma sempre volto all'evocazione di atmosfere pregne di arcani tremori. D'altronde, nascere in una nazione intrisa di cultura cattolica, ricca di simboli e opere architettoniche che rinviano al sacro e ai suoi significati spesso ambigui, non può non solleticare il talento compositivo e gli interessi occulti di Labes C. Necrothytus, Regen Graves e Lord Alastair. Se a ciò aggiungiamo l'influenza del Dark Sound italico, rappresentato da creature quali Black Hole, Death SS, The Black, e che dagli Jacula (e Antonius Rex) di Antonio Bartoccetti ricavò stilemi fondamentali, non mancano gli ingredienti essenziali per venire alla luce, benché le liturgie officiate poi dal trio risulteranno decisamente peculiari. Atipicità spiegabili con l'innesto di altre sostanze all'interno della fosca mistura: Bauhaus, The Sisters Of Mercy, spolverate di metallo nero e, soprattutto, le colonne sonore degli horror movie nostrani degli anni '60 e '70, la cui introiezione consente ai liguri di conferire al proprio progetto un taglio spiccatamente cinematico. E così stupisce poco che, al seguito della fondazione nel 1996 e di un paio di demo di rodaggio, "Funereal" (1998) e "Mors Te Audit" (1999), l'act esordisca con due singoli già abbastanza solidi e convincenti, "Exsequia Occulta" (2000), uscito per la Flowers Of Grave Productions, e "Hearse", pubblicato dalla storica etichetta danese Horror Records. Mentre il primo, cupo e tetro come i riti di necromanzia lì descritti, appare legato più da vicino alla tradizione sabbathiana, il secondo accoglie una vampiresca flessuosità tinta di psichedelia che, fusa ai ricami delle tastiere e al timbro solenne dell'organo, renderà la proposta del gruppo un unicum nel panorama locale ed europeo. Nel 2006, dopo lo split del 2004 con Tony Tears, "Creatures From The Grave/Le Entità Della Salvazione", esce l'EP "Mors Eleison", emesso su vinile in 500 copie dalla svedese I Hate Records, patrona di Count Raven, The Wounded Kings e compagnia funesta. Non una casa discografica qualsiasi, dunque, per una prova costituita da un lotto di tre inediti e una cover, brani forieri di un mood sepolcrale e direttamente proporzionali alla trattazione del tema della Morte, un'ossessione che qui trova una capillare estrinsecazione sia lirica sia iconografica. La litografia in bianco e nero che campeggia sull'artwork, raffigurante l'Angelo Mietitore seduto sul letto della prossima vittima, con il logo viola funebre della band che troneggia superbo sull'ipogeo del destino, non lascia infatti dubbi circa il clima lugubre del lavoro. I quattro pezzi, connessi alla Grande Rimossa da un morboso rapporto erotico, assumono le vesti di litanie prodromiche all'accoppiamento funebre, con "The Shroud" che campiona alcune preghiere cattoliche e "Mysterium Umbrarum" cantata interamente in lingua latina. Estremamente indicativa, per motivi neanche troppo nascosti, la reinterpretazione di "Occultism", traccia scritta da Maurice Cucchiarini dei Run After To a favore del marchigiano Paolo Catena, che la utilizzò come opener del mini di culto dei Paul Chain Violet Theatre "Detaching For Satan" (1984): un tributo a uno dei massimi esponenti della musica oscura del Belpaese mai, forse, celebrato abbastanza per meriti e importanza. Con questo piccolo bonbon al sapore di crisantemi, gli Abysmal Grief preparano il terreno all'omonimo debutto sulla lunga distanza avvenuto nel 2007 sotto l'egida della Black Widow Records, una combo da sogno - o da incubo considerato il contesto -, quella realizzata dagli italiani e dalla meravigliosa label di Via Del Campo, che purtroppo, allo stato attuale delle cose, non ha avuto alcun successore. A ogni modo, il varco per l'Aldilà sembra meno lontano da raggiungere.

