Sviet Margot
Spiriti di Luce
2013 - Self

ROBERTA D'ORSI
08/05/2014











Recensione
La musica come cibo per l’anima. La musica come viaggio interiore. La musica come espressione di un mondo profondo, nel quale esprimersi liberamente. La musica, tra le più antiche forme d’arte, la cui etimologia della parola nasce dall’aggettivo greco μουσικ?ς/mousikos, riferito alla figura mitologica delle muse. In principio tale arte non trovava riscontro in nessuna particolarità, ma abbracciava TUTTE le arti delle muse, il che portava alla rappresentazione della perfezione. Ogni appassionato di una qualunque forma artistica, può definire quell’arte come “perfezione”, pittura, scultura e via discorrendo. E pur apprezzando tantissimo le arti figurative, per quanto mi riguarda, la musica è e sempre sarà, l’eccellenza raggiunta in campo artistico, quella che più di altre riesce a farmi emozionare. Come non ricordare e citare la celebre frase di Friedrich Nietzsche “Senza la musica la vita sarebbe un errore”. Mai parole furono tanto semplici quanto veritiere e questo aforisma, accompagnerà il ciclo vitale fine alla fine, ed oltre. Musica per l’anima, ritmo per la mente, queste sono le prerogative per gli Sviet Margot, band romana che ha concepito quest’arte come appagamento interiore, stravolgendone molte canonizzazioni, e incentrando il proprio lavoro su sperimentazione e decostruttivismo, al fine di creare energia in note per la psiche. Il moniker della band è stato formulato per ricondurre al senso intrinseco della musicalità, concepita dalla band. Sviet termine russo che indica la luce, l’universo, e Margot la sensuale donna di Lupin, sono le due componenti che denominano il gruppo romano. Il tutto si traduce in atmosfere affascinanti dati dalla voce morbida ed avvolgente della co – fondