ABBATH
Abbath
2016 - Season of Mist
MARCO PALMACCI
07/02/2016
Introduzione Recensione
"Nulla è per sempre", recita perentorio un vecchio adagio. Forse, uno dei detti più odiosi mai esistiti; proprio perché, quando ci si rende conto della pungente verità che queste semplici parole portano in loro e con loro, la prima reazione è sempre quella di rigettare violentemente ogni tipo di situazione e conseguenza ci si dipani davanti. Poi arriva la consapevolezza, la tristezza, l'abbattimento generale. Questo è quel che dovrebbe aver provato, come me, ogni fan di vecchia data degli Immortal, autentiche colonne del Black Metal norvegese, fra i gruppi più rappresentativi e particolari mai sfornati dalla fredda nazione scandinava. Sembrava impossibile, eppure la loro avventura sembra ormai avviata verso un futuro che mai e poi mai ci saremmo aspettati. Abbath, storico membro fondatore della band (assieme all'altrettanto storico Demonaz), ha infatti lasciato ufficialmente il gruppo durante lo scorso 2015, privando così il leggendario complesso di un elemento che definire iconografico ed imprescindibile sarebbe un mero eufemismo. La notizia ha provveduto a gelare un clima di per sé già caldissimo, pur non apportando questo freddo i benefici sperati. Eravamo certamente abituati alle tormente degli Immortal, ma solamente a quelle generate dalle loro pungenti e taglienti note. Più che rinfrescarci od esaltarci, la tempesta che i Nostri hanno scatenato ha provveduto questa volta a smarrirci all'interno di un limbo dal quale tutt'ora nessuno sembra ancora aver trovato una via d'uscita. Abbath è uscito dal gruppo come Jack / John Frusciante eppure la macchina sembra non volersi fermare. Nonostante la terribile mancanza e la privazione di un membro chiave (se non IL, ma non sarebbe giusto togliere a Demonaz dei meriti guadagnati in maniera onesta), il progetto continuerà. Sia Demonaz che Horgh (batterista storico del gruppo, attivo nel combo sin dal 1997, anno di "Blizzard Beasts") sembrano aver confermato la cosa, annunciando addirittura un nuovo album in uscita per la "Nuclear Blast", etichetta che segue il gruppo scandinavo sia dai tempi di "Sons of Northern Darkness" (quando ancora a patrocinare le uscite targate Immortal era la "Nuclear Blast America", "filiale" dell'effettiva "N.b." divenuta poi ufficialmente l'etichetta del complesso con il lavoro targato 2009 "All Shall Fall"). Un nuovo album avvolto nel mistero, pronto a debuttare in tempi nemmeno troppo lunghi e che ha insita in sé anche la firma di Abbath, visto che gli Immortal stavano lavorandoci da ormai un po' di anni. A conti fatti, l'ultima uscita (parlando di inediti) risale proprio al 2009. Questo ampio lasso di tempo più diversi show cancellati nell'arco dall'ultimo album ad oggi sembravano già confermare un malumore interno ad una band ormai in bilico (e pericolosamente) sull'orlo di un baratro. "Bilico" è pur sempre sinonimo di equilibrio, però, e noi tutti pensavamo che forse il tutto si sarebbe risolto (come per molte altre band) con un confronto costruttivo anche acceso, ma che per lo meno avrebbe portato le parti coinvolte verso una svolta significativa. La svolta è effettivamente avvenuta, ma non certo come chi come me è cresciuto spaccandosi i timpani con "Pure Holocaust" si aspettava. A rompere il ghiaccio è stato proprio Abbath, il quale ha espletato tutto il suo malessere in una lettera inviata direttamente al "Norwegian Industrial Property Office" nella quale si faceva chiarezza (fino a prova contraria) circa questo status di inattività ed altalenante presenza di live show. Riassumendo brevemente il contenuto del documento, il chitarrista ha espresso la sua forte contrarietà circa un atteggiamento di scostanza tenuto da parte di Demonaz e Horgh, i quali (a detta di Abbath presi dal loro menage familiare) avevano deciso di prendersi una pausa piuttosto lunga perché insoddisfatti di come le cose si stessero sviluppando, in seno alla band. Pretendendo dunque di piegare l'amico ai loro ritmi, tempi e modi. Abbath non poteva certo permettersi di tirare assai troppo per le lunghe l'attesa per un nuovo disco, in quanto il contratto con la "Nuclear Blast" parlava sin troppo chiaro: gli Immortal avrebbero dovuto sfornare un nuovo lavoro, anche se il clima non era dei migliori. Deluso dall'atteggiamento dei compagni di band, Abbath affermò anche che i due avevano limitato praticamente al minimo del minimo la loro attività in sala prove, lasciando poi definitivamente solo il frontman della band. Il quale, come precisa la lettera, era stato costretto a pagare di tasca sua anche le quote dell'affitto di Demonaz e Horgh. Questo vero e proprio abbandono fu visto da Abbath come la prova inconfutabile del loro voler lasciare gli Immortal, che però gli garantivano la sua unica fonte di sostentamento economico in quanto egli, come professione, è un musicista a tutti gli effetti. Pause troppo lunghe non potevano essere prese, il gruppo doveva continuare proprio perché vero e proprio lavoro, oltre che passione. Proprio per questo motivo, il chitarrista ha deciso di appropriarsi dei diritti circa il nome del suo storico gruppo, cercando di rimettere assieme i pezzi e di registrare il materiale composto assieme ad altri musicisti. Nel documento è lo stesso Abbath a dichiarare di quanto nel corso degli anni egli fosse diventato praticamente il frontman della band sotto ogni punto di vista, in quanto Demonaz (benché eletto dagli albori paroliere ufficiale del complesso) era impossibilitato sin dal 1997 a suonare la chitarra causa problemi di tendinite acuta. Horgh, invece, veniva definito nella lettera come un semplice batterista e nulla più, per nulla attivo in fase di composizione e songwriting. Viste così, le richieste di Abbath, nonché le sue motivazioni, sembrerebbero ragionevoli ed anche legittime. Eppure, dopo un brevissimo periodo, è ben presto Demonaz a suonare la carica, ammettendo di aver incaricato un avvocato di seguire la querelle e di annunciare ben presto tutte le informazioni a suo dire errate contenute nella lettera. Horgh e Demonaz infatti non ci stanno, ed impediscono ad Abbath di monopolizzare i diritti gravitanti attorno al nome "Immortal". La prima reazione di Abbath è di profonda stizza: egli definisce questa causa intentata come un vero e proprio sabotaggio nei suoi riguardi nonché come un atto di ingordigia dei due ex-amici, accusati unicamente di voler lucrare sui suoi sforzi. Tutto un altro paio di maniche, almeno secondo quanto il duo ha ribadito con forza in una dichiarazione piuttosto eloquente, la quale avrebbe dovuto far luce su tutta la questione. In poche parole, Demonaz e Horgh accusano Abbath di aver voluto lui ritardare l'uscita dell'ultimo album, poiché bisognoso di un periodo di tempo da investire per un ricovero (si parla addirittura di riabilitazione, lasciando presupporre il fatto che il chitarrista avesse qualche particolare dipendenza). Il compositore ed il batterista si erano detti favorevoli, dichiarando solidarietà ad Abbath e concedendogli, testuali parole, "tutto il tempo che gli serviva", anche perché l'annuncio della riabilitazione era stato dato, dal chitarrista, in cosiddetta pompa magna, coinvolgendo anche la sua famiglia e le altre famiglie degli altri due membri. Giacché (come sempre dichiarano Demonaz ed Horgh) non era la prima volta che Abbath si rivolgesse ad una clinica, il duo acconsentì senza problemi. Il tutto però si rivelò una scusa, in quanto Abbath cercò in questo modo di sottrarre ai compagni la loro "fetta di torta" agendo da vittima di un complotto orchestrato ad arte proprio da lui. Anzi, i membri degli Immortal dichiararono che le attività del gruppo erano a rilento proprio per colpa dello stesso Abbath, il quale non riusciva a donare alla sua band una sua personale presenza costante, disertando non poche prove. Anzi, quasi tutta la loro totalità, per diversi mesi. In virtù della querelle, la "Norwegian Industrial Property Office" ha deciso di respingere le ragioni di Abbath, definendolo come co-compositore dei brani e non come il loro unico "padre". Vittoria per Horgh e Demonaz, boccone amaro per Abbath che dunque dapprima scioglie gli Immortal ed immediatamente dopo fonda una nuova band, sempre dichiarando di essere lui dalla parte del giusto. Dati i vincoli contrattuali con la "Nuclear Blast", però, il progetto non può non andare avanti. Forte dei suoi diritti acquisiti circa il nome del suo gruppo, dunque, il duo rimanente decide di registrare quel materiale che vedrà la luce proprio in questo 