Mors Eleison
L'EP si apre con "Mors Eleison" ("Morte, Abbi Benevolenza"), una title track che lascia pochi dubbi riguardo il tema trattato, benché l'atteggiamento verso il Tristo Mietitore oscilli tra la macabra attrazione e il timore ancestrale per un Aldilà del quale non si conosce effettivamente la natura - sempre ammesso che esso esista davvero. Siffatto secondo aspetto spiega la ragione della scelta di un titolo che riecheggia, eccetto il soggetto della supplica, la formula cristiana del kyrie eleyson, traslitterazione in lingua latina dall'originale espressione greca e inserita nella prima parte della Messa, a separare l'Introito dal Gloria. Le poche circostanze in cui tale antica invocazione appare nei Vangeli - di Matteo e Luca soprattutto - la si trova in bocca a coloro ancora ignari della realtà di Gesù, dai ciechi alla donna pagana, dal padre del ragazzo epilettico ai lebbrosi. Una volta conosciuto il Salvatore, nessuno gli rivolgerà daccapo suddetta implorazione, che contraddirebbe l'acquisizione della nuova Verità appena rivelata. Gli Abysmal Grief riprendono il verbo riferendolo alla Morte, in modo da veicolare il senso d'angoscia profonda dell'essere umano di fronte a un evento inevitabile e tremendo, benché non privo di magnetiche suggestioni. Una richiesta misericordiosa posta al principio e alla fine di una cerimonia a carattere funebre che parte dalla stanza dell'estrema unzione e arriva direttamente giù nella tomba, per un brano simile alla vecchia "Exsequia Occulta", eppure con meno vincoli sabbathiani rispetto alla title track dell'EP d'esordio del 2000. Il dipanarsi iniziale della linea pulita di basso, gentile concessione di un sempre puntuale Lord Alastair, sinuosa, grave e che sembra annunziare il giungere dell'Apocalisse, prepara il terreno all'ingresso stentoreo di batteria e chitarre, entrambe sovrastate e avvolte dalla livrea solenne dell'organo. Ed è proprio lo strumento ecclesiastico per eccellenza a guidare una canzone sì dall'assetto doom a livello ritmico, ma adorna di distorsioni valvolari in odore Electric Wizard e Saint Vitus e di effluvi tastieristici gothic sparsi qui e là; intanto l'ugola di Labes C. Necrotyhus, ossianica e cavernosa come non mai, ricorda, nelle sue inflessioni più cave, le profondità vocali del compianto Peter Steele. Una litania dal polveroso sapore rituale, da officiare quando la notte diventa nera e una lenta processione di bare avanza lentamente per un sentiero cosparso di orchidee, fiori che, se da un lato vengono selezionati al fine di agghindare le lapidi dei cari estinti e, quindi, idonee a presenziare in un percorso cimiteriale, dall'altro la loro simbologia amorosa amplifica il significato erotico della celebrazione stessa. Il graduale ingresso nel Regno Viola, colore liturgico che nel rito romano indica, malgrado non in via esclusiva, gli uffici per i defunti, non può non ricordare l'atto della fusione sessuale nel senso quasi bataillano del termine e che qui metaforicamente interessa il trapassato e la Grande Rimossa. Quest'ultima giunge silenziosa, con un corteo di lugubri voci oltretombali a corredo, prima penetrando sottecchi nella camera delle ragnatele ove risuona il respiro ormai agli sgoccioli della clessidra, simbolo del tempo secolare al tramonto, poi accompagnando la salma cadaverica attraverso una strada lastricata di ghirlande, mentre funerei rintocchi di campane operano da preludio alle esequie. Una Morte che proviene dal piano astrale, quel limbo sottile che divide mondo reale e spirituale visitabile nella fase REM del sonno, durante stati alterati di coscienza e soprattutto dopo il decesso: una visione sincretica che mescola cupio dissolvi medievale e tradizioni esoteriche di provenienza varia, suggellata da un assolo hendrixiano di Regen Graves capace di evocare vibrazioni anfrattuose e psichedelia occulta, disgregando sé medesimo in un vaporoso fade-out, al pari di un corpo e di un'anima definitivamente libratisi alla ricerca della conoscenza superiore.

