TOTAL DEATH

The Pound of Flesh

2015 - Punishment 18 Records

A CURA DI
FABRIZIO IORIO
25/05/2015
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Recensione

L'Italia si sa, è sempre stato un paese particolarmente prolifico a livello musicale, e soprattutto in ambito metal, abbiamo la fortuna di avere delle band di grandissimo valore che, purtroppo, per i motivi che ben conosciamo, non riescono ad avere lo spazio di cui meritano. In questo caso specifico, parliamo di un gruppo proveniente dalla Lombardia, più precisamente da Busto Arsizio (Varese), votato ad un death/thrash piuttosto personale ed influenzato in gran parte dal movimento metal estremo, che a cavallo tra gli anni ottanta e novanta, ha avuto la fortuna di consegnare alla storia, band di assoluto valore mondiale. I Total Death si formano quindici anni fa, esattamente nell'anno 2000, per volontà di Umberto Restelli (bassista), Massimo Battioli (voce) e Teo (batteria). Inizialmente la loro proposta è un thrash metal senza fronzoli, che deve molto ai maestri indiscussi del genere europeo, quali Kreator, Sodom e Destruction. Come praticamente accade ad ogni band alle prime armi, succede che i nostri devono affrontare vari cambi di line-up, e dopo vari avvicendamenti dietro la sei corde, si aggiunge Paolo Azzimonti nel 2003 a completare il quartetto lombardo. Nello stesso anno, la band rilascia un primo demotape autoprodotto, dal titolo “Rehearshal Demo” contenente cinque brani, di cui uno è una cover della song “Blasphemer” contenuta nel primo Ep uscito sotto etichetta, di “In the Sign of Evil” dei teutonici Sodom. L'anno seguente viene pubblicato per la Rootsactive Production, un secondo demotape dal titolo “Thrash Division”, che lascia poco spazio all'immaginazione. Poi succede che il batterista Teo, nel 2006 lascia la band, la quale per ben due anni, la vede costretta in uno stato di quasi congelamento per quanto riguarda nuove registrazioni, e prende parte più che altro, a varie compilation. I nostri non si perdono d'animo e cercano di dare una personalità alla loro proposta, senza per forza copiare le loro fonti di ispirazione o farsi influenzare da chissà quali agenti esterni. Finalmente nel 2009 arriva il primo agognato full-lenght dal titolo “Well of Madness”, distribuito dall'ucraina Ukragh production, dove si intravedono i primi segni di maturazione a livello sia musicale che di songwriting. Il disco riceve molti apprezzamenti dagli addetti ai lavori, e la band si trova a calcare i palchi in compagnia di grandi formazioni della scena nazionale, come Necrodeath, Warhammer, Distruzione e i veneti Death Mechanism. Ma arriviamo ai giorni nostri, ovvero verso la fine di gennaio del 2015, dove forti di un contratto con la biellese Punishment 18 records (fondata nel 2006 e specializzata in sonorità thrash e death), pubblicano il loro secondo lavoro discografico dal titolo “The Pound of Flesh”. A completare la formazione, che finalmente vede stabilizzarsi, troviamo Alessandro Mori ad occuparsi della batteria e Federico Monti alla chitarra, e mentre Restelli rimane fedele al suo basso, Paolo Azzimonti, oltre ad occuparsi della sei corde, si vede trasportato anche nel ruolo di singer e trascinatore della band. Andiamo quindi ad analizzare nel dettaglio, cosa sono riusciti a partorire questi ragazzi e se hanno effettivamente tutte le carte in regola per poter dire la loro in un panorama, il nostro, che purtroppo a livello nazionale non riconosce il giusto merito a formazioni volenterose e piene di talento.