2016, sotto il marchio Immortal. Quando una band si "scioglie", in genere, la verità è nel mezzo. Da addetti ai lavori possiamo unicamente scegliere in totale libertà a chi da retta, non lasciando però che il nostro giudizio mini l'effettiva qualità dell'una e dell'altra release promesse. Quest'oggi, dunque, in attesa che casa Immortal suoni la carica, ci occuperemo di quello che gli ABBATH (lo stesso gruppo adotta il maiuscolo per definire il proprio monicker), nuova band omonima del chitarrista, hanno sfornato lo scorso ventidue Gennaio (uscita patrocinata dall'etichetta "Season Of Mist" e semplicemente intitolata "Abbath"). Partiamo dall'inizio: dopo l'uscita dal suo storico gruppo, Abbath non ha deciso di star troppo con le mani in mano; è stata una veloce telefonata al suo amico bassista King Ov Hell (un altro che in materia di "complotti" la sa sin troppo lunga. Nessuno s'è mai scordato di quando cercò di scippare assieme a Gaahl i Gorgoroth dalle mani di Infernus..), già membro dei God Seed, a convincerlo che l'avventura poteva ancora continuare, ed in un batter d'occhio la nuova formazione si trovò ben presto degli ingaggi importanti, con la promessa di un debut album che nel 2016 avrebbe fatto la sua trionfale comparsa. Alla batteria venne assoldato il misterioso Creature, col tempo rivelatosi nientemeno che Kevin Foley, batterista dei francesi Benighted, più un altro innesto per la sola parentesi live. Per Valla viene infatti scelto come chitarra solista, e dunque il nuovo marchio è finalmente pronto a muovere i suoi primi passi. Gli Abbath, benché si dica o si pensi, hanno dimostrato di saper vincere e convincere: dapprima sottoponendosi al battesimo live di quel "Tuska Open Air 2015", nel quale il nuovo brano "Fenrir Hunts" ha effettivamente esaltato gli spettatori presenti, ed in seconda battuta pubblicando un disco che, nemmeno dopo quindici giorni ha già incassato responsi più che positivi da parte di critica e fan. Niente male, vista l'aria di burrasca che ancora aleggia sulla testa del nostro chitarrista dal volto pitturato. Nonostante i quasi subitanei gli addii di Foley e Valla per motivi strettamente personali, il gruppo ha presto trovato una nuova stabilità assoldando come turnisti in sede live Gabe Seeber (batteria) e Ole André Farstad (chitarra solista). Il tutto è dunque ancora in moto e movimento, pronto a regalarci il bis quando meno ce lo aspettiamo. Lo stesso Abbath ha dichiarato di avere materiale a sufficienza per altri tre dischi; nell'attesa, però, caliamoci nei meandri del primo parto di questa formazione nuova di zecca. La Bestia della Tormenta è ancora in grado di far vibrare le nostre anime? Non ci resta che scoprirlo.. Let's Play!
To War!
A darci il benvenuto sono i pesanti passi che aprono di fatto "To War! (Guerra!)", rumori di terreno pestato che presto lasciano spazio all'ascia di Abbath, scura e distruttiva più che mai. Un riff del genere posto in apertura di disco ben giustifica il titolo della canzone della quale stiamo disquisendo: sembra che l'ascia del Demone Invernale stia portando con sé tutto il suo carico di gelo nordico e crudeltà alla quale gli Immortal ci avevano abituati. Lo stesso Foley Creature ci fa balzare dalla sedia mediante un drumming possente, roccioso e preciso rasentante la marzialità. Con il basso di King estremamente buono nell'atto di cesellare questo suono, riempiendolo a meraviglia, possiamo magari non gridare al miracolo ma senza dubbio ammettere di trovarci dinnanzi ad un qualcosa di veramente ma veramente buono. Particolarità, la chitarra solista è affidata a Ole Farstad, benché sia accreditato unicamente come session man in sede live. Questione di lana caprina, il suo effettivo ruolo: l'ascia solista comincia a farsi udire supportando il marmoreo riffing di Abbath, cominciando a "gridare" nel background e scaldandosi per entrare presto in scena. Il primo minuto è dunque scandito da un determinato approccio marziale ed inquietantemente cadenzato, sembrerebbe quasi di ritrovarsi dinnanzi ad un contesto stile Venom degli ultimi tempi (un brano come "Hammerhead", per dire) ma estremamente brutalizzato e reso per l'appunto Black Metal; così come fu 30 anni fa, quando i giovanissimi blackster norvegesi trassero spunto dal lavoro della band di Newcastle per maturare il loro sound estremo e devastante. Ben presto Creature prende in mano le redini ed il tempo diviene più incalzante, la band tutta procede in maniera sempre più spedita e, dopo uno stacco da manuale verso il minuto e 33, abbiamo finalmente l'entrata in scena di un poderosissimo blast beat, sul quale le chitarre si stagliano adottando un riffing violento e serratissimo, oscuro quanto la notte più nera che possiate mai immaginare. La voce di Abbath viene quasi coperta dalla foga degli altri strumenti ma è proprio questo a renderla ancora più demoniaca ed eccezionalmente grim, quasi stessimo effettivamente udendo i proclami di guerra di un Uruk-Hai. Il drumming di Creature non è mai banale, il blast beat è meravigliosamente cesellato mediante frenetiche rullate ed un sapiente uso dei piatti, rendendo di fatto la traccia un vero e proprio devastante assalto sonoro. Udiamo le cadenze marziali di inizio brano esattamente un minuto dopo, verso il minuto 2:40, momento nel quale il contesto rende i suoi tempi di nuovo meno forsennati ma più inquadrati, dando sempre sfoggio di una cattiveria fuori dal comune. Ole è un abilissimo interprete ed Abbath il supporto ideale, i dialoghi oscuri e freddi come i ghiacci perenni che i due ricamano sono a dir poco stranianti e capaci di disintegrare via qualsiasi ostacolo o barriera; giungiamo in seguito al minuto 3:51, momento in cui si dipana dinnanzi ai nostri occhi una sezione strumentale che beneficia del chirurgico drumming di Creature, degno tappeto sonoro di un assolo che gode di un sound quasi Bathory-style (quelli del Quorthon più Viking) eseguito da Ole, il quale fa risaltare il suo sound pulito ed acuto perfettamente amalgamato sui riff grossi e polverosi di Abbath e King. Si ritorna a folleggiare prestissimo a suon di blast-beat, l'estremo la fa da padrone e cavalca come un Nazgul assetato di sangue; un brano che si conclude dunque a suon di batterie percosse e chitarre dilaniate, deflorate, salvo poi sfumare verso un finale ad libitum. Se questo era il biglietto da visita, la nostra avventura è di certo partita molto bene. Le liriche, per la prima volta nella carriera di Abbath non scritte dal gran paroliere Demonaz, sembra evocare cruente gesta belliche compiute da non meglio precisati esseri. Viene citato un demone ferocissimo ma non delineato da contorni necessariamente "satanici", l'unica creatura che rimanda sicuramente ad una determinata tradizione è il colossale Behemoth, indicato come mostruoso servitore del Male assoluto. Il corno da guerra suona perentorio, è ora che le schiere nere si compattino perché da questo momento in poi sarà guerra aperta. I nemici non dovranno conoscere scampo o pietà da parte dei combattenti, essi dovranno essere schiacciati senza curarsi della loro età o del loro sesso. Maschi o Femmine non ha importanza, chi ci sta davanti è un mortale nemico e merita solamente la Morte; più dolorosa e cruenta possibile, naturalmente. Altre creature mitologiche citate sono i Ghoul, demoni mediorientali qui presentateci in assetto di guerra, armati fino ai denti e possenti nonostante i loro corpi magri e scheletrici. Indossano dei tirapugni particolarmente pesanti e minacciosi con i quali sono pronti a far male. Il campo di battaglia sarà trasformato presto in un totale macello, i templi saranno dissacrati e le sacerdotesse verranno divorate da demoni affamati, nonché private della loro innocenza; i corpi delle vittime saranno appesi ai rami degli alberi e le loro carni verranno divorate dai falchi che volano in alto, i teschi spolpati e privi di carne rotoleranno lungo la pianura quando la tempesta imperverserà. L'esercito del Male è una possente schiera ed un'invincibile macchina da guerra, la loro forza sta nella loro totale dedizione all'arte del combattimento e della conquista. Essi porteranno morte e pestilenza, fracasseranno crani a suon di martellate, dilanieranno le carni a furia di asciate.. nessuno mai potrà contrastarli, nessuno mai potrà sconfiggere questi mostri. Un testo decisamente ben scritto anche se lontano dalle poesie di Demonaz, delle liriche comunque affascinanti che sembrano richiamare a gran voce l'universo Tolkeniano, soprattutto quello schierato nei ranghi di Mordor, la terra Nera.
