ABIGOR

Nachthymnen (From the Twilight Kingdom)

1995 - Napalm Records

A CURA DI
VERONICA DEIANA
14/09/2016
TEMPO DI LETTURA:
9

Introduzione Recensione

Maggio 1995: appena un anno dopo il rilascio dell'ottimo "Verwüstung - Invoke the Dark Age", gli Abigor diedero vita, senza indugio, al secondo full-length della loro carriera: uscì quindi "Nachtymnen (From The Twilight Kingdom)", un album perfettamente inserito lungo la scia del precedente, capace di sviluppare con ancor più consapevolezza e concretezza quanto già di buono mostrato nella release di debutto. Un'operazione che vide, al timone, lo stesso team vincente, il quale non cambiò di una virgola, consolidando la veridicità del detto "squadra che vince non si cambia": T.T., P.K. e Silenius mantennero saldi i loro posti nei loro rispettivi ruoli (chitarra ritmica, basso, batteria, tastiere; chitarra solista; voce), sempre lavorando per la "Napalm Records", e neanche la location venne cambiata; ci troviamo sempre in quel di dei "Tonstudio Hörnix", con l'inossidabile Georg Haruda ad occupare il ruolo di produttore, coadiuvato dalla stessa band. Luoghi e volti famigliari, dunque, alla base di un progetto che si presentava sin da subito come estremamente ambizioso e rischioso, per molti motivi. Se "Verwüstung.." ci aveva mostrato delle indubbie qualità comunque capaci di porgere il fianco ad un qualcosa di ancora più grande, il rischio di incappare in un pantano, in delle sabbie mobili di stasi creativa, erano numerose quanto le probabilità di realizzare un nuovo album di successo. Quando il debut è incredibilmente valido, l'incertezza è dietro l'angolo. Ripetersi pedissequamente, o superarsi? Avevamo visto come la verve non mancasse di certo, a questo terzetto austriaco. La forza di "Invoke.." era stata proprio quella, in effetti: una forte creatività di base, grande uso della melodia e di soluzioni particolari, ben spalmate lungo brani dalla durata non certo semplice e non certo esigua. Pezzi articolati, affascinanti, capaci di catturare e di mantenere sempre viva l'attenzione dell'ascoltatore. Un Black Metal insomma differente, abbastanza lontano da quello che si poteva ascoltare in quegli anni in Austria. Il 1995 fu, infatti, anche l'anno di rilascio del tellurico "The Last Supper", ad opera dei Belphegor. Un disco sicuramente più immediato, rispettoso di canoni standard, per certi versi più "appetibile" e capace di "arrivare", con la sua attitudine "dritta al punto" ed oltranzista. Eppure, gli Abigor non volevano piegarsi alla "logica" del purismo. Memori dei grandi lavori composti dai maestri scandinavi, decisero di insistere circa le loro idee, legate a motivi tenebrosi e melodie oscure, senza comunque lasciare da parte la naturale violenza che si accompagni necessariamente ad ogni disco che si possa definire Black Metal. Ma non solo in terra madre, i Nostri dovevano far conti con la concorrenza. Sempre parlando di Scandinavia, il 1995 si rivelò un anno di cruciale importanza, per la famosa penisola. Basterebbe pensare a capolavori come "Panzerfaust" dei Darkthrone, "Battles in the North" degli Immortal e "Through Chasm, Caves and Titan Woods" dei Carpathian Forest, per rendersi conto di cosa fosse la scena dell'epoca. Ed andando a scavare nel suddetto panorama norvegese, decisamente degni di nota risultano inoltre gli album di debutto degli Old Man's Child (ovvero lo splendido "Born of the Flickering"), dei Gehenna (l'oscuro e funereo "Seen Through the Veils of Darkness: The Second Spell") e dei giovanissimi Dimmu Borgir, all'epoca appena affacciatisi nella scena con lo splendido e tutt'oggi celebrato "For All Tid". Volendo magari uscire dai confini territoriali/antonomasici del Black Metal, ci accorgeremmo poi di una ricchezza praticamente infinita di full-length, rilasciati letteralmente in giro per il mondo. Il 1995 fu, infatti, anche l'anno di "Prophecies of Pagan Fire" nonché di "Sventevith (Storming Near the Baltic)" dei polacchi Behemoth; continuando il nostro giro, incapperemmo anche negli irlandesi Primordial e nel loro debutto "Imrama", negli statunitensi Absu e nel loro terzo full-lenght, ovvero "The Sun of Tiphareth". Ed anche oltrepassando un intero continente, volando dall'America all'Asia, atterrando in giappone, troveremo i pur blasonati Sigh ed il loro bellissimo "Infidel Art" pronti ad accoglierci. In poche parole, un anno di grandi releases. Un anno prolifico e variegato, capacissimo di offrire ad ogni amante del Black e della musica una svariata gamma di sfumature, sfaccettature diverse. Riuscire ad imporsi in questo clima era assai difficile, se non impossibile. Soprattutto se pensiamo agli Abigor nella situazione delicata descritta ad inizio articolo: ovvero, forse troppo timorosi del fatto di aver già dato tutto nel primo full-length, spaventosamente bello.. e forse troppo. Eppure, quella sorta di lieve incompletezza si lasciava udire, toccare, sentire. Forse, i tempi veramente d'oro, dovevano ancora effettivamente giungere. Non ci resta altro da fare che constatare il tutto, accingendoci ad ascoltare questo splendido "Nachtymnen..", cercando di farci un'idea anche tenendo sempre costante, nelle nostre orecchie, il sound di "Invoke..". C'è da dire, comunque, che questo secondo full-length si presenta decisamente bene sin da subito, grazie ad un artwork assai più accattivante del (forse un po' pacchiano) suo predecessore: questa nuova copertina, molto oscura ed incredibilmente evocativa, suggestiva, rappresenta probabilmente l'interno di un castello; tutto è inserito in giochi di sfumature, di ombre, di vedo-non vedo. Tinte nero e blu scuro dominano la parte sinistra della raffigurazione, mentre la destra risulta più chiara e tendente verso il celeste / blu oltremare, visto che al centro è posta una finestra dalla quale la fioca luce della luna entra timidamente, per illuminare tenuamente l'interno del maniero. In alto a sinistra il logo della band, in dorato. Dorato come il titolo dell'album, scritto con caratteri tipicamente medievali, come fossero stati dipinti a mano in un monastero. Bel lavoro dell'artista Thurisaz, all'epoca svolgente anche il ruolo musicista degli Amestigon. Fatte le dovute premesse, entriamo dunque in questo desolato maniero, con l'augurio di trovarci dinnanzi all'album della definitiva consacrazione degli Abigor.