L'apertura del questo lavoro è affidata ad una “Intro” della durata di un minuto e ventitré secondi. Un suono distorto si avvicina minacciosamente e le chitarre vengono lasciate agire, in un tripudio di sonorità deliranti ed angosciose, quasi fossero entità vive, pulsanti e piene di desolata disperazione. Colpisce soprattutto, il fatto che con pochi accordi, semplici e basilari, i nostri riescano a trasmettere una sensazione di assoluto terrore, condita da solitudine e abbandono totale, dove pur non essendo presente alcun tipo di percussione, l'effetto generato è inquietante ed avvolgente al tempo stesso. “Downers”, è la prima traccia vera e propria, che apre The Pound of Flesh. La partenza è altisonante e bella carica di groove. Un primo growl, apre a ritmiche sostenute che si smorzano ogni qualvolta il singer ruggisce le prime strofe. Un grande riff spaccaossa, che richiama molto le sonorità degli Obituary, apre la strada verso strofe sputate letteralmente in faccia all'ascoltatore, con una sezione ritmica incredibilmente efficace e penetrante. La voce di Paolo è devastante, così come tutto l'accompagnamento in generale, e crea un'atmosfera distruttiva che non lascia scampo. Un sottofondo lento e claustrofobico, accompagna le urla strazianti, mentre si avvicina un assolo di chitarra breve, ma efficace, per poi riprendere alla grande con una spettacolare cavalcata sonora senza eguali. Il ritmo si affievolisce un po' per far spazio al chorus, e risulta spettacolare nella sua semplicità, e ben adatto a fare strage soprattutto in ambito live, dove tutta la potenza sprigionata dal reparto strumentale, riesce a creare un alone di distruzione che farà felice ogni metallers in cerca di energia pura. Una traccia sicuramente non particolarmente elaborata, ma dotata di un animo aggressivo quanto basta, che fa ben sperare con il proseguo dell'ascolto. Il testo va a toccare l'avidità umana e lo sfruttamento della stessa, dove purtroppo troviamo persone pronte a tutto pur di arricchirsi a discapito della povera gente. Lo sfruttamento e la schiavitù sono all'ordine del giorno; si cerca di spremere fino alla fine, il lavoro di quelle persone che cercano di portare a casa due soldi per sfamare i propri cari, mentre i potenti si arricchiscono sulle nostre spalle trattandoci e classificandoci non come persone, ma come numeri da poter usare a proprio piacimento. Non siamo delle macchine in costante funzionamento, ma persone con una dignità; dignità che troppo spesso viene messa a dura prova da chi vuole e pretende sempre troppo, umiliandoci e facendoci sentire inferiori a loro. Ma in fondo non siamo esseri umani come tutti? E' giusto sacrificare la propria libertà per vedere altri che si arricchiscono con il nostro sudore e la nostra fatica? Bisogna cercare di cambiare al più presto queste situazioni, perché sono la rovina della nostra vita. Colpi secchi di batteria e chitarra pesantissima, con basso ad accentuare il tutto, e parte “Vhemt e subito capiamo di non aver scampo a livello sonoro. Il riff di chitarra è lacerante e il doppio pedale gioca molto sull' imprevedibità, mentre i piatti volano senza pietà. L'ingresso in scena di Paolo è tremendo e cattivo, che con poche parole ci introduce in una malignità senza compromessi. Il ritmo si alza lievemente senza eccedere, con una sezione ritmica sugli scudi, per poi accelerare brevemente e ripresentarsi come ad inizio, con ritmiche lente e soffocanti. Si odono varie voci che accompagnano il singer e il risultato è altamente disturbante. Si riprende con ritmiche sostenute ma sempre controllate, dove si sente molto bene il lavoro al basso di Restelli, che con precisione chirurgica, accompagna alla grandissima i propri compagni. La velocità aumenta ulteriormente, e dopo una strofa potente, un solo schizofrenico di chitarra, tenta di spezzare un po' la tensione, ma non fa altro che aumentarla, grazie anche al lavoro disumano di doppia cassa di Alessandro, che si fa apprezzare particolarmente per tecnica esecutiva e precisione. Con il proseguo, troviamo una breve parte strumentale ma intensa, che prepara la scena al cantante, il quale risulta sempre incisivo e mai sottotono. Il brano si conclude con chitarre lasciate allo sbaraglio e colpi di pelli ripetuti brevemente, decretando Vhemt, come una delle killer track