Winterbane
Incalzantissimi i ritmi di "Winterbane (Catastrofe Invernale)", traccia che si apre sempre con un notevole drum work coinvolgente e distruttivo splendidamente sostenuto da un Creature ben rodato e sugli scudi. Non abbiamo grandi parentesi strumentali come "inzio", questa volta, difatti Abbath (che in questo caso si riprende il ruolo di solista) entra subito in scena con il suo cantato orribilmente grim, stando attento a ricamare un riff che segua alla perfezione il drumming spezza ossa dettato da Foley. Un riff lineare e compatto, condito di quando in quando da piccole "schegge" freddamente tendenti alle solite melodie nere ed arcane alle quali il chitarrista ci ha abituato nel corso della sua intera carriera. Pur non essendoci blast beat, possiamo comunque bearci della violenza con la quale il batterista percuote il suo drum kit, quasi cercasse di bucare le pelli a suon di colpi. Creature riesce infatti e comunque a dar sfoggio di un drumming che sa sicuramente imprimersi nelle nostre menti. Non certo un mero e semplice gesto di accompagnamento, così come l'ascia di Abbath non è intenzionata ad essere violenta e basta: al contrario, è intento il Nostro a creare un'atmosfera ben definita, che quasi si confaccia ad un contesto belligerante e guerresco. Una chitarra ed una batteria dunque per nulla prevedibili e dotate entrambe di un'ottima attitudine estrema nonché di notevole estro compositivo. Il lavoro di King poi è come sempre eccezionale; il bassista riesce a dotare il brano di quella pesantezza giusta della quale noi tutti possiamo accorgerci, udendo con attenzione tutte le trame che vanno ad intersecarsi per creare un pezzo incredibilmente valido, sino ad ora. Minuto 2:19, assistiamo ad un sostanziale rallentamento nel quale Creature si diverte a girare veloce sui suoi tamburi e quasi possiamo ricordarci degli Immortal di "Tyrant", visto il tono solenne ed epico che gli ABBATH decidono di assumere in questo frangente. Non destinato a durare tantissimo, visto che presto il tempo torna ad incalzare e si torna a correre (comunque non a velocità supersonica). La voce del nostro protagonista è a dir poco stupenda, così come il suo guitar work si riconferma un'autentica garanzia di atmosfera frostbitten che lui e solo lui è capace di suscitare. Superati i quattro minuti di brano possiamo in qualche frangente udire meglio persino King che maltratta il suo basso, salvo poi incappare in un nuovo rallentamento che sorge verso il minuto 4:17. Torna di nuovo l'epicità, il Demone dei Ghiacci sale sul pulpito per declamare la sua Messa di guerra ed i tempi divengono più solenni e dilatati. Definitivo stop di Creature.. e scusate se il sottoscritto versa più di una lacrima udendo il mesto e malinconico arpeggio che Abbath decide a questo punto di donarci, così come era intento a fare in brani come "Blashyrkh (Mighty Ravendark)".. "in the best Immortal tradition". Le correnti del Nord sembrano spirare lievi ed un'inquietante aurora si dipinge dinnanzi ai nostri occhi, almeno fin quando l'elettrica non interviene sfoggiando un riffing pesante, di piombo, tonante come un Mjollnir. L'arpeggio prosegue fino all'interruzione che coincide con il ritorno del battente Creature. Una voce effettata si staglia su di un nuovo momento di imperiale epicità, stacco concitato e si può ripartire con un ritmo lineare ed incalzante, con la voce di Abbath filtratissima e quasi "robotica", perfetta in questa veste; proprio perché, al contrario del collega Shagrath, Abbath non ha bisogno di pesanti e continui (quasi ridondanti) rimaneggiamenti per occultare un calo qualitativo delle vocals. Effetti di quando in quando e mai troppo, dunque. Si martella senza sosta fino alla fine, la quale avviene in maniera perentoria con uno scatenato Creature che riesce ad esibirsi in rapidissimi giri, senza dimenticarsi dell'urlo finale del vocalist. Ritornano nelle liriche le tematiche belliche fantasy-epiche del precedente pezzo, questa volta condite anche da un maggior gusto dell'orrido e della cruenza. Nella prima strofa, difatti, le parole sono perentorie quant'altre mai: i guerrieri protagonisti sono intenti a pulire le loro spade col sangue dei loro nemici, compiendo un'atroce carneficina pur di portare a termine la loro missione. Le vittime sono talmente tante ed accatastate su un vasto campo da indurre il gruppo a realizzare una metafora assai particolare per descrivere l'atto di uccisione. Infatti, i caduti vengono visti come grano che viene presto raccolto da chi, invece, è intento ad uccidere. Come contadini intenti a bearsi di un raccolto abbondante, dunque, i guerrieri del Male sorridono soddisfatti di quel "grano" del quale si stanno nutrendo.. ovvero, corpi straziati e dilaniati, lasciati in pozze di sangue ancora fresco. Da questo momento in poi il testo diviene assai criptico: l'unica parte chiara è quella in cui viene chiesto agli Dei della Guerra di benedire questo conflitto, di seguito sembriamo trovarci dinnanzi ad una giustapposizione di immagini decisamente poco chiare nel loro palesarsi. Vengono citati degli scribi intenti a consegnare certi avvenimenti alla storia, ed in seguito fa capolino una visione alquanto macabra e triste; quella del campo di battaglia ridotto ad un cumulo di teschi calpestati. Centinaia di corpi sono accatastati in fosse comuni, possiamo sentire i fantasmi dei caduti urlare dal dolore e dall'angoscia, ancora incapaci di lasciare questo mondo. La memoria dei sopravvissuti sarà marchiata a fuoco dalle orribili immagini dei loro compagni morti e dalla carneficina avvenuta, non potranno mai più dimenticarsi di tutto ciò che hanno loro malgrado visto. La visione viene interrotta dall'ultima strofa, la quale ci presenta uno scenario ben più terribile di tutti quelli che abbiamo incontrato pocanzi. Lo scenario intento a dipingere un demone sorgere da chissà quale profondità, un Demone che forse è destinato a divenire un conquistatore violento e totalitario, immerso nel fuoco ed alimentato da una rabbia ancestrale e primordiale.