Unleashed Axe - Age

L'album parte con "Unleashed Axe - Age (L'Era dell'ascia sguainata)", un inno a varie figure mitologiche tipicamente  nordiche, tra le quali spicca quella del lupo Fenrir (noto anche coi nomi di Fenrisúlfr e Fenris). Il pezzo comincia con un'oscura e malefica tastiera, accompagnata da urla disumane; un clima incredibilmente melodico ed altresì inquietante, predisposto all'instaurazione, nell'ascoltatore, di un profondo sentimento di malinconia ed angoscia. Una tastiera che sembra parlare, supportata inizialmente da rumori di tuoni e da un leggero rullo di crash, appena percettibile. Un'aura malefica che si protrae per una manciata di secondi, salvo poi infrangersi verso una spietata e perentoria accelerazione. P.K. è bravissimo a mostrare un riffing work estremo e freddo, tagliente, ben supportato da una convulsa melodia di sottofondo, abilmente ricamata dal tuttofare T.T. Melodia che esplode di lì a poco, mostrando il lato più squisitamente medieval dei Nostri. Le asce cantano come fossero arpe dannate, non si rinuncia alla grancassa sinfonica ed il contesto può dunque trionfare, mostrandoci una band seriamente intenzionata a lasciare il segno. Parentesi Medieval presto accantonata in favore di un nuovo ritorno all'estremo: come sempre, però, notiamo come le asce giochino ad essere l'una il contraltare dell'altra, lanciandosi in riff devastanti e melodici, sapientemente legati fra di loro, tenuti da una batteria precisa ed anch'essa violenta. Silenius, poi, canta con violenza e cattiveria, dimostrandosi la vera e propria aggiunta in un contesto già di per sé perfetto. Si continua in tal guisa sino al minuto in 4:10, quando la tastiera torna imperterrita a dominare la scena, fornendo ad un contesto violento e caotico un sottofondo spettrale quanto efficace. Da lì in poi, i tempi divengono leggermente più cadenzati, l'andatura diviene molto simile ad una marcia / cavalcata.. un brano perfetto, violento e tagliente, chiuso da suoni campionati di fiati squillanti, sui quali il convulso susseguirsi dei riff finali ci fa giungere quindi ad una conclusione magistrale. Come accennato all'inizio, il brano incentra la sua tematica lirica su figure mitologiche quali il lupo Fenrir; tutte, in qualche modo, legate ad una fine del mondo che verrà scandita dallo sferragliare di spade ed asce. "L'era dell'ascia sguainata" non è altro che la battaglia finale, definitiva, nella quale il Male prevarrà finalmente sul Bene, annientando ogni tipo di luce. Un'era in cui a dominare saranno le tenebre, portate in trionfo da guerrieri oscuri, senza pietà. Il sangue dei vinti scorrerà a fiotti e nessuno potrà salvarsi da un vero e proprio massacro. Il riferimento al Fenrir "sciolto", in tal caso, può farci riflettere circa il contesto. Secondo la leggenda, infatti, l'animale in questione venne tenuto legato per molti millenni, vista la sua infinita crudeltà. La rottura del legaccio che lo teneva immobile, secondo l'antico credo norreno, rappresenterebbe dunque la fine del mondo, il momento in cui il Male, libero, risorgerà strappando le sue catene. Tuttavia, viene difficile credere che una band Black Metal possa volere un Ragnarok in cui gli antichi Dei nordici (da sempre rispettati) perdano effettivamente la battaglia contro le forze di Loki. Più facile interpretare il testo come una metafora anticristiana, in cui Fenrir viene visto solamente come un mostro divoratore, privo del suo naturale contesto e dei suoi storici connotati. Le sue fauci saranno la nostra tomba, i suoi ringhi e latrati scandiranno la fine del mondo in cui OGGI viviamo; nessuno sarà risparmiato, questa è l'era dell'ascia. 