Occultism
Il secondo frammento del mini consta della reinterpretazione di un brano, "Occultism" ("Occultismo"), che ha una lunga e significativa storia alle spalle, legata a doppio filo alla stagione più florida del Dark Sound di area peninsulare e dei suo esponenti di maggior rilievo. Il pezzo, di pugno di Maurice Cucchiarini e incluso nella demo "Gijin And Dijin" (1985) degli oggi ancora attivi Run After To, venne in realtà udito per la prima volta nel 1984, quando Paolo Catena lo impiegò come opener dell'EP "Detaching Form Satan", storico lavoro d'esordio dell'ex Death SS, rilasciato dalla pavese Minotauro Records di Marco Melzi. Una questione di area marchigiana, quindi, e non poteva accadere altrimenti, considerato che la regione adriatica si caratterizzò, sin dalla fine degli anni '60, come la culla della musica oscura made in Italy, dando i natali a uno dei capostipiti del settore, quell'Antonio Bartoccetti deus ex machina degli Jacula e poi dei parimenti fondamentali Antonius Rex. Gli Abysmal Grief pescano, pertanto, in un territorio a loro congeniale tanto dal punto di vista sonoro quanto tematico, imprimendo il proprio marchio funebre su un pezzo dal un petroso timbro heavy doom di chiara matrice settantiana, liricamente imperniato sul percorso esoterico dell'Akasha, un termine di origine sanscrita che nell'induismo indica una materia capace di permeare e circondare ogni cosa. Nella cultura occidentale, l'equivalente di siffatto concetto è rappresentato dall'etere, la quintessenza, e, pur non trattandosi di qualcosa di impalpabile, risulta però invisibile. Suddetta particolare condizione non toglie a esso concretezza, un po' alla stregua del fango primordiale che ha dato forma a tutto, ma che, di per sé, non possiede forma alcuna. La prerogativa principale di questa massa amorfa risiede nel conservare l'impronta della memoria del mondo, paragonabile ai solchi di un gargantuesco disco in vinile o, meglio, a un un cervello elettronico magazzino di una quantità smisurata di dati. Ecco, allora, che si parla delle Cronache dell'Akasha, un mastodontico computer quantico da cui attingere, estrapolare e analizzare qualsiasi azione, oggetto, giudizio, sentimento, capace di lasciare traccia nell'universo, benché unicamente gli esseri umani dotati di facoltà psichiche eccezionali siano in grado di accedervi con successo. In base alle teoria elaborate su tale immenso registro, durante la fase del sonno definita REM, quando non ricordiamo nulla al risveglio, il nostro corpo astrale passeggia; i chiaroveggenti dispongono delle facoltà per compiere l'incredibile viaggio nella memoria molecolare da desti e sotto stato di ipnosi, riuscendo a raggiungere la vera comprensione, che né segue un percorso lineare né si adegua ai dettami e ai limiti terreni della cronologia. I genovesi, da sempre adusi agli studi esoterici, scelgono, dunque, di coverizzare un brano deputato a esplorare i rituali da officiare in ottica Conoscenza Suprema, irrorando le strofe di cadenze profondamente tenebrose, con la chitarra fumogena di Regen Graves che espettora ovunque lisergia blues, mentre metafisiche svisate d'organo innalzano torri babeliche verso i cieli della Sapienza. Predomina, ancora una volta, un'atmosfera di puro sincretismo, entro la quale emergono come protagonisti gli aderenti alla Teoria dello Spirito, che confidano nei piani astrali della vita e praticano gli antichi riti della Divinazione. L'obiettivo precipuo del circolo elitario teosofico consiste nell'acquisizione di nozioni sull'Aldilà, percorrendo, fuori dal corpo e illuminati dalla luce dell'occultismo, il sentiero dell'Akasha, nel tentativo di ricevere risposte da coloro che custodiscono il segreto del reale senso dell'esistenza. Laddove Labes C. Necrothytus, con un vocalismo da brividi ancestrali, istoria i momenti clou dell'investigazione, i celebranti si accorgono che possono riscuotere i bramati responsi soltanto nel crepuscolo del cimitero, luogo di passaggio rivelatore di quegli enigmi che assillano l'individuo sin dalle origini del mondo. Interrogativi (ir)risolti, in maniera crudele, dal film "Martyrs" (2008) e che il trio del Belpaese preferisce invece ammantare di tetro mistero.