Ashes of the Damned
Terza traccia del lotto, "Ashes of the Damned (Le Ceneri del Dannato)" è aperta da una chitarra intenta a ricamare, frenetica, delle note in clean eseguite in rapida successione, salvo poi porgere il fianco ad una partenza definitiva e sparata a mille all'ora. Blast beat annichilente di Creature ed Abbath è prontissimo ad emettere i suoi latrati demoniaci, scatenando la sua ascia in un riff violento ed oscuro, magnificamente supportato dalle note che abbiamo potuto udire in apertura di brano. Il pezzo non sembra trovare relax o calma di sorta, è una vera e propria (devastante) cavalcata infernale in cui la band è interessata unicamente a far del male, senza creare particolari atmosfere. Tutto è propedeutico alla realizzazione di un qualcosa che devasti le orecchie e l'anima dell'ascoltatore, abbiamo anche delle inquietanti note di tastiera rese volutamente buie e "fanfarone" (secondo 00:58), che condiscono appieno questo agguato notturno di demoni armati d'asce e lame oscure. Si arriva poi al minuto 1:28, momento in cui il basso di King diviene molto più udibile e presente, anche grazie alla chitarra che decide di emettere note meno serrate e ben più "epicheggianti". Anche il drumming di Creature Foley diviene a sua volta molto più cadenzato e non più incline al blast beat. Rallentamento che ci permette di udire Abbath addentrarsi anche in territori ben più clean che frostbitten, con la sua ascia sempre capace di suscitare emozioni; sia essa pesantemente distorta o no. Doppia cassa chirurgica al minuto 2:48, un ottimo momento ritmico che sancisce dunque l'entrata in scena di un riff nuovamente rimandante ai Bathory più sperimentali che Black-Thrash. Ben presto sopraggiunge una "fotocopia" dell'inizio, ripresa in toto degli stilemi delle primissime battute: stesse note in clean solitarie e poi stesso blast beat, stessa ripresa devastante della chitarra che ci svela il suo lato più grim, nel finale abbiamo anche le sparute note di tastiera udite in precedenza. A parte la piccola cadenza epica, possiamo definire "Ashes.." come uno dei momenti più violenti del disco. Un brano che sa fare della violenza "fine a sé stessa" il suo punto forte, pur non annoiando e non facendoci gridare al già sentito. Davvero un ottimo inizio di album, e siamo quasi giunti alla metà. Ben più chiaro del precedente risulta essere il testo di "Ashes..", il quale ci mette dinnanzi ad immagini splendidamente violente ed a tratti disgustose. Anzitutto, vengono tirate in ballo le ceneri del Dannato, identificate come un Male pronto a risorgere quasi fosse una Fenice. Non certo il meraviglioso uccello che tutti noi conosciamo, anzi: un demone spaventoso ed orribile, padrone di tutto ciò che di orrendo esiste nel mondo. Egli è il signore dei branchi di ratti che con i loro morsi avvelenati portano malattie e sofferenze, quei ratti che con i loro morsi tramutano i nostri corpi in selve di bubboni purulenti pronti ad esplodere, nonché di piaghe eternamente sanguinanti. Il demone padrone degli sciami di larve e vermi, parassiti brulicanti intenti a nutrirsi delle nostre carni, organismi decompositori amanti di tutto ciò che è marcio e moribondo. Il Demone che comanda tutto ciò che possa diffondere morte violenta, purulenta; la morte per malattia, per necrosi, per cancrena e putrefazione. Il Re è pronto dunque a sorgere dalle sue ceneri, spiegando le sue ali pestilenziali e mostrano al mondo chi è veramente a dominare sulla loro vita. Branchi di demoni minori saranno i suoi umilissimi servi, costituiranno l'esercito che ci attaccherà ed annienterà una volta per tutte.
Ocean of Wounds
La metà viene raggiunta (escluse le due bonus tracks) con "Ocean of Wounds (Oceano di Ferite)", traccia aperta da un ritmo incalzante e per nulla "troppo" Black. Una batteria dinamica e vivace simile a quella di un Danté, quasi, che ben presto viene "doppiata" da un riff certamente grim nel suo incedere ma non violento. Anzi, c'è un che di riflessivo e quasi malinconico in queste note, quasi ci trovassimo dinnanzi ad una "Tyrant" sgonfiata della sua crudeltà totalitaria ed austera e resa per l'occasione ben più ossianica. Un clima ben più riflessivo e quasi introspettivo, che trasforma il nero in grigio scuro, quasi come se un ammasso di nuvole gravide di pioggia si fosse addensato sulle teste dei nostri. Soprattutto in sede solista Abbath è bravissimo a ricamare sensazioni che rimandano appunto ad una sorta di rabbiosa tristezza, ben lontana dalla rabbia senza quartiere udita nel brano precedente. Il tutto ci viene confermato al minuto 1:53. Dopo un bello stacco da parte di Creature (il quale mantiene il suo drumming su livelli meno esplosivi e molto più essenziali) la chitarra del Demone dei Ghiacci risulta essere quasi piangente, latrante; come un lupo che, solitario, versa lacrime di rabbia smarrito in un bosco ghiacciato, dopo aver perso il suo intero branco in seguito ad un attacco. Il pezzo non regala dunque sussulti o momenti di particolare atrocità, conserva questa "strana" calma al suo interno e si snoda dunque su stilemi simili-uguali, senza variazioni di sorta. Non è certo una critica, anzi, è decisamente azzeccato piazzarlo in quarta posizione: questa solennità sembra quasi richiamare atmosfere Viking, e difatti la chitarra di Abbath prende ancora in prestito più di qualche stilema dal maestro Quorthon. Possiamo anche udire, verso la conclusione, delle meravigliose tastiere aumentare sensibilmente il carico di pathos. Le keyboards, suonate in questo brano da Herbrand Larsen (in tutti gli altri brani sono appannaggio totale di Gier Bratland), conferiscono dunque ancora più carica emotiva ad un pezzo che dunque spezza il clima estremo, in favore di una più marcata epicità. Altro ottimo momento che sicuramente si lascerà ricordare. Siamo nuovamente dinnanzi a liriche assai complesse nel loro disegnare imperterrite immagini giustapposte ma comunque rimandanti a quel che erano le immagini belliche dominanti nelle prime due canzoni. Viene disegnata nuovamente la figura di un guerriero, questa volta descritto privo di contorni demoniaci o comunque "occulti". Egli viene descritto come un grande conquistatore, un uomo il cui carattere è stato forgiato nel fuoco delle mille battaglie che ha superato collezionando cicatrici sulla sua pelle ormai dura ed abituata alle ferite causate da lame di spade e punte di frecce. Il suo destriero è sempre pronto a cavalcare verso una nuova guerra e le sue mani sono prontissime a stringere fra di esse un nuovo regno, rubato ai legittimi proprietari dopo battaglie campali e vittorie sensazionali. Non è ben chiaro a cosa miri lo scenario che descrive continue esecuzioni alle quali "la gentaglia" (testuali parole) è sottoposta mediante taglio della testa; forse, le ghigliottine si scagliano rabbiose contro i capi degli sconfitti, mozzati di netto come punizione in quanto il nuovo leader deve affermare ad ogni costo la sua potenza. Colpirne uno per educarne cento, in poche parole. E' il ritornello che dipinge la scena più sensata di tutto il brano, un ritornello fortemente pessimista e malinconico. Il protagonista viene, forse a fronte del suo carattere belligerante ed imbarbarito dalle mille uccisioni commesse, invitato ad immergere tutte le sue paure e le sue titubanze nello Stige, il fiume dell'odio presente nell'aldilà tipico della mitologia greca. Un fiume che si varca per giungere nel regno dei morti, simile a quello valicato da Dante e Virgilio nella "Divina Commedia". Una metafora forse per indicare la morte? Nel senso, dimenticare il dolore e le paure concedendosi il sonno eterno? Probabile, visto il tono solenne della musica e la sostanziale cripticità delle liriche. Forse, l'unico modo di porre fine alla frenetica vita del guerriero è proprio l'abbracciare la triste mietitrice. Non necessariamente con il suicidio, però: ogni grande condottiero sa bene che la sua prossima battaglia potrà benissimo essere l'ultima della sua vita.. per cui, è sempre meglio dimenticarsi delle paure e dell'angoscia gettandosi a capofitto in una nuova battaglia, con la consapevolezza che la propria ora potrà giungere proprio quel giorno.