dell'intero lavoro. Da segnalare, sicuramente è la partecipazione di Lorenzo “TxT” Testa, proveniente dalla thrash metal band Hyades, di cui ha curato il primo assolo del brano. Anche in questo caso ci troviamo di fronte allo sfruttamento vero e proprio da parte dell'uomo verso la propria razza. Il fine di tale sfruttamento è li davanti a noi, solo che siamo talmente accecati da false promesse ed illogiche illusioni, che pur avendolo davanti ai nostri occhi, non riusciamo a vederlo e a capirlo. I nostri si chiedono se abbiamo gli occhi per vedere e il cervello per scegliere, ma molte volte siamo costretti a fare ciò che non vogliamo, spinti dal fabbisogno di sopravvivenza; quindi la libertà di scelta viene a mancare in certe situazioni, e dobbiamo attenerci a regole che non condividiamo, ma che ci sono state imposte. La nostra mente è talmente corruttibile, che basta poco per essere influenzata, di conseguenza siamo incapaci di reagire in determinate situazioni, dando il via libera a chi vuole usarci, di controllarci a proprio piacimento. Con rintocchi sinistri di ride, parte “Morphine che si fa subito apprezzare per i suoi riff granitici e potenti. La sei corde solista di Federico arriva quasi in sordina con un suono breve e disturbante. Una prima strofa viene dettata da ritmiche lentissime e dal prepotente suono di basso di Restelli, che ne accompagna l'incedere. Il doppio pedale si fa incisivo senza mai forzare e dona una lieve accelerazione al tutto, facendo rimanere comunque alta la tensione ed una sensazione quasi esasperata. Le chitarre si rincorrono brevemente, mentre Paolo continua imperterrito nel suo growl piuttosto particolare, a incutere potenza. La velocità non accenna ad aumentare e questo non è un male, perché la song è impostata alla perfezione su queste tempistiche, ed il risultato è molto apprezzabile e gradevole. Le chitarre sono pesanti al punto giusto e il lavoro svolto dai nostri ragazzi è praticamente perfetto, costruendo un suono che richiama molto il movimento death dei tempi d'oro, ma al tempo stesso è dannatamente moderno ed incredibilmente convincente. Sul finale, un accenno di blast-beat della durata di un paio di secondi, e dei colpi di tom dal sapore dirompente, si conclude una traccia che fa della pesantezza ritmica il proprio punto di forza. La morfina è un analgesico usato sostanzialmente per cercare di non provare dolore fisico. Nel testo, siamo alla ricerca di un qualcosa che appunto ci aiuti a non soffrire, che ci provochi un minimo di sollievo. Ma il dolore in questo caso non è solo fisico, ma anche e soprattutto mentale. Viene citata la frase “Una dose letale di amore e luce” dove anche le speranze e l'affetto più comune possono, in un istante, trasformarsi nel peggiore dei dolori. Quindi si cerca un qualcosa di concreto per cui credere, in qualcosa che possa farci stare bene anche se per un breve momento. Dal momento in cui veniamo al mondo, siamo destinati e costretti a soffrire, in alcuni casi talmente tanto da desiderarne la morte. Siamo consapevoli di questo e cerchiamo in qualche modo una via d'uscita, un qualcosa che ci possa far dimenticare i dispiaceri della vita, prima di tornare a sprofondare nei nostri dispiaceri che, nel bene o nel male, tutti noi dobbiamo affrontare. “Haunted si apre con il basso, che con le sue note, accompagnato da leggeri tocchi di batteria, introduce questa quinta traccia. Nel momento che entrano in scena le chitarre, il ritmo diventa sostenuto per poi sospendersi brevemente, con colpi di tom e pedale che introducono il cantato, coadiuvato da una potentissima sezione ritmica che sprigiona violenza da tutti i pori. I riff sono affilatissimi e il growl è particolarmente efficace e a tratti mostruoso. La doppia cassa di Mori è in costante martellamento, mentre la violenza in generale è resa alla grande da parte di tutta la band. Il singer, tanto è ispirato, risulta essere veramente bestiale e con la sua voce riesce a dare una marcia vincente al brano, che già di per sé vanta un ottimo groove. Al minuto 2:32 troviamo le entrambe le chitarre che si cercano e si trovano a meraviglia, con un solo altamente disturbante, e la velocità che rallenta vistosamente a favore di sonorità pesanti ed annichilenti. Si riparte alla grande con un'altra strofa da parte di Paolo, e la strumentazione