The Shroud
Dopo una prima metà del lotto incentrata sull'heavy/dark doom, gli Abysmal Grief, nella successiva sezione della breve tracklist, diventano decisamente più evocativi e ritualistici, proponendoci un paio di brani che non sfigurerebbero come apertura e chiusura di un reboot di un film horror nostrano del 1977, che si tratti di "Sette Note In Nero" o "Suspiria". La sarabanda dello spavento, dal potente taglio cinematico, inizia con "The Shroud" ("La Sindone"), pezzo che già dal titolo emana massicci afrori sepolcrali, inevitabilmente connessi alla controversa questione del lenzuolo di lino in cui venne avvolto Gesù Cristo a seguito della sua morte sulla croce. Ai liguri, in questo contesto, non interessa prendere posizione riguardo le acide dispute sulla realtà storica del drappo sacro, conservata oggi nel Duomo di Torino dal 1946 dopo varie peregrinazioni peninsulari che la vedranno, nel 1706, sostare (casualmente?) anche a Genova. La band, invece, preferisce utilizzare l'immagine del Telo funebre per antonomasia - e i significati reconditi pullulanti attorno a esso - al fine di celebrare una funzione che, attraverso i canoni liturgici del rito romano, si fa portavoce di un lugubre cattolicesimo da Sant'Uffizio, tutt'altro che consolatorio ed edificante. Una cerimonia che, dal punto di vista musicale, viene officiata per mezzo esclusivo delle tastiere, tese a costruire un'occulta atmosfera ambient/trance entro la quale si avvicendano una serie di preghiere campionate a mo'di fields recording, capaci di rendere i sei minuti scarsi di durata un progressivo e macabro avvicinamento alla tomba senza possibilità di fuga alcuna. Eppure, la solennità messa in scena riguarda la ricorrenza del Lunedì dell'Angelo, il giorno post-pasquale, quando, secondo i Vangeli, Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Giuseppe, e Maria di Cleofa, si recarono al luogo di sepoltura di Gesù per imbalsamarne il corpo con degli oli aromatici. Subito, però, si accorsero della sparizione della salma e, contemporaneamente, videro che il grande masso posto a chiusura dell'accesso al tumulo non si trovava al proprio posto. Lo spostamento del macigno stava a indicare l'avvenuta Resurrezione, emblema della vittoria sulla Morte che imprigionava gli esseri umani, che ora, liberi, potevano continuare a vivere per l'eternità in una nuova e salutare dimensione. Le varie devozioni in sequenza, dall'Alleluia, ai Salmi, dal Gloria all'Ave Maria, però, invece di regalare conforto, risultano così ipnotiche e sinistre da rassomigliare alle fasi di una seduta spiritica, tese all'accompagnamento, o addirittura all'evocazione, di un'anima dannata piuttosto che prodromiche a un evento catartico. Del resto, Labes C. Necrothytus, Regen Graves e Lord Alastair attingono da eoni all'immenso catalogo delle immagini e delle allegorie, spesso enigmatiche e non sempre rassicuranti, della religione cristiana, esplorando, senza dare risposte certe, le ambiguità che si celano dietro i misteri della fede e gli arcigni paludamenti della gerarchia ecclesiastica. La Chiesa di Pio XII e Giovanni XXIII, ma anche dei papi gettati sul fondo del Tevere e del Tribunale dell'Inquisizione, edificata sul Verbo del Signore e sui cadaveri degli Albigesi, passata attraverso le catacombe, la vendita delle indulgenze, gli scismi, le rotture e le spinte controriformistiche, capace di assorbire simboli e credenze di diverse espressioni culturali in un dogma altezzosamente omogeneo, pronto ad aggredire al minimo profumo di eresia. Elementi discordi che una traccia come la presente rievoca per accumulo, inumandoli, attraverso una processione funebre e mesmerica, all'interno di un colossale sarcofago impossibile da scoperchiare, non permettendo al defunto di condividere il supremo miracolo di Cristo. E, forse, neanche una promenade per i piani astrali sembra concessa a un trapassato che, metaforicamente, riassume in sé le colpe di un mondo considerato alla stregua di un enorme Stato confessionale, ben peggiore della Ginevra di Giovanni Calvino.