Count the Dead
La seconda metà del disco viene dunque aperta da "Count the Dead (Contare i Morti)", quinta traccia nonché primo singolo estratto da "Abbath". Un temporale con pioggia a seguito apre di fatto il pezzo; è una voce orchesca ed in sottofondo ad urlare il titolo, per poi far partire definitivamente la band che decide di assumere una cadenza molto particolare. Il pezzo, infatti (forse proprio in virtù del fatto che si tratta di un singolo) è formato da ritmiche ben più accattivanti che in altri momenti, dandoci quasi l'impressione di trovarci in un brano dei Satyricon "Now, Diabolical" era. Una sorta di Black 'n' Roll comunque non troppo tendente alle ritmiche coinvolgenti, in quanto udiamo sempre e comunque una profonda dose di "crudeltà", sia nei riff sia nell'impalcatura ritmica del pezzo. Il basso di King è come al solito frastornante al punto giusto e la voce di Abbath sempre grim da far paura. Tuttavia, anche in virtù di ciò che abbiamo udito sino ad ora, il brano sembra scadere troppo nella prevedibilità.. quando ecco che, al minuto 1:54, un poderoso blast beat cambia totalmente volto alla traccia. Torna un assalto Black Metal senza quartiere, violento e ben presto addirittura epico grazie alla cadenza che l'ascia di Abbath assume. Sempre grande debitore di Quorthon, Abbath non cela le sue radici e quanto certi ascolti per lui siano importanti; si può così partire spediti (con tanto di un urlo capace di gelare il sangue nelle vene) verso un tornado sonoro reso comunque sapientemente imperiale grazie ad una ritmica che di seguito diviene molto più variegata , nonché ad un momento solista (questa volta nuovamente appannaggio di Ole Farstad) decisamente ben confezionato, in grado di dare al tutto decisamente una marcia in più. La sensazione che domina è quella che Abbath abbia voluto rendere la sua musica certamente improntato su quanto già udito con gli Immortal ma decisamente più personale, affondante le sue radici anche nell'epica Bathoriana (ed anche gruppi come Borknagar ed Enslaved) ed al contempo in grandi lavori di batteria decisamente più complessi ed articolati di quelli di Horgh. Si ritorna, nelle fasi conclusive, agli stilemi iniziali i quali vengono comunque caricati di un'enfasi ben più pronunciata, facendoli dunque risultare vincenti. C'è tempo per un altro intervento di Ole, il quale si diverte a far letteralmente "sfarfallare" la sua ascia dipanando una melodia incredibilmente carica di pathos, ben presto smorzata dal ringhio finale di Abbath. Le liriche tornano ad essere più comprensibili, anche in virtù di diverse citazioni che affondano i loro significati in diversi episodi facenti parte della vasta mitologia nordica. Viene citato inizialmente una sorta di grande signore, un'entità sovrana che dovrà fomentare tutti i suoi seguaci verso una grande battaglia di conquista del mondo. Questa entità viene vista come il Terrore incarnato, capace d'essere minaccioso quanto l'Hel, reame nel quale egli ha forgiato la propria cattiveria. Hel è uno dei mondi dell'aldilà vichingo, la dimora di tutte quelle anime i cui corpi non hanno trovato una morte degna del Valhalla. Esso, freddo ed inospitale, è governato dall'omonima regina nonché figlia di Loki, avuta dal suo accoppiamento con una gigantessa. Hel è una figura enorme e minacciosa, una donna con metà del corpo intatta e metà in perenne putrefazione. E' la regina di quel mondo inospitale per certi versi simile al già citato Blashyrkh: buio e perennemente battuto da gelide tempeste. Tornando a questa figura, come dicevamo viene evocata a mo' di patrono da un esercito che vuole divenire il più potente in assoluto, e quindi si appella a questa figura pur di riuscire nei loro intenti. La loro foga in battaglia sarà incommensurabile, la loro rabbia invincibile ed indomabile, i loro nemici cadranno ad uno ad uno assaporando il gelido sapore delle loro lame. L'Oscura schiera del ghiaccio, del fuoco e della guerra: vengono citati elementi sempre rimandanti ai mondi e ai vari altrove della mitologia norrena (il fuoco era l'elemento dominante del Múspellheimr, ovvero la "terra del fuoco", dimora della nave maledetta che avrebbe condotto l'ascesa dei dannati contro gli Aesir durante il Ragnarok), insomma l'esercito qui presente sembra proprio una sorta di elite composta da Berserker, ovvero possenti ed antichi guerrieri nordici particolarmente temuti per la loro abilità in battaglia, i quali prima di ogni confronto cadevano in una sorta di trance che, appannando la loro vista, li spingeva ad uccidere senza pietà alcuna, non provando né emozioni né sentimenti.
Fenrir Hunts
Proseguiamo quindi con "Fenrir Hunts (La caccia di Fenrir)", sesta traccia e brano presentato in anteprima al "Tuska Open Air" del 2015. L'oscura e violenta chitarra di Abbath ci porge subito il suo rabbioso benvenuto, ed il pezzo può dunque partire sparato, grazie ad un devastante blast-beat perfettamente stagliatosi su di una chitarra violenta, fredda e brutale. Si parte immediatamente con un turbinio di riff evocativi e violenti, di chiara scuola norvegese (Taake su tutti), rimandanti incredibilmente agli assalti senza quartiere uditi nella prima parte della carriera degli Immortal (quelli di "Pure Holocaust"), solo che questa volta una produzione migliore riesce meglio ad esaltare quel lato "drammatico" che il nostro frontman non vuole nasconderci. Non c'è solo violenza, ma anche moltissima atmosfera. La chitarra di Abbath è in un certo senso maestra nel suddividersi ora fra la crudeltà del Black Metal più raw e grezzo, ora fra quello più introspettivo e dedicato alla volontà di suscitare un caleidoscopio di emozioni, che non siano solo espressione di rabbia o misantropia. Questo particolare modo di intendere il Black Metal ha sempre segnato la carriera di Abbath, il quale è sempre stato attento sin dai tempi della sua ex band a non cadere in stilemi eccessivamente prevedibili o già battuti da troppi alti musicisti. "Fenrir.." è un brano violento, ma in molti frangenti scopre un lato sicuramente più trascendentale, una doppia faccia capace anche di saperci emozionare e non solo farci preparare ad un'ipotetica guerra. Il pezzo prosegue dunque con quest'alternanza di stili ben amalgamati e con quest'andatura sino ad oltre la sua metà, quando al minuto 2:34 è un nuovo assolo di Ole a far capolino e ad aggiungere ancor più peso ad un brano assolutamente perfetto. Il continuum ritmico viene "infranto" al minuto 2:50, momento in cui Creature si dimena in tutta una serie di stacchi che riportano all'adozione del blast beat e dunque ad una nuova sezione "totally extreme" che giunge tosta e veloce. Questa volta il riffing è ben più perentorio e quasi esclusivamente violento e braccante, che epico. Difatti ad Abbath interessa da questo momento in poi solamente il farci male, il farci soffrire; lo dimostra il minuto 3:36, momento un quale si adotta un modus suonandi che quasi richiama gli Slayer di "Reign in Blood" e subitamente si riprende a pestare a suon di Frostbitten Black Metal. Nel finale, però, c'è di nuovo