che si lascia andare nuovamente a velocità piuttosto sostenuta, che dopo un breve rallentamento, dà libero sfogo soprattutto alla doppia cassa, che va a concludere un brano sicuramente di notevole impatto. Da segnalare in questo caso, oltre alla bravura generale da parte di tutti i membri della band, la prova sicuramente superlativa del singer, il quale dimostra di sapersi trovare perfettamente a proprio agio, con la voce che non risulta in alcun modo sforzata anche quando decide di aggredire con grande cattiveria. Qui ci si vede in qualche modo perseguitati ed ossessionati da tutto il marciume che ci circonda e che ci accompagna purtroppo, nella vita di tutti i giorni. Perseguitato da qualcuno che vuole porre fine alla nostra vita, che con questa mannaia, figlia della nostra superficialità moderna, è pronto a scagliare il colpo mortale. La causa di tutte queste orribili azioni è la totale indifferenza e la poca attenzione che viene trasmessa alla gente ai giorni nostri. Qui il nostro omicida prova addirittura una sensazione di estasi nell'uccidere la gente, una sorta di gratificazione personale, dove in quel preciso istante, si sente completo ed appagato nel vedere scorrere del sangue per causa delle sue stesse mani. L'attimo subito seguente ammira la sua opera e si trova quasi in uno stato di beatitudine, ed assapora con gusto quell'attimo di totale tortura. Ma quanto può andare avanti tutto questo? Assecondare il terrore, anziché combatterlo, lasciarsi prendere dallo stesso per compiere atti di efferata violenza. Diventa quasi una divinità, di cui non si può spiegare l'attrazione, e il sacrificio sarà il nostro modo per adorarla. “Four Walls- The Perfection of Black con i suoi colpi iniziali di tom e le chitarre che ne ricamano l'incedere, risulta altamente disturbante ed efficace. La sezione ritmica parte in modo piuttosto tranquillo, ma con l'arrivo del cantato i toni non si velocizzano, si fanno più oscuri e opprimenti. La tecnica evidenziata dai nostri è di grande qualità ed una brave sezione strumentale ne enfatizza ulteriormente le doti musicali. Altra strofa, con chitarre che a volte si inseguono ed a volte diventano pesanti come macigni, mentre Paolo non accenna a risparmiarci in quanto a cattiveria. Dopo una prima parte decisamente provocante a livello sonoro, con ritmiche mai sostenute, arriviamo al minuto 2:47, dove troviamo una bellissima cavalcata sonora, con un cantato ancora più disturbante. Troviamo ripetuta questa parte un paio di volte, ma è talmente interessante che vorremmo sentirne ancora; un brevissimo solo dal sapore decadente asseconda un urlo malato, che dà il via ad un'altra parte molto ben costruita, dove le ritmiche non affondano mai il colpo, ma sono veramente affascinanti e potenti. La song si conclude in maniera veramente potente ed efficace, dove un'ultima breve strofa, conclude un ottimo brano, il quale risulta essere tra i migliori dell'intero lavoro. Qui andiamo a trattare l'argomento dello spreco del tempo che ogni essere umano, in un modo o nell'altro, inevitabilmente è costretto ad avere. Ci si guarda allo specchio, si vedono le ferite di una battaglia, quella della vita, che scorre velocemente ed inarrestabile. E' talmente veloce che sentiamo il sapore amaro della sconfitta, di una battaglia persa, avendo tanti e troppi rimorsi di cose che avremmo potuto fare e non abbiamo avuto la voglia di farle. Guardandoci indietro, possiamo notare quanto abbiamo buttato via la nostra vita, tra violenza e disperazione, vivendo un incubo senza fine di cui ci si pente sempre troppo tardi. Ci si interroga se il percorso da noi scelto sia quello giusto o meno, se abbiamo seguito una strada concreta o solo un'illusione da cui siamo rimasti fregati. Ma abbiamo realmente il coraggio e la voglia di cambiare questo percorso? Probabilmente no, perché all'uomo piace percorrere la via facile, piace viaggiare senza ostacoli e senza pensieri. Il risultato di tutto ciò è il rimpianto ed il rimorso, di non aver vissuto un'esistenza appagante e gratificante, ma di essere arrivato da solo, sull'orlo del baratro esistenziale, rimpiangendo il tempo sprecato della propria vita.