Scars In The Landscape Of God

Il secondo pezzo è "Scars In The Landscape Of God (Cicatrici nel paesaggio di Dio)". Un brano che racconta della distruzione del regno dell'Altissimo, per crearne dunque uno Pagano. Un testo distruttivo, le quali ultime parole narrano, perentoriamente: "Rido quando i miei nemici cadono.. e il sole si ritirerà, nel buio della notte.. per sempre". Si parte con una melodiosa e suadente voce di donna (quest'ultima appartenente ad Elisabeth Toriser, in seguito cantante dei Dragaard) accompagnata da una chitarra classica e da batteria assai dinamica, scandente un ritmo particolarmente preciso ed accattivante. Un nuovo idillio medievale tuttavia destinato a tramutarsi in una corsa all'estremo. Le elettriche fanno subito il loro ingresso, portando violenza e pesantezza, tuttavia il blast beat si palesa non subitissimo. T.T. preferisce infatti mantenersi sul ritmo già udito in apertura, andando a premere sull'acceleratore solo successivamente. Un brano in cui gli Abigor vogliono fare del ritmo e delle cadenze il loro forte, ricamando quindi un contesto interessante; composto, nemmeno a dirlo, dal solito gusto melodico ben percepibile nell'ascia di P.K., splendidamente rifinita dai riff devastanti del tuttofare T.T. I momenti più estremi sono dunque alternati alle cadenze ritmiche imperanti, e verso il minuto 3:04 udiamo un vero e proprio trionfo di melodia e d'atmosfera, nel quale Silenius mantiene il suo scream sepolcrale. La vera sorpresa però giunge a 3:37, quando la chitarra acustica ed uno strumento a fiato compaiono a medievalizzare totalmente la scena, a suon di melodie eteree. Il contesto non cambia poi molto neanche quando tornano le elettriche. Un riffing work molto più arioso, particolare, quasi soave, non fosse per la voce di Silenius, il quale ci ricorda che siamo comunque un contesto estremo. Altro break medievale con tanto di strumenti tipici, rullata di T.T. e si torna a correre in maniera violenta, come non ci fosse un domani. Ricomincia la velocità, il brano si fa devastante, fanno la loro comparsa anche grancassa e timpani sinfonici; il finale è quindi lasciato in balia dell'acustico e della tastiera. Un contesto ancora una volta assai medieval, splendidamente magniloquente, che chiude dunque un altro brano a dir poco incredibile. Come accennato in apertura, il brano torna a prendere caratteristiche guerresche. Questa volta è narrato in prima persona; e, neanche a dirlo, le gesta sono quelle di un cavaliere nero, intento a spazzare via ogni elemento del creato "divino". Il riferimento alla natura pagana del soggetto conferma quanto avevamo già detto nell'analisi testuale del primo brano, quando imputavamo la presenza di Fenrir ad una voglia di simbolismo "forte" e non per forza ad uno schierarsi con l'esercito "anti-Aesir". Il soldato che qui parla rivendica le sue radici ed i suoi dei, considerandosi un eletto, un uomo con il dovere morale di scacciare via dalla sua terra una fede ritenuta falsa ed usurpatrice. Egli è il costruttore di ponti fatti d'odio, quell'odio che lo porterà ad imbracciare la sua spada ed a combattere, infierendo ferite mortali a Dio ed a tutto il suo esercito. Lame che tranceranno carni nonché lo stesso sole, il quale verrà sostituito perennemente da un'eterna notte. L'oscurità ammanterà il mondo, lo ingloberà definitivamente; non ci sarà più spazio per l'angelica luce del giorno. La grazia divina non avrà più alcun potere, nessuno potrà opporre resistenza. Forte dell'antico coraggio, dei suoi antenati e delle antiche grandi gesta dei suoi fratelli, il cavaliere protagonista porterà dunque morte e distruzione nella terra promessa.