spazio per dei piccoli scampoli di "atmosfera" che di quando in quando schizzano via dalle furiose sei corde di Abbath, dei piccoli cedimenti ad un epos che comunque non è sufficiente a farci dimenticare la cotanta violenza alla quale siamo stati messi dinnanzi. Il Black Metal gode ancora di grande salute, brani come "Fenrir Hunts" ne sono la dimostrazione assoluta. Armed and Dangerous! Si torna a parlare ancora una volta di mitologia nordica, il protagonista è questa volta il lupo Fenrir, figlio di Loki e considerato dagli stessi Dei vichinghi come uno degli esseri più forti e crudeli mai creati. Egli è un lupo mastodontico dall'insaziabile appetito, ama più che mangiare uccidere le sue vittime per berne il sangue, sbranando i corpi dei malcapitati con le sue enormi mascelle. Nel testo, i suoi seguaci si configurano come gli elementi cardine dell'esercito del Male, ovvero quella schiera di Dannati che, comandati proprio da Loki, sorgeranno dal regno degli inferi per muovere guerra al mondo e agli Dei, vendicandosi delle loro tristi sorti. La loro arma principale è dunque il famelico lupo, liberato per l'occasione dalla sua prigionia. Una volta partorito dallo stesso Loki, Fenrir si dimostrò infatti ingestibile e sanguinario, costringendo gli Aesir a prendere dei seri provvedimenti nei suoi riguardi. Pensarono dapprima di incatenarlo, mettendo alla prova il suo ego, proponendogli di testare alcune catene. Egli però le ruppe tutte con facilità, finché gli Dei non decisero di adoperarne una fabbricata dagli Elfi Oscuri, magica e dunque indistruttibile. Richiamato dunque per l'ennesimo "test", il Lupo (che comunque riusciva a parlare ed aveva una discreta intelligenza) si fece non poco sospettoso ed acconsentì al farsi legare solo se uno degli Dei avesse messo, come pegno, un suo braccio fra le sue mascelle. L'unico ad accettare fu Tyr, dio della giustizia in battaglia, il quale porse dunque il braccio al lupo. Dimenandosi con tutte le sue forze, la creatura non riuscì a spezzare il laccio, e dunque per la rabbia sbranò via l'arto di Tyr, il quale rimase così privo di un braccio. Da quel momento, il lupo venne incatenato ad una roccia e le sue mascelle immobilizzate da una spada. Solo durante il Ragnarock suo padre Loki giungerà a liberarlo ed egli potrà così ottenere la sua vendetta, uccidendo nientemeno che il Dio Padre, Odin. Nel testo la figura di Fenrir è dunque vista proprio come veniva inquadrata dalla religione norrena, ovvero come un male pronto a liberarsi per condurre una schiera di dannati alla vittoria suprema contro le forze del bene.
Root of the Mountain
Penultimo pezzo della tracklist canonica, "Root of the Mountain (Le Radici della Montagna)" viene (contrariamente a quanto successo nella precedente track) aperto da un riffing assai melodico, tendente ad un austerità tutta nordica e quasi vichinga nel suo dipanarsi, nota dopo nota. Riff portante intervallato ad interventi solistici assai melodici, un drumming corposo e decisamente educato e ben quadrato, mai violento o distruttivo nel suo proseguire. Epicità nuovamente tirata in ballo, anche il basso di King decide di suonare ben più composto ed è la voce demoniaca di Abbath ad innalzare i picchi di malvagità. Un Abbath ben più intenzionato a declamare che a cantare, coadiuvato da una parte strumentale che non indugia nella violenza ma anzi è attenta a mantenere ben nitidi dei contorni quasi ossianici, "sognanti" oseremmo dire, per quanto un termine del genere possa adattarsi ad un disco come questo. Il brano è comunque meraviglioso nel suo snodarsi, ancora una volta figlio degli Immortal più riflessivi e capaci di saper emozionare. Non ci sono grandi variazioni almeno sino al minuto 2:30, momento in cui la chitarra adotta un riffing più cadenzato e la batteria inizia a battere ritmi più concitati che ariosi. Ecco che l'eco di "Blashyrkh.." ritorna prepotente lungo questi solchi, anche se questa volta il concept figlio degli Immortal viene rivisto in chiave ben più articolata e complessa che in precedenza, vista anche la grande maturazione tecnica e musicale raggiunta da Abbath a questo punto della sua carriera. Piccola pausa al minuto 3:35, tutto sembra fermarsi e la chitarra di Abbath rimane l'unica protagonista, assieme alla voce dello stesso frontman. Riff mesto e quasi malinconico (pur nella sua rugginosità), voce declamatoria che gode quasi di un piccolo effetto eco.. un momento incredibilmente oscuro e solenne, ben presto rinforzato dal ritorno di Creature che fa ben sentire i suoi piatti. Si riprende il riff iniziale ed il brano può così avviarsi alla fine, la quale giunge con improvvisi rumori di vento e tempesta. Tanto di cappello, di certo una delle composizioni maggiormente magniloquenti assieme ad "Ocean of Wounds". Se la prima ci introduceva alla seconda parte del pezzo, quest'ultima ci porge purtroppo un biglietto di sola andata per la conclusione. Lyrics ancora una volta criptiche e colme di rimandi alle più disparate tradizioni: dapprima abbiamo la descrizione di una sorta di scenario apocalittico, come al solito rivisitato in chiave demoniaca e guerresca: un conflitto sta dilaniando un'intera popolazione e la malvagità sembra scorrere come vino d'annata, tanto da portare i genitori ad uccidere i loro stessi figli. Uno scontro fratricida, uxoricida, patricida.. insomma, una terribile lotta intestina la quale non fa altro che spargere ancora più sangue e cadaveri lungo le coste e le pianure. I guerrieri sembrano infatti animati da una sorta di follia (testuali parole, come se avessero dei tumori nel cervello i quali li obbligano a non pensare lucidamente), le grida di chissà quali entità risuonano nelle foreste: è la disperazione totale, la follia che porta l'uomo ad uccidersi fra fratelli, sorelle, madri, padri e figli. Viene in seguito citata una figura particolare, ovvero quella del Dio dell'Abisso (e dunque della morte) definito "Arconte", termine greco che nell'antichità designava una figura di grande prestigio ed influenza all'interno di una polis. Tutto potrebbe farci pensare ad Ade, anche perché questo abisso è a sua volta definito come "spettrale", dunque un riferimento abbastanza palese all'aldilà della mitologia greca. La stessa personalità viene descritta nella strofa successiva, definita questa volta come un essere dalle proporzioni gigantesche. Non è un caso che come unità di misura si utilizzi nientemeno che il gigante Gargantua, figura "mitologica" inventata dal romanziere Francois Rabelais nel '500. Questo grosso essere ci viene dipinto dagli ABBATH come dominatore sempre del regno dei Morti (questa volta chiamato "La Città delle Ossa") ed intento a sedere su di un mastodontico trono, imperando su tutto il suo reame in maniera dispotica ed opprimente. Il brano finisce poi in maniera ancor più criptica, con la descrizione di un'apocalisse totale: il cielo viene letteralmente squarciato così come la terra, profonde crepe si aprono sia sulla nostra testa che sotto i nostri piedi.. la fine è giunta, tutto quel che conosciamo ormai non esiste più.