“Synthesis of Human Failure parte con un riffing assassino, e subito la ritmica si presenta veloce e ferale, con la voce di Paolo che risulta maniacale e devastante. Si prosegue in maniera veloce e pesante, fino ad un leggero rallentamento dove il chorus è estremo in termini esecutivi, con una sezione ritmica che appesantisce molto il suono con in evidenza un basso accattivante e penetrante al punto giusto. Un assolo ben assestato asseconda la pesantezza generale, che imperterrita continua a pervadere l'ascoltatore. Un riff in solitaria dà il via alla strumentazione e una doppia cassa violenta accoglie tutta la malignità del singer, che con fare da serial killer, ci spara una strofa dritta in volto che non lascia via di scampo. Le chitarre vengono lasciate libere e colpi ben assestati di batteria concludono un'altra killer track di questo bellissimo lavoro. Una traccia breve ma intensa, che dimostra, arrivati a questo punto, un'attitudine devastante da parte della band lombarda, dove tra growl esemplari e partiture assassine, riesce nell'intento di tenere alta la tensione e l'interesse verso un album, che fin qui merita tutta la nostra approvazione. La vigliaccheria dell'uomo non conosce confini,e quando si cerca di far del male a qualcuno, si cerca sempre di farlo verso le persone più deboli. Coloro che fanno tutto ciò sono solo dei vermi schifosi che non hanno nulla da chiedere alla propria vita; sono appunto la sintesi del fallimento umano. La nostra razza ha miseramente fallito un'opera di evoluzione mentale, che avrebbe dovuto esserci ma che per qualche motivo non è avvenuta. Invece di usare il cervello in maniera consona per i tempi che corrono, si è avuto un regredire costante verso la voglia di non essere in alcun modo civili o tolleranti. Guardare dritto negli occhi a chi si sta facendo del male sarà il nostro inferno, perché non potremmo mai dimenticare il dolore che provocheremo al prossimo. Magari al momento non ci importerà nulla e trarremo soddisfazione per quello che stiamo facendo, ma con il tempo riaffioriranno i ricordi e non ci abbandoneranno più per il resto della nostra vita, consumandoci interiormente fino alla fine dei nostri giorni. “Hybris ha un inizio tipicamente thrash, con batteria che che si alterna alla perfezione con la chitarra ritmica e un breve assaggio di lead guitar, che rende tutto molto efficace. La sezione ritmica inizia a macinare alla grande e una doppia cassa, mai troppo veloce, introduce un assolo semplice ma di grande effetto, che accoglie tra le proprie braccia una prima strofa demoniaca e ben assestata. Successivamente ci troviamo davanti ad un altro breve solo che, alla conclusione, rallenta le tempistiche in maniera sostanziale, con il solito Paolo che non si risparmia ad essere ruvido e devastante. Una leggerissima sospensione, dove si sentono solamente due colpi singoli di pedale, e si riparte senza mai esagerare, con ancora una volta le chitarre che avvolgono la proposta. Dopo un'altra strofa ben caratterizzata da parte della band veniamo sorpresi dal solito solo di chitarra, che questa volta non viene accompagnato dalla ritmica, ma solo da Mori dietro le pelli e dal basso di Restelli. Sopraggiunge la chitarra ritmica e la cavalcata di doppio pedale viene accompagnata dai compagni perfettamente, dando il via al singer per concludere con un'ultima parte vocale l'ennesimo brano intriso di violenza, che sa come tenere l'ascoltatore in tensione. Ora che l'umanità è in pericolo per nostre stesse mani, si cerca una soluzione attraverso nuovi mondi. Si cerca di scappare da questo inferno da noi stessi creato, per poter ricominciare a vivere in maniera decente. Ma per fare tutto ciò bisogna sperimentare, bisogna provare, mettendo in preventivo che non tutto potrebbe filare liscio. Si sceglie qualcuno dal mazzo, come fossimo delle cavie, per provare a vedere se questa nuova prospettiva di vita funziona oppure deve rimanere solo un'utopia. Bisogna addestrarla per poter sperimentare, bisogna che sappia governare delle macchine, che sono state costruite per esplorare e per fare tutto ciò bisogna che diventi un tutt'uno con la macchina. La nostra vita ormai, non ha più alcun senso e non rimane che la fuga. Probabilmente sarà un viaggio senza ritorno, ma il sacrificio è alla base di qualsiasi sperimentazione ed innovazione. Il problema è che questo sacrificio riguarda noi stessi e siamo costretti come degli animali a morire per queste innovazioni. “Forced Path si apre con