Reborn Trough The Gates Of the Three Moons

"Reborn Through the Gates of the Three Moons (Rinato attraverso i cancelli delle Tre Lune)" è la terza traccia dell'album. Le Tre Lune, ovvero la Triplice Dea, rappresentano delle figure mitologiche indo-europee, ovvero le triadi delle greche MoireGrazieParche e delle nordiche Norne, o semplicemente della dea greca Ecate, raffigurata mediante tre diverse fattezze. Si comincia con un bel connubio di chitarra e tastiera, l'una intenta ad emettere un riff già di per sé possente, l'altra a ricamare una melodia squillante e cristallina. Un duo che ben presto viene portato all'esremo, esplodendo poi grazie alla dinamicità di T.T., che dà letteralmente una scossa all'atmosfera cupa grazie al suo blast beat. Si aggiunge il cantante, e notiamo come il tutto, benché sorretto da un ritmo devastante, non rinunci comunque alla melodia della tastiera. La quale, posta certo in secondo piano, riesce comunque a farsi udire, donando quel tocco freddo e mortale ad un caos primigenio, votato alla velocità e alla grossezza generale dei riff rugginosi e penetranti. Ben presto, al minuto 1:08, tutto si calma. Raffiche di vento vengono accompagnate da una chitarra acustica, mentre la voce di Silenius, profonda e lievemente distorta, declama alcuni versi. Una parentesi che porge presto il fianco ad una nuova, terribile impennata; si torna a correre in maniera minacciosamente roboante, un susseguirsi ciclonico di note, ricamate di quando in quando dalle "solite" percussioni sinfoniche (i cui suoni sembrano tuoni) nonché dallo scream allucinante del cantante. Si continua a picchiare sino al minuto 4:43, quando un breve tocco di tastiera comincia ad alternarsi al riffing work generale, fornendoci qualche attimo di respiro. Di lì a poco, la voce in austriaco di Silenius emette con rabbia, in clean, alcuni versi: e l'insieme diviene quindi più ritmato e cadenzato. Riff più melodici, accompagnamento di percussioni sinfoniche, il cantante che torna ad urlare.. un tripudio di magnificenza che ci porta quindi alla conclusione del tutto. Il testo della canzone è sia in Inglese che in Tedesco, e parla di una resurrezione, di una rinascita dalla tomba, quasi come quella di un vampiro, svegliatosi nel cuore della notte per cercare la sua preda. Versi come "Il male, puro come la notte . Orgoglioso, pieno di peccato, ancora una volta mi alzo...  Per sopravvivere in eterno" sembrano confermarcelo, così come molti altri passaggi della canzone. La presenza simbolica delle tre lune sembra comunque svolgere un ruolo marginale, in quanto le liriche qui presenti accendono specialmente i riflettori sulla creatura, la quale ci narra in prima persona la sua esistenza. Un'esistenza strana, eterna, la quale è decisamente diversa dalla nostra. Il suo tempo, quello del protagonista, era infatti giunto, come per tutti: eppure, egli è risorto dalle ceneri, trasformandosi in una creatura dell'incubo. Una creatura pronta a dominare la notte, questo nuovo mondo in cui suo malgrado si ritrova. Malgrado, proprio perché il personaggio non sembra pronto ad ergersi come un dominatore sadico, fiero e furioso. Come tutti i vampiri più "classici", la sua immortalità sembra pesargli enormemente. Vivere di notte, al gelo, con la sola luce della luna come coperta; nutrirsi di sangue, vagare nella notte.. una solitudine che lo angoscia, in quanto egli è un essere che non può sviluppare alcun tipo di legame. Insomma, il perenne dissidio vampiresco: l'amore per il proprio essere, il dispiacere per la propria diversità. Un testo particolarmente poetico, per nulla violento e guerresco come i precedenti. Segno che gli Abigor stiano lavorando anche da questo punto di vista. 

Dornen

La quarta canzone è "Dornen", dal tedesco "Spine", e parte con due chitarre molto melodiche ed evocative, intente quasi a lanciarsi in una serie di scambi à la Mercyful Fate, se non fosse che al posto di un falsetto killer non giungesse lo scream al vetriolo di Silenius, il quale giova decisamente di un'andatura pacata e catacombale, presto sorretta dall'eterea voce femminile già ascoltata. Una voce che si trattiene per molto più che nel brano precedente, e che scorre mesta e madida di pianto, finché Silenius non interviene con brevi scream a riportare un po' d'acida sofferenza nella partita. Non abbiamo ancora assistito a nessuna impennata, i ritmi rimangono lenti e quasi doomeggianti, se non fosse per qualche breve rullata di T.T. Le percussioni sinfoniche fanno quindi il loro gran lavoro, facendosi ascoltare. La voce femminile ricompare a farla da padroni, Silenius ci dona persino un urlo acuto e gracchiante, carco di dolore e stoica sopportazione. E' proprio a 3:49, dopo un soliloquio del cantante, che il pezzo assume una velocità marcatissima ma mai distruttiva. Un'andatura roboante e galoppante, scandita da un'ascia assai melodica e che di fatto chiude una parentesi magnifica, straziante, livida di dolore e di pessimismo. Il testo, metà in tedesco e metà in Inglese, racconta della sofferenza umana e dell'attesa di lasciare questo mondo infimo e sofferente. ".. e derubato l'ultima speranza , termino con coraggio questo dolore, la mia vita". Liriche che confermano quanto abbiamo udito, conformandosi quindi all'aspetto volutamente blando e triste della musica espressa. Il protagonista, difatti, è un uomo giunto ormai all'ultima spiaggia. Quasi come lo sconfitto Leopardi del componimento "A se stesso", l'uomo giunge a rendersi conto di quanto la sua vita sia ormai giunta al termine, sebbene la sua età sia ancora ben lungi dal naturale decadimento fisico. La malattia che lo affligge risiede nell'anima, ridotta in mille pezzi. Un dolore insopportabile che egli non vede l'ora di abbandonare; persino le fiamme dell'inferno gli paiono carezze, in confronto a quel che ora sta provando. Privo di sogni, privo di speranze. Un cuore che batte ma non pompa più sangue, un cuore vivo e morto al contempo. Lo strazio e tale da non poter più concedere nemmeno uno spiraglio di ottimismo, una scintila. Le spine del titolo avvolgono la pelle del protagonista, lacerandola a poco a poco, penetrandola in maniera perversa e sanguinolenta. Un'agonia che il Nostro non è più disposto a sopportare, e spera dunque che presto finisca. Altro testo assai particolare, che si divincola dal solito immaginario satanista/guerresco. Punti in più, che giungono in virtù di questa varietà testuale sino ad ora mostrata.