Mysterium Umbrarum
Possiamo considerare "Mysterium Umbrarum" ("Dei Misteri Delle Ombre") una versione alternativa di "Occultism", visto che bene o male si tratta del medesimo testo, veicolato, però, attraverso l'utilizzo della lingua latina, mentre, dal punto di vista musicale, l'heavy doom del brano dei Paul Chain Violet Theatre qui muta in un lungo rituale esoterico. Una trapunta di note che incombe sull'ascoltatore, con l'organo ecclesiastico e le tastiere dark ambient/trance capaci di terrorizzare chiunque tenti di avvicinarsi a esse, tra effetti sonori di spaventosa pregnanza, simulacri di cimiteri abbandonati nei cui anfratti si officiano funzioni innominabili: un'atmosfera carica di umori gotici e cinematografici ancora una volta adatti a presenziare nella soundtrack di un film di Mario Bava. Labes C. Necrothytus, in questo contesto, si affida a uno spoken word estremamente oracolare, vestendo i panni di un sacerdote dell'Averno impegnato a evocare i defunti al fine di conoscere, dalle di esse diafane bocche, gli arcani enigmi che circondano l'Oltretomba. Quale idioma migliore per chiedere risposte agli estinti se non la lingua morta per antonomasia, recuperata nella forma espressiva ed elegante della retorica imperiale, inesorabilmente eclissatasi dopo le bonifiche operate dal cattolicesimo romano? L'inquietante coro che segue alle parole del Gran Maestro teosofico, infatti, sembra giungere non tanto dagli Inferi della dottrina cristiana, quanto dalla descrizione di Virgilio - effettuata nel sesto libro dell'Eneide - del Regno dei Morti, a cui i liguri aggiungono un'angoscia di matrice lucanea responsabile del lugubre colore assunto dal tono delle preghiere collettive. Lasciata Didone, Enea riprende il cammino e giunge nei pressi di un bivio: una via porta alla città di Dite e ai Campi Elisi, l'altra al Tartaro, luogo di pena per i malvagi, un'immensa regione cinta da un fiume di fuoco, il Flegetonte, inaccessibile a chi non si sia mai macchiato di un delitto. La Sibilla, non potendo penetrare all'interno, si limita a fornire all'eroe una descrizione del luogo e a passare in rassegna alcuni dei Titani e dei loro figli, i Giganti, che Giove relegò laggiù per punirli della tracotanza dimostrata. La tappa successiva del viaggio conduce all'Eliso, dove dimora l'anima del vecchio padre Anchise e in cui, fra boschi, prati e ruscelli, in un clima di serenità e di quiete, riposano gli spiriti degli artisti, dei sacerdoti, degli eroi e dei benefattori dell'umanità. Il genitore illustrerà al figlio la dottrina della reincarnazione, secondo la quale, dopo la completa purificazione purificate dalle contaminazioni del corpo, le anime, trascorso un millennio, si abbeverano alle acque del Lete e ritornano alla vita. La metempsicosi costituisce il nucleo nevralgico delle suppliche collettive recitate nel brano sì in un Ade di ascendenza augustea, ma privo della speranza e della fiducia che alimentano i versi del poema. Il processo di Divinazione prodromico alla Conoscenza Suprema si risolve, dunque, in un finale che resta, come consuetudine dei liguri, cupamente sospeso. Tanto che, terminata l'invocazione, gli ultimi tre minuti vengono contrassegnati da una sezione esclusivamente strumentale, dove a dettar legge e ritmi pensa un eccentrico dialogo, sorretto da un'implacabile drum machine, con protagonisti clavicembalo e chitarra. Il delicato suono del cordofono a tastiera e le massicce accordature basse dell'ascia paiono quasi suggerire la natura ambigua ed evanescente dei precetti di cui sono depositarie le ombre dei trapassati: ammesso che si possa pervenire, infatti, alla memoria molecolare dell'esistenza anche attraverso la trasmigrazione delle anime, l'uomo resta una creatura limitata, schiava di una ricerca faustiana destinata a perpetrare un'insoddisfazione ignara della propria profondità. Con la tomba unico anelito realmente pacificatorio per un ulisside eternamente irrequieto.