chitarre schizofreniche e colpi di tom e timpano a ripetizione. L'equilibrio viene ritrovato con una prima strofa ben caratterizzata dal solito frontman, complice anche la bellissima struttura chitarristica del duo Azzimonti/ Monti, che risultano essere come mai fino ad ora, in perfetta sintonia. I toni si fanno subito cupi e deliranti, con la sezione ritmica sugli scudi; mentre sul finire di un'altra ottima parte cantata troviamo uno spettacolare momento strumentale che cattura all'inverosimile ed affascina per violenza sonora ed impatto. Un brevissimo riff introduce ancora una volta Azzimonti, che dona linfa mortale ad una song fin qui spettacolare. Le chitarre sono incredibili e rivestono un ruolo fondamentale per la struttura del brano. La velocità aumenta vertginosamente, con accenni di blast-beat e sfuriate di doppia cassa, mentre le sei corde sembrano motoseghe impazzite pronte ad uccidere il malcapitato. Il tempo rallenta a favore di una pesantezza musicale non indifferente, dove troviamo, fortunatamente ancora, l'intreccio chitarristico che dà una marcia in più alla song. Sul finale la velocità la fa da padrone e lascia una sensazione di appagatezza completa oltre alla voglia smisurata di risentire il brano più e più volte. Non ci sbilanciamo affatto a dire che probabilmente ci troviamo di fronte alla migliore canzone dell'intero lavoro. Tutto è perfetto, dalla cattiveria intrisa nella musica, alle bellissime trovate strumentali e alla perfetta esecuzione generale, che fa di questo "Forced Path", un gioiello tutto da gustare. I rapporti umani sono minati da un'infezione di coloro che vogliono imporci le proprie volontà. Vogliono pianificare il nostro percorso vitale, decidendo per noi quello che dobbiamo o non dobbiamo fare. La libertà è ormai diventata un'utopia e siamo in balia di persone senza scrupoli, che vogliono ingrassare a discapito della libertà altrui. Con i loro messaggi subliminali ci bruciano il cervello, veniamo consumati sia nel fisico che nell'anima. Cerchiamo di fuggire da questo teatro della menzogna, ma non è affatto facile. Ci vuole coraggio, e purtroppo ci viene tolto anche quello; ma se qualcuno avesse la forza di reagire, di combattere, ci potrà realmente essere una svolta? Non è dato saperlo. Certo è, che se le cose dovessero rimanere così, saremmo spacciati, e schiavi dell'ignoranza più malsana. “No Last Bullet ricorda molto da vicino le sonorità tipiche di World Demise degli Obituary, soprattutto a livello di potenza del suono. Si rallenta piuttosto violentemente e quando il singer fa la sua comparsa, i riff diventano taglienti e la ritmica, anche se non accelera, risulta altamente pesante. Doppia cassa a martello e si riprende con una breve strofa, interrotta da un assolo lacerante. Altra strofa e l'atmosfera si fa palpabile, quasi oscura e disturbante. La sezione ritmica compie un lavoro devastante dal punto di vista dell'impatto puramente emozionale. Quando la velocità aumenta, veniamo colpiti da una brusca frenata, dove, nuovamente, le chitarre si cercano e si intrecciano alla grande, per poi trovare un solo che dà il via ad una splendida parte metal con la M maiuscola; roba da devastarsi nei loro live. Si prosegue sostanzialmente in linea con la prima parte del brano, dimostrando oltre ad un'ottima base tecnica, un'attitudine assolutamente vincente che la si può percepire ascoltando questo brano. Bello, potente ed incredibilmente efficace. Immaginiamo di camminare in una landa ghiacciata senza fine; la paura inizia ad affiorare, il timore di rimanere uccisi e schiacciati dalla morsa del gelo si fa avanti prepotentemente. Siamo costretti a farlo, contro la nostra volontà. Siamo stremati, al limite della sopportazione fisica, ma l'ordine è quello di proseguire, di andare avanti senza sosta fino al raggiungimento della meta. Guardandoci intorno vediamo cadaveri sparsi ovunque e lo sconforto tenta di prendere il sopravvento. Guardiamo la nostra arma ed un'idea attanaglia la nostra mente. Una pallottola soltanto e ci togliamo il pensiero. Troveremo finalmente la pace, non saremo più schiavi di nessuno, ma solo l'ennesimo mucchio di carne da lasciar ghiacciare, in attesa di essere seppelliti. “The Pound of Flesh (Title Track) è la song che ha il compito di chiudere questo interessantissimo lavoro. Lo fa in maniera