Endless
Rullata velocissima di Creature ed "Endless (Senza fine)" può dunque avere inizio, travolgendoci letteralmente con una bordata di violenza inaudita. Scordiamoci le atmosfere e le melodie gelide almeno per queste prime battute, in questo preciso frangente Abbath ha deciso unicamente di dar vita ad una mattanza sonora della quale le nostre orecchie (seppur sanguinando) saranno grate a prescindere. Cotanta potenza è una gioia per chiunque ami l'estremo: blast beat impazziti, chitarra motosega, voce cavernosa e demoniaca, basso corposo al fulmicotone.. un morso alla gola in grado di squarciarci di netto la giugulare e di farci perdere fiotti di sangue, i quali abbevereranno saziandoli i demoni musicali che il buon Olve è stato capace di ricreare. Con il proseguo del pezzo c'è di nuovo spazio per un po' di guitar work sempre violento ma anche intenzionato ad instaurare un certo clima di oscura magniloquenza, mediante un uso eclettico dell'ascia, un uso del quale Abbath ha più volte dimostrato di essere padrone assoluto. Minuto 1:47, si cambia ancora registro e viriamo verso un Black 'n' Roll grezzo e sfascione, fiero nella sua andatura baldanzosa e ben stagliato su dei ritmi incredibilmente coinvolgenti, sempre merito dell'ecletticissimo Creature. Si cambia di nuovo e dopo aver udito in solitaria (con sparuti accenni percussivi) un riff serratissimo torniamo agli stilemi tipici del Black Metal iniziale. Mordere, mordere e mordere, gli ABBATH sembrano voler farci fuori a forza di canini; epicità tirata in ballo ancora una volta dopo il momento più estremo, un brano pressoché perfetto nel quale non ci si annoia mai, e possiamo questa volta DAVVERO gridare al miracolo. Chi riesce a comporre un pezzo del genere è da rispettare a prescindere. Meravigliosa la sezione strumentale che possiamo udire alla fine: la chitarra di Abbath totalmente intenta a ricamare un riff serratissimo di totale matrice Black, il basso di King frastornante e velocissimo, il blast beat praticamente schiaccia-sassi di Creature.. la fine è servita, anche se (e fortunatamente!) a giudicare dal titolo sembra che una conclusione definitiva alle avventure di Abbath non giungerà mai. Vere o false che siano le voci che circolano sul suo conto, quest'uomo è stato capace come se niente fosse di creare un capolavoro di questa portata. Rendiamocene conto e, soprattutto, togliamoci il cappello dinnanzi al suo estro e alla sua creatività. Il testo più poetico (e sicuramente il più legato alle antiche "saghe" di Demonaz), alla fine, si rivela essere proprio quello di questo brano conclusivo. Ci viene infatti narrata la storia di un Corvo e di una Fenice: il primo, molto simile al Potente Corvo Oscuro già narrato in "Blashyrkh", è un autentico dominatore delle tempeste polari e dell'inverno generale: egli plana agevolmente portato dai venti gelidi del nord, è portatore di grandine, di tormente e di piogge battenti; la fenice, dal canto suo, ci viene presentata come intrappolata in un'immensa e millenaria lastra di ghiaccio, impossibilitata a spiccare il volo come dovrebbe. Tuttavia, il suo potere va troppo oltre, e difatti mano a mano il suo ardore (complici anche i raggi solari) riesce a squagliare la trappola mortale, facendola librare nel cielo e facendola ricongiungere al corvo, con il quale sembra riuscire a dominare totalmente la realtà che li circonda entrambi. Ad osservare questa vicenda, un nutrito gruppo di guerrieri, evidentemente esaltati da ciò che le due divine creature sono riuscite a creare. Del resto, il ritornello parla chiaro: "divisi muoriamo, uniti vinciamo", bisogna prendere esempio dal Corvo e dalla Fenice per poter finalmente compattare il proprio esercito per poi sconfiggere il nemico con tutta la forza della quale si dispone. Dunque, seppur molto breve, il testo sembra quasi preannunciare la forza e la grandezza di questo nuovo progetto. Abbath è sia come il corvo sia come la fenice, è risorto dopo un periodo negativo ed ha finalmente spiccato il volo. Come il Corvo, non ha smesso di dominare sull'oscurità. Egli è sempre il Demone dell'Inverno, il Sovrano assoluto dei Ghiacci. Abbath non se n'è mai andato, è sempre rimasto qui.
Riding on The Wind
Proprio qualche giorno fa, il mio collega Fabio, su queste pagine, parlava di quanto i Judas Priest fossero stati importantissimi anche per le formazioni estreme come appunto gli ABBATH e di conseguenza gli Immortal. Nemmeno a farlo apposta, la prima di queste due bonus tracks è proprio una cover del Prete di Giuda, quella "Riding on The Wind (Guidando sulle ali del Vento)" direttamente estrapolata dal capolavoro "Screaming for Vengeance" datato 1982. Serie di rullate da parte di Creature ed il leggendario riff d'apertura di uno dei più bei pezzi della storia dell'Heavy Metal può dunque dirsi pronto per essere "blackizzato". Notiamo però come quest'opera di riproposizione non si configuri come uno stravolgimento totale del messaggio originale: anzi, il brano è fedelissimo all'originale, l'unica modifica consiste solamente in un guitar work molto più pesante ed appunto "oscuro" che nell'originale. La voce di Abbath può in questo senso adoperare tonalità leggermente più alte, risultando sempre squisitamente demoniaca e perfettamente inserita in questo contesto di Heavy-Black Metal. L'omaggio ai Metal Gods è servito, il brano scorre via ed esalta incredibilmente l'ascoltatore, per come esso viene presentato, pesante come un macigno, nero come la notte ma comunque pregnissimo di quella carica Heavy che i Judas Priest avevano in origine saputo infondere alle loro note. Anche l'assolo è ottimamente riproposto e dunque, senza significativi stravolgimenti, possiamo avviarci alla fine di una cover perfettamente ben eseguita, ulteriore dimostrazione di quanto il Black Metal debba alla NOBILISSIMA ED IMPRESCINDIBILE tradizione dell'Heavy Metal. Nemmeno il testo viene cambiato e, difatti, le liriche sono esattamente le stesse del brano originale: una corsa sfrenata a mille all'ora, per certi versi simile a quella già cantata dai Deep Purple in "Highway Star". I Priest, però, non ci parlano certo di macchine o motori, tutt'altro. La corsa del protagonista di "Riding on the Wind" è una corsa simbolica, visto che egli è alimentato dalla fiamma dell'Heavy Metal. L'esaltazione che questo splendido genere musicale provoca, nei cuori di chiunque sia disposto a comprenderlo ed amarlo, è tale da fargli raggiungere una sorta di mondo trascendentale in cui tutto scorre velocissimo. Riusciamo a squarciare le nuvole, come fulmini prorompenti e letali, riusciamo a sentirci quasi potenti come Dei. Un milione di miglia all'ora, la velocità della luce praticamente infranta, il nostro corpo brilla di luce propria. Siamo fulmini, come già detto, ma provenienti dalle profondità infernali, louder than hell, siamo i messaggeri di un genere musicale che sconvolgerà l'intero pianeta e che ben presto riunirà in coorte tante persone come noi. Guidiamo sulle ali del Vento, voliamo, distruggiamo tutto quel che ci impedisce di proseguire e, cosa non meno importante, ci divertiamo a competere con noi stessi, cercando di superare ogni volta il nostro record di velocità. Questo, è l'Heavy Metal: l'energia e la forte carica che queste note taglienti e roboanti riescono a trasmetterci.