Conclusioni
Quando nel 2007 gli Abysmal Grief esordirono sulla lunga distanza grazie al platter omonimo, la Black Widow Records, label che patrocinò il suo rilascio, decise di inserire, in coda alla tracklist, l'intero "Mors Eleison", nonostante l'allora terzetto non fosse molto d'accordo riguardo il senso di tale aggiunta. Finalità dell'operazione era rendere fruibile su CD un EP uscito nel 2006 esclusivamente in vinile - e in copie limitate - per la I Hate Records, iniziativa razionale dal punto di vista commerciale e potenzialmente vantaggiosa sia per l'etichetta di Via Del Campo sia per il gruppo stesso. Regen Graves, Labes C. Necrothytus e Lord Alastair, invece, ritenevano il mini e il full-length, benché reciprocamente propedeutici, davvero molto diversi, non tanto per la materia esposta e lo stile musicale, quanto, piuttosto, per i dissimili punti di vista attraverso i quali venivano esaminati i rapporti dell'uomo con la Morte e l'Aldilà. Pur non rivelandosi un concept dal taglio tradizionale, infatti, il debut album risulterà parecchio coeso e compatto in termini di connessioni filosofiche intercorrenti tra i brani. Il qui presente lavoro, invece, malgrado i chiari nodi di contatto testuali, appare suddiviso in due sezioni e, non ce ne vogliano i genovesi, a tratti si ha l'impressione di un groviglio esoterico ove predomina un sincretismo cultural/religioso non immune da alcune disomogeneità e sbavature. Un pastiche, però, non corrisponde per forza di cose a un pasticcio gaddiano e, dunque, eccetto le ingenuità e le contraddizioni, il plot narrativo messo in note dagli italici resta affascinante e ricco di sfumature, figlio di studi personali da parte di ciascun membro del gruppo e il cui punto d'arrivo riguarda sempre e comunque la Signora in Nero e le varie sfumature interpretative che la circondano. Da un lato la title track e la rilettura di "Occultism", brani heavy/dark doom imperniati sulla nozione di piano astrale, dall'altro l'ambient/trance di "The Shroud" e le cadenze rituali di "Mysterium Umbrarum", entrambe intessute a mo' di preghiere rivolte ai defunti: quattro pezzi prossimi per contenuto, ma dalle cuciture spesso frastagliate, conseguenza della troppa carne al fuoco messa a cuocere. A ogni modo, il nucleo centrale delle piste riguarda la ricerca di sentieri conoscitivi che possano permettere di guardare oltre la falce del Tristo Mietitore, nel tentativo di giungere a una comprensione molecolare del mondo e, pertanto, al significato più profondo dell'esistenza, terrena e spirituale. Occorre precisare che i genovesi, come sovente detto nelle poche interviste da loro concesse, non condividono né i dogmi della Chiesa né i precetti appartenenti a dottrine extracristiane, bensì si appoggiano ai simboli e ai riti religiosi per evocare sensazioni di carattere funebre, con la letteratura e i film dell'orrore che rappresentano ulteriori fonti di ispirazione. Il vero mastice del long playing, dunque, fra Cronache dell'Akasha, chiaroveggenti, iconografia cattolica e formulari liturgici, appare la musica, guidata dal suono solenne dell'organo e da una chitarra, di volta in volta acida, grassa, lugubre, strumenti che collaborano alla creazione di un'atmosfera così angosciosa e spettrale da chiamare in causa gli horror movie di Dario Argento, Mario Bava, Lucio Fulci e compagnia cantante. Uno stile dalla forte allure cinematografica stemperatasi con gli anni senza mai scomparire, responsabile dell'aura cimiteriale e allucinata di "Mors Eleison", il perfetto incubo a occhi aperti di un individuo vicinissimo al decesso che osserva la propria salma cadaverica trasportata da un corteo di sacerdoti incappucciati pronti a risvegliarne l'anima per interrogarla. La Sun & Moon Records, casa discografica rumena di stanza, ça va sans dire, in Transilvania, ristamperà il primo extended play degli Abysmal Grief nel 2019, dodici mesi dopo la pubblicazione di "Blasphemia Secta" e stesso anno del terrificante "Legione Occulta/Ministerium Diaboli", split con i veneti Abhor, lavori che accolgono discrete dosi di black metal lugubre e malefico. Al confronto, "Mors Eleison" sembrava il prodotto di un'epoca lontana, frutto di un act legato, in certa misura, al retaggio espressivo di Antonio Bartoccetti e di Paul Chain e che ancora non si piegava alla concezione di un monde des ténèbres vuoto e inconsistente. Benché oggi abbraccino una visione del problema più fosca e articolata, i liguri comunque non si rassegnano all'evidenza esclusiva dell'elettrone: le sedute spiritiche servono, eccome.

2) Occultism
3) The Shroud
4) Mysterium Umbrarum