As Astral Images Darken Reality

 Il quinto pezzo è rappresentato da "As Astral Images darken Reality (Da Immagini astrali, ad oscura realtà)", che narra appunto di un viaggio astrale, di un'esperienza extra-corporea, intrapresa per trovare finalmente la pace, in un luogo desueto quanto atemporale, privo di connotazioni fisiche o comunque tangibili. Un verso particolarmente significativo, infatti, dichiara quanto segue: "...Un deserto senza fine di pietre e ghiaccio, forme di questo regno in cui nessun Re è mai nato. Perché non esiste vita che può essere governata, qui è la meta del mio viaggio astrale, l'unico posto dove ho trovato la pace.". Si parte con un riffing work intrinsecamente soave, melodico, per nulla arrembante o lacerante, impreziosito con lievi tocchi di tastiera. Blast-beat che subentra subito dopo, tuttavia la batteria di T.T. non sembra certo distruggere l'atmosfera della chitarra, la quale invece continua come all'inizio, solamente rendendo i suoni leggerissimamente più pronunciati. Un breve frangente acustico ed onirico, dominato dalla voce in clean di Silenius, ci fa ascoltare chitarre delicate ed ossianiche tastiere: il preludio alla furia che subito dopo si scatena. Le chitarre, benché cariche di atmosfera, arrivano a dilaniare con la loro fredda e terribile potenza, mentre lo scream del cantante lacera l'anima dell'ascoltatore. La batteria pesta duro, sorreggendo divinamente la coppia d'asce, sempre intenta a non disperdere comunque la sua anima melodica, porgendo il fianco al loro lato più "gentile", ma mai a sproposito; sempre e solo al momento opportuno, dotando il pezzo di grande dinamismo compositivo. Arriviamo al minuto 2:11, momento nel quale tornano la tastiera e la chitarra acustica. Il medioevo rivive in questa splendida parentesi, finché l'estremo non torna a prendersi quanto gli spetta di diritto. La folle corsa viene stoppata a 3:09. Andatura pacata e drammatica, sentita, densa di pathos, sulla quale lo scream del cantante gioca la parte dell'ugola incorporea, spettrale, persa nella nebbia. Un'andatura generale da brividi, melodica, delicata, presto raggiunta dall'acustica. Si chiude dunque un altro brano stupendo, nonché quello più breve del lotto, dall'alto dei suoi tre minuti e quarantatre secondi. Il testo, assai breve e ricco di suggestività, descrive come abbiamo detto un viaggio extradimensionale, nel quale il nostro protagonista si trova perso in una landa desolata, sperduta in qualche oscuro meandro del tempo e dello spazio. Un locus amenus benché inquietante come pochi: la calma regna sovrana, tuttavia non dobbiamo certo aspettarci un epico paesaggio montano, né tantomeno un giardino simile all'Eden. Tutto ciò che vediamo è oscurità, buio che ingloba un deserto senza fine, le cui sabbie sono fredde come il ghiaccio. Un luogo nel quale lo spirito dell'io narrante raggiunge finalmente la tanto agognata pace. La sofferenza del mondo esterno non è ammessa, fra le sabbie di questo aldilà. Ogni ingerenza ed incombenza sono lasciate a pallidi ricordi, i quali non fanno più male. Sembra quasi che le spine del precedente testo abbiano finalmente lasciato in pace il soggetto disperato nel quale ci eravamo imbattuti. Ed ora, come ricompensa per il dolore patito, l'uomo può finalmente trovare la pace, per sempre perso, con il corpo e con l'anima, fra le tempeste di sabbia di un luogo in cui nessun mortale può mettere piede. 