Nebular Ravens Winter
La seconda e conclusiva bonus tracks è anch'essa una "cover", anche se parlare di riproposizioni in questo caso suona quanto meno assurdo.. visto che il brano in questione è effettivamente un pezzo composto da Abbath, quel "Nebular Ravens Winter" presentato nel 1997 nel sottotono "Blizzard Beasts". Il brano, come tutto il disco, non venne molto apprezzato da fans e critica, tant'è che all'unanimità tutti gli addetti ai lavori identificano proprio in quell'album l'unico vero passo falso degli Immortal, fino ad allora meravigliosamente sulla cresta dell'onda grazie a capolavori come "Pure Holocaust" e "Battles in The North". Incredibilmente, il brano risorge proprio come la fenice di "Endless" e riesce a regalarci un altro, incredibile momento di Black Metal Norvegese. Crudele al 100%, freddo, straniante, atmosferico e finalmente supportato da un'ottima produzione, il brano risorge dalle sue ceneri e ci fa effettivamente pensare a come potrebbe effettivamente essere una riedizione di "Blizzard Beasts" se gli ABBATH decidessero di risuonarlo con questo piglio demoniaco ed estremo. Il drumming di Creature, dobbiamo dirlo, è avanti anni luce a quello di Horgh ed anche Abbath si rivela un chitarrista assai molto più dotato di Demonaz (anche se va detto, proprio in quel periodo Dem stava contraendo quella grave tendinite che di lì in seguito gli avrebbe impedito di continuare a suonare). Un tripudio di blast beat e ritmiche spacca ossa, la "solita" ma mai troppo glorificata sei corde di Abbath che riesce a donarci ora cruda violenza ora particolare e gelida atmosfera. Abbiamo solo un piccolo rallentamento dei tempi assai concitati verso la fine, quando gli ABBATH decidono di rendere la chiusura maggiormente più cadenzata ed imperiale, prima della definitiva sfuriata finale che di fatto chiude definitivamente ed in maniera netta un brano reso incredibilmente valido e stupefacente da questa riproposizione. Applausi per questa meraviglia, un pezzo che da oggi in poi rivivrà una seconda giovinezza grazie (paradossalmente!) a tutte queste vicissitudini occorse al trio Abbath, Horgh e Demonaz. Il testo, appannaggio totale del fu chitarrista degli Immortal (il suo nome viene infatti citato nel booklet proprio perché detentore dei diritti), è (e bisogna dirlo, con tutta onestà) tutto un altro paio di maniche rispetto alle liriche concepite da Abbath per questo suo debut. Nulla da fare, le parole di Demonaz suonano esattamente come delle antiche poesie, canti di guerra di millenni fa.. il nostro è e sarà sempre un bardo, mai troppo considerato come il genio e grande paroliere che effettivamente è. Si comincia già nella strofa a descrivere un inverno incombente, plumbeo, denso, devastante: esso si diffonde fra gli uomini abbracciandoli mortalmente con il suo gelo pungente, penetrando nelle loro carni e facendogli sentire chi, da quel momento in poi, comanderà. La tormenta di neve incombe e le nuvole si fanno minacciose, il Regno dei Ghiacci sta definitivamente per sorgere: i corvi urlano nel cielo, volando fra le tempeste, la luce non sembra più riuscire a filtrare dalla densa coltre temporalesca, grigia come la tristezza e nera come la morte. I dominatori di questo regno traggono forza enorme da questo ambiente, i tre demoni protagonisti del racconto (per l'appunto Abbath, Horgh e Demonaz) sono pronti a governare sui mortali che, dal canto loro, sono tristi e smarriti in una dimensione oscura che li priva di ogni tipo di gioia o speranza. I nostri cuori sono congelati, i demoni hanno vinto: la stagione dei Corvi è cominciata, non vi saranno più né luce né dì a poterci consolare. Il nostro destino è sottometterci al ghiaccio perenne.
Conclusioni
Tirando le definitive somme, non posso far altro che giudicare in maniera estremamente positiva questo debut album. Dopo il quasi scioglimento di una band ed il conseguente proseguo in solitaria di un suo membro fondatore, in effetti, è sempre difficile risultare imparziali o comunque non lasciarsi trascinare dagli eventi. Molti hanno gridato al miracolo, dicendo che Abbath non ha ormai più bisogno degli Immortal, tanta è la qualità che la sua musica trasuda in queste vesti; altri, altrettanto polemici, hanno deciso di accantonare ogni voglia di seguire il nostro chitarrista, proprio perché maggiormente propensi ad abbracciare la causa di Demonaz e Horgh. Ognuno può scegliere il suo "partito", siamo in democrazia sino a prova contraria ed è giustissimo pesare le parole mediante la propria sensibilità e maniera di intenderle. Dopo tutto, di cose ne sono state dette.. e la politica dello struzzo non è mai buona. Si deve prendere atto della situazione, e valutare in base a quel che si ha. Tuttavia non dobbiamo scordarci di mantenere i piedi ben saldi a terra e cercare di parlare con quanta più oggettività possibile. Va benissimo biasimare Abbath perché si è deciso di credere ad Horgh e Demonaz, va bene il contrario, ma sarebbe assolutamente ridicolo mal giudicare un disco come "Abbath" in base ad una personalissima antipatia. L'uomo è una cosa, il musicista è un'altra. Per quanto sia difficile scindere le due personalità, dobbiamo sempre ricordarci che chi è sul palcoscenico non è molto spesso uguale a quello della vita di tutti i giorni.. ed a meno che non si sia amici intimi di Olve o suoi famigliari, e dunque in grado di lodarlo o tirargli le orecchie in maniera assolutamente giustificata, è bene sempre ricordarsi di quel che Lui come gli altri sono capaci di fare musicalmente, bypassando una realtà personale che non saremo MAI in grado di comprendere. Neanche leggendo le news e neanche leggendo un'eventuale biografia. Quel che si sente in questo disco è oggettivamente bello, è inutile perdersi in questioni extra-musicali. Puro Black Metal generato da un capitano di lungo corso del genere, che ha potuto in questo frangente esprimersi senza problemi o limitazioni imposte da varie situazioni, divertendosi e ricamando riff gelidi come la morte ma anche terribilmente affascinanti. Il lavoro di King è altrettanto splendido, anche se in effetti la mancanza di un paroliere come Demonaz si fa sentire abbastanza. Mancanza compensata, su di un altro fronte, però, grazie all'adozione di un grande batterista. Possiamo senza dubbio rammaricarci dell'uscita dal combo di Foley, che col suo drumming è riuscito a donare ad Abbath la base ritmica di cui aveva un disperato bisogno da un bel po' di anni (e ripeto, non me ne voglia Horgh, comunque bravo e sempre sul pezzo). Questo disco ha tutte le carte in regola per essere una delle release di punta di questo 2016 appena cominciato, ne parleremo ancora nei mesi a venire e senza dubbio non certo per via della querelle che lo ha accompagnato. La maestà di certi pezzi, la loro validità, la potenza scatenata dalla musica che qui possiamo udire.. Arte che non ha nulla a che vedere con avvocati e cavilli legali. Il Black Metal vive ancora in questo nuovo millennio, ed il ruggito degli anni '90 sembra non essersi assopito proprio per nulla. Un disco, "Abbath", che si impone dunque nel panorama generale con le unghie e con i denti. Staremo a vedere, ora, cosa accadrà. Ci sarà una riappacificazione? Ci sarà un il proseguo delle due realtà che da oggi in poi saranno da considerarsi parallele e mai più incidenti? Nessuno può saperlo.. comunque vada, questo disco rimarrà incredibilmente bello, a prescindere. Atmosfera e Crudeltà.. Abbath non se n'era andato, era solo questione di sciogliere un po' il ghiaccio e magari disfarsi di un po' troppa ruggine accumulata. Del resto, non è detto che una separazione sancisca per forza l'odio reciproco dalle varie parti. Possono esserci motivi di scontro anche gravi, questo è certo, ed è risaputo come sotto pressione non si riesca a far nulla di buono. E' sempre meglio separarsi, quand'è così, e cercare la propria strada liberandosi dallo stress delle litigate perpetue, senza magari imbarcarsi in discussioni nelle quali, presi dalla rabbia, si potrebbero dire cose gravi e delle quali poi pentirsi amaramente. Quel che si percepisce lungo questi solchi è solo voglia di essere liberi e continuare a suonare, sempre, non solo perché per Abbath si tratta di un mestiere. E' volontà di esprimersi, di dimostrare qualcosa. Se dunque tutte queste vicissitudini porteranno comunque verso dei buoni dischi (e mi riferisco anche agli Immortal).. perché mai dovremmo questionare ancora? Quel che conta è COME spendiamo i nostri soldi. E donarli ad un disco come "Abbath" è sicuramente da considerarsi un ottimo investimento.
2) Winterbane
3) Ashes of the Damned
4) Ocean of Wounds
5) Count the Dead
6) Fenrir Hunts
7) Root of the Mountain
8) Endless
9) Riding on The Wind
10) Nebular Ravens Winter