consona ed in linea con i brani precedenti, ovvero con un inizio lento con chitarre in evidenza. Quando la batteria accelera con il doppio pedale e si arresta di colpo, sentiamo un basso in bella mostra che scandisce con dei colpi di corda come fossero pugni diretti in volto. Quando compare il vocalist, tutta la rabbia esce allo scoperto, evidenziando una spettacolare cattiveria mai gratutita. I riff sono taglienti come rasoi e le ritmiche ossessive e martellanti. Il lavoro dietro le pelli di Mori è impressionante e. anche quando troviamo dei leggeri rallentamenti, l'atmosfera malsana che accompagna il brano non accenna a diminuire. Una leggera pausa con una lead in evidenza, e troviamo un parlato molto d'effetto e delle stoppate bellissime, che non fanno altro che arricchire la proposta. L'assolo di chitarra è prepotente quanto basta, e le urla deliranti di Paolo sono da antologia. Si riprende a macinare con violenza eccelsa fino alla conclusione di una song, che è praticamente la summa di tutto ciò che possiamo trovare in questo platter. Anche in questo caso, un brano efficace e tremendo, che pone degnamente fine ad un'opera di grandissimo livello, in grado di farsi ascoltare piacevolmente e colpire l'animo metal di ogni seguace. Si arriva a vedersi nel momento imminente della morte, dove possiamo sentire e vedere il nostro cuore prima di esplodere letteralmente. La mente viene piano piano offuscata dal dolore e dalla consapevolezza di una fine inarrestabile, mentre il vuoto dentro di noi diventa incolmabile. Eppure eravamo convinti che qualcuno ci avrebbe promesso una sorta di salvezza, ma alla fine era solo la nostra convinzione, perché nessuno ci ha mai fatto intendere effettivamente che saremmo sopravvissuti. Allora ci troviamo a guardare il nostro corpo decadere, senza poter far nulla per sopravvivere e, spinti dalla disperazione e dalla delusione, chiediamo quella parte di dolore che diventa insopportabile, in modo da morire senza pensare a nulla. Ecco la nostra carne, sacrificata per sfamare coloro, che hanno voluto la nostra fine senza un minimo scrupolo.



In conclusione, ci troviamo davanti ad un grande album; suonato molto bene, registrato con molta cura, che sa catturare al primo ascolto. Non lasciatevi ingannare dalla tra l'altro splendida copertina, e dal nome della band, che possono facilmente indurre alla conclusione di trovarsi di fronte ad una band death metal dal sapore brutal. C'è molto di più; un thrash dalle forti influenze death di stampo europeo, che talvolta richiama a livello musicale i già citati in fase di recensione Obituary. Ogni membro del gruppo lavora in maniera perfetta e sarebbe un omicidio citarne uno in particolare. Tutti svolgono la propria parte in perfetta sintonia con gli altri, a partire da Mori, che con il suo drum set è spettacolare, Restelli che con il suo basso distrugge i timpani dell'ascoltatore, e il duo chitarristico Monti/Azzimonti che si alternano alla grande, sciorinando accordi assassini e assoli di grande spessore. Quest'ultimo è anche particolarmente efficace dietro al microfono e la sua timbrica risulta essere marziale e potente per annichilire la folla e non lasciare superstiti. La produzione è ottima, così come il mixaggio, potente ed aggressivo come deve essere un disco di questa portata, risultando molto compatto ed omogeneo. Ora mi chiedo se serva altro per far emergere come merita una band di questo valore. Sì perché qui stiamo parlando di un prodotto assolutamente valido, suonato con il cuore (e probabilmente qualche altra frattaglia) e sarebbe un peccato che per colpa di un paese dalla mentalità chiusa come il nostro, si facesse sfuggire una realtà del genere. Fortunatamente, c'è chi crede nel metal anche in Italia e bisogna dare atto alla Punishment 18 di avere fiuto nel scovare formazioni del genere. Sicuramente in ambito live, i Total Death sanno dire la loro (15 anni di attività non sono uno scherzo), e quindi non resta che supportare la nostra prolifica scena, sperando che un giorno, goda del rispetto e dello spazio che merita. Complimenti a questi ragazzi, e che la distruzione sia con tutti noi.


1) Intro
2) Downers
3) Vhemt
4) Morphine
5) Haunted
6) Four Walls-The Black Perfection
7) Hybris
8) Synthesis of Human Failure
9) Forced Path
10) No Last Bullet
11) The Pound of Flesh