The Dark Kiss

Giungiamo quindi alla sesta traccia del lotto, "The Dark Kiss (Il Bacio Oscuro)". Un brano ancora narrato in prima persona, che riprende la figura del vampiro immortale, reso tale mediante un bacio "oscuro" appunto, come si evince chiaramente dalle lyrics: "Sono ancora morto, ma sogno In attesa del mio tempo di resurrezione. Ricordo di un giorno lontano nel passato, quando sono stato benedetto con il bacio scuro. Il dono che mi ha immortalato una volta.. oh, mi ricordo il sapore del sangue caldo". Partono subito tutti gli strumenti, in un contesto estremo e veloce, parzialmente mitigato da lunghe e spettrali note di tastiera. Si parte quindi senza ritegno alcuno, sguinzagliando i segugi infernali e decidendo di mostrare un po' di sana schiettezza. Piccolo intermezzo di effettata voce femminile e subito si riprende a picchiare. Percussioni sinfoniche in sottofondo e notiamo come anche le melodie della chitarra solista siano più fredde che mai, propedeutiche all'aspro riffing work ricamato dall'instancabile T.T., ottimo anche in fase di ritmica, destreggiandosi fra basso ed una batteria a dir poco furiosa. Pochi sono gli excursus atti a farci riprendere fiato: persino quando il brano diviene più cadenzato, infatti, e tutto sembra dilatarsi, la naturale crudeltà degli Abigor continua ad aleggiare imperterrita, senza trovare sosta. Abbiamo comunque un pregevolissimo momento in cui le tastiere, lasciate libere di esprimersi, donano la vita ad una piccola parentesi sempre di stampo medieval. Un disco che potrebbe gareggiare alla pari con un certo "Dark Medieval Times", a parer di chi scrive. Urlo lancinante di Silenius verso metà brano, ed il pezzo si incanala lungo un proseguo più "mite" e certamente melodico, scandito da tempi ancora più lenti di quelli sentiti in precedenza. Tempi blandi e quasi tristi, mesti all'inverosimile, sui quali si staglia nuovamente l'ugola della brava cantante. Timpani e grancassa da concerto fanno anch'essi da padrone per una parentesi, sin quando il gruppo torna a correre a folle velocità, sino alle ultime battute. Ultime demoniache urla di Silenius e quindi la tastiera imperante che di fatto caratterizza i secondi finali. Come anticipato, il testo narra ancora di vampirismo, ma questa volta in maniera assai più esplicita di com'era avvenuto in "Reborn..". Il protagonista, infatti, è un Vampiro fatto e finito, che ci racconta del suo sonno, prima del risveglio. Un bacio oscuro, quando era ancora in vita, lo colpì. Un bacio che lasciò il segno, ricevuto da un suo (a posteriori) simile. Naturalmente non parliamo di un gesto d'amore: "bacio" è infatti una metafora per indicare il morso, ritenuto però tanto dolce e benevolo da sembrare quasi uno schiocco di labbra. I canini del vampiro affondarono dunque nelle carni dell'uomo, prosciugandolo del suo sangue mortale. E' proprio a quel punto che, secondo la storia in generale, il Vampiro padrone pratica un'incisione sul suo polso, invitando la vittima a bere. Assumendo sangue vampiresco dopo essersi liberati del debole fluido umano, dunque, si giunge al tanto agognato status di immortalità. Un lungo sonno costellato di incubi, visioni, dolore; un sonno dal quale potremmo addirittura non scegliarci più, se non in possesso della forza necessaria per andare avanti lungo il percorso di mutazione. In questo caso, inutile dirlo, il protagonista è riuscito ad arrivare fino in fondo. Si risveglia nella sua bara, rinvigorito ma assetato. "Il sangue è vita..", sentenzia, prima di dileguarsi nella notte, alla ricerca di colli da mordere. Curiosità della quale non molti sono al corrente: la creazione del suddetto testo è stata accreditata, dagli stessi Abigor, nientemeno che ad Hendrik Mobus, ex batterista del gruppo Black Metal/RAC Absurd, in seguito incarcerato per via dell'omicidio di Sandro Beyer

I Face The Eternal Winter

E' con un'intro desolante e malinconica che parte il settimo brano, "I Face The Eternal Winter (Affronto l'Inverno Eterno)". Una intro in cui chitarre e tastiera, alla Immortal, vogliono subito instaurare un clima che suoni quanto più duro e freddo possibile. Il brano diviene poi aggressivo, complice la batteria di T.T., dinamica e mai prevedibile. I gelidi excursus à la Abbath comunque continuano, soprattutto nel cantato di Silenius notiamo stilemi che sembrano avvicinarlo di molto all'ex frontman dei norvegesi. La sensazione di trovarsi in un brano sospeso a metà fra "Pure Holocaust" "Battles in the North" è forte, anche quando subentra dopo il primo minuto una piccola e calma parentesi, scandita da una melodia sempre gelida, capace di portare le nostre ossa al raggiungimento dello zero assoluto. Si prosegue quindi alternando momenti più duri e canonici ad altri più acustici e melodici; è proprio in questi ultimi che il "vero" spirito degli Abigor viene fuori, creando di fatto un connubio interessante con le parti più estreme, queste ultime leggermente più "derivative". Interessantissimo il contesto che si instaura al minuto 2:52. Dopo una parentesi assai cadenzata, il brano assume i tratti epici di una marca, in cui le percussioni sinfoniche fanno il loro gran lavoro. Un frangente che va dunque ad evolversi in un riff convulso e rugginoso, impreziosito dal battere di campane. Il brano va dunque ad acquisire una nuova sorta di cadenza, la quale ci accompagna dunque fino alla fine del minutaggio. Il testo, anch'esso assai legato alla tradizione "invernale" inaugurata proprio dagli Immortal, vede la stagione più dura e lunga per antonomasia assumere caratteri a dir poco metaforici. A quale stato d'animo associamo, l'inverno? Se l'Autunno è di per sé "romantico", mentre l'Estate e la Primavera rievocano l'immagine della gioia incontenibile.. il Generale Inverno ha sin dall'alba dei tempi rappresentato la malinconia, la durezza, l'asprezza dell'animo umano. Il ghiaccio ed il gelo perenne, le notti interminabili, la luna che pallida domina cieli nuvolosi, gonfi di pianto. E' proprio questo lo stato d'animo del protagonista. Egli è catapultato in questa terra invernale, rappresentante la sua anima. Il suo cuore, arido di buoni sentimenti, è alimentato ad odio. La dimensione invernale, dunque, gli si addice quant'altre cose mai. Una regione, quella del suo mondo interiore, in cui l'oscurità domina. Malinconia e tristezza, alimentate da lacrime di sorda rabbia. Non temendo le conseguenze del suo sentirsi sempre inadeguato ed esiliato dal mondo, il Nostro si dichiara quindi pronto ad affrontare questo eterno Inverno, lasciandosi indietro ogni sorta di legame.

Revelead Secrets Of The Whispering Moon

Quasi vicini alla fine ci imbattiamo quindi nell'ottava traccia del platter, "Revealed Secrets of the Whispering Moon (Segreti rivelati della Luna Sussurrante)". Si parte subito veloce grazie ad un riff vorticoso accompagnato da timpani imperiali; un frangente che ha dell'epico, stemperato da un piccolo excursus melodico ma lesto a riprendere il terreno momentaneamente perduto. Entra in scena Silenius, il quale continua a promuovere questo mood, alternando momenti più veloci e "killer" ad altri più melodici e cadenzati. Soprattutto quando è la voce femminile ad intervenire, possiamo udire gli Abigor disposti a rinunciare momentaneamente alla cattiveria. E' come se il gruppo volesse rendere ogni brano variegato, portando in trionfo la melodia grazie ad una brutalità irascibile. Uno ying ed uno yang che si rincorrono perpetuamente, donando la vita ad un vero e proprio ciclone di emozioni e sensazioni differenti. In virtù di questo gioco di alternanze, questo brano sembra essere uno dei più epici del brano. Andatura spesso maestosa e magniloquente, particolare, decisamente guerresca, di battaglia. Una piccola parte di tastiera sopraggiunge al minuto 3:28, continuando a perpetrare l'andamento epico sino ad ora delineato. Splendido l'uso dei timpani, e poco dopo di può tornare a correre in maniera selvaggia, nella più greve tradizione Black. Pausa improvvisa verso il minuto 4:43, ultima accelerata.. ed in seguito la definitiva conclusione. Il testo, riprendendo la stessa logica di quelli dei primi brani, torna ad affrontare tematiche iconograficamente tipiche del Black Metal: servire il male, inculcare il seme dell'odio, il malessere della vita. "Sono Satana e Satana è me, la mia vita è una cerimonia funebre. Ho marciato attraverso le tombe dei mortali , io obbedisco ai più profondi istinti interiori. Voglio ottenere il potere senza fine delle tenebre, per posizionare il seme del Male, proprio nel cuore della Terra". Versi che non lasciano ampio spazio, dunque, ad un'interpretazione o ad un discorso profondo. Un testo che fa "marcia indietro" e torna ad esprimere una misantropia satanica che forse stride un po' con i versi poetici e decadenti che avevamo avuto modo di leggere nel cuore del disco. Tutti i cliché del Black Metal sono dunque espressi senza fronzoli o filtri: l'essere un tutt'uno con Satana, l'essere suoi fedeli servitori, considerarsi dei suoi eletti, tanto da poter assurgere noi stessi alla figura di Anticristo. Con tutto ciò che da questo compito consegue, ovvero il diffondere il panico nella terra, spargendo il seme del male e facendo in modo che tutti gli esseri umani arrivino ad onorare / venerare l'unico superbo padrone. Niente di nuovo sotto al sole, insomma. La notte viene vista come lo stato d'animo del protagonista, dal cuore nero ed oscuro, pronto ad uccidere in nome dell'Arcidemone, servo leale dell'unico vero imperatore, l'Angelo Caduto, il divoratore di anime pure.

A Frozen Soul In A Wintershadow

Giunti alla fine di questo viaggio, siamo quindi al cospetto dell'ultima traccia, "A Frozen Soul in a Wintershadow (Un'anima gelata nelle ombre invernali)", la quale riprende testualmente quanto di buono era stato espresso in tracce come "As Astral..": l'amore per la notte, per l'oscurità, il Male, la Morte, il tutto espresso in maniera cupa, oscura, decadente. "I lupi ululano per onorare la Luna, sento attrazione per la notte. Posso sentire le creature del buio, i miei sogni sono illusioni. La mia anima è congelata , il Male governa la mia mente. Sono in grado di affrontare la notte eterna.. perché sono nato in questo mondo?". Si comincia subito in maniera particolarmente cadenzata ed epica, con la melodia della tastiera che ben si intreccia ai motivi particolari scanditi da T.T. in sottofondo. Quest'ultimo e dedito anche al lato più estremo delle chitarre, le quali al solito mostrano il loro lato più accondiscendente, arioso ed ispirato grazie ad un P.K. in grande forma. Un brano che risulta piacevolmente scorrevole, musicalmente parlando, reso aspro e crudele dallo scream di Silenius, grande interprete del lato oscuro. Verso il minuto 1:16 abbiamo già una significativa variazione, un totale cambio di andatura e di atmosfera. Le chitarre si limitano ad emettere uno zanzaroso sottofondo, mentre profonde rullate di timpani dapprima sostituiscono e dopo poco si integrano un tempo di batteria preciso e ragionato. In sottofondo, cori di voci disperate, come lamenti di anime dannate. Si riprende di lì a poco con un blast beat devastante; il brano decolla e comincia a macinare chilometri in maniera violenta, anche se la tastiera interviene di lì a poco per rendere tutto incredibilmente drammatico. Alternanza quindi di violenza e melodia, sino a giungere al minuto 3:47, quando il tutto diviene più epico. Timpani e grancassa sinfonica si fanno sentire come non mai, compare anche la voce femminile, finché un riff Black ma di matrice quasi Hard n' Heavy fa la sua comparsa. Un'andatura interessante ed incredibilmente particolare, la quale rende questa porzione di brano incredibilmente avvincente, originale, del tutto incredibile. Anche il ritmo diviene più composto, almeno fino al minuto 5:10, momento in cui il blast beat torna ad indiavolare gli animi e le chitarre ricominciano ad emettere riff all Black, allo stato puro. Un frangente violentissimo, tirato, crudele, distruttore, che come un ciclone spazza via tutto ciò che trova; e che, di fatto, chiude l'album nonché il disco in maniera più che mai degna. Come anticipato in apertura, gli Abigor decidono di riprendere, fortunatamente, tematiche non scontate ed assai più interessanti delle normali "guerre pro Satana", già in quegli anni argomenti ormai eccessivamente inflazionati. Nella fattispecie, ci troviamo a tu per tu con dei versi carichi di stoica rassegnazione alla Morte, vista come una vera e propria liberazione. Il paesaggio invernale è nuovamente metafora del nostro stato d'animo. Le tormente di neve imperversano, i lupi ululano alla luna, la quale illumina tenuamente un paesaggio austero, aspro, invivibile. Quella è la nostra anima, tenuta separata dal resto del mondo da barricate piene d'odio, rette dal rancore e dalla disillusione. La vita non ci appartiene, siamo creature della notte e come tali dobbiamo ricongiungerci a ciò che ci appartiene di diritto. Il freddo inverno ci accoglierà, senza fare domande. Su ali di ghiaccio voliamo nel cuore della tormenta, luogo in cui potremo finalmente ricongiungerci al vero tutto, quello che da sempre ha scandito la nostra vita. Cuori di ghiaccio temprati dalle tempeste, notti insonni, lupi ululanti. Questo è quello che vogliamo, senza paura marciamo dunque verso la notte; la nostra vera, unica e sola amante, madre, compagna, sorella, figlia e moglie.

Conclusioni

Non resta altro da fare, giunti alla fine di questo viaggio, che ringraziare sentitamente gli Abigor di quanto sono stati in grado di donarci. La paura di uno scialbo seguito di "Invoke.." si è dileguata dopo appena l'attacco della open track, tutti i dubbi e le incertezze sono evaporate come acqua lasciate al sole. Inutile girarci troppo intorno: "Nachtymnen.." rappresenta un punto incredibilmente alto per la discografia del terzetto austriaco, una vera e propria gemma nera incastonata in una corona di ghiaccio perenne. Un monumento alla spettacolarità del Black Metal più atmosferico e sentito. Un disco che provoca sensazioni inaudite, che smuove l'anima, che la fa vibrare a suon di melodie alienanti e gelide come il tocco della mietitrice; un full-length che di fatto eguaglia "Invoke.." ma contemporaneamente lo supera. Per tanti, disparati motivi. Cominciamo però dai più "tecnici". Nonostante fosse passato un anno dal 1994, gli Abigor di questo secondo full-length si svelano decisamente molto meno acerbi e molto più "pronti" di quello che erano appena qualche mese prima. Li avevamo di certo apprezzati, al loro esordio, tessendone le lodi soprattutto in virtù della loro capacità compositiva. Una capacità che forse, però, era rimasta leggermente nell'ombra per tanti motivi. Vuoi che il gruppo si trovava per la prima volta alle prese con un lavoro di più ampio respiro e non con una demo autoprodotta; vuoi che le pressioni di un contratto stipulato con un'etichetta si fanno sentire, e bisogna pur sempre conformarsi a nuovi obblighi nonché metodi di lavoro; vuoi che la volontà di risultare un elemento di spicco nel panorama era molta e dunque anche la "smania" di emergere aleggiava impertinente sulle teste dei nostri T.T.P.K. Silenius. Insomma, tutto un insieme di cose che avevano reso "Invoke.." sicuramente stupendo, ma non eccellente. Le idee c'erano, serviva solo più consapevolezza dei propri mezzi, e coraggio. Un coraggio qui trovato e sviluppato in maniera egregia. L'innesto della voce femminile, l'ampio spazio donato a timpani e grancassa, la tastiera arricchente e mai "sdolcinata" o fastidiosa; il cantato straziante di Silenius, lo splendido lavoro chitarristico di P.K. e T.T., quest'ultimo anche buon batterista. Insomma, tutto al servizio di brani mai noiosi, mai prevedibili. Ma anzi incalzanti, degnamente rappresentanti di una crescita pressoché totale. Aggiungiamo anche una produzione assai migliore di quella che avevamo potuto assaporare ai tempi di "Invoke..", e tutto arriva dunque dritto al punto. "Nachthtmnen.." è uno dei gioielli del 1995, poco da farsi. Un disco eccellente dal punto di vista tecnico quanto emozionale. Sembra quasi di trovarsi immersi in un castello, a sua volta perso in un mondo in dominano la notte e le tormente di neve. Siamo lì, a lume di luna, riflettendo sull'esistenza, sul tempo, sulla tirannia della vita. Il tutto, con questi nove brani in sottofondo. Soffia il vento e percepiamo il freddo; e la musica degli Abigor, come la nostra anima, diviene un tutt'uno con l'ambiente circostante. Un tristo maniero esiliato dalle leggi dello spazio e del tempo.

1) Unleashed Axe - Age
2) Scars In The Landscape Of God
3) Reborn Trough The Gates Of the Three Moons
4) Dornen
5) As Astral Images Darken Reality
6) The Dark Kiss
7) I Face The Eternal Winter
8) Revelead Secrets Of The Whispering Moon
9) A Frozen Soul In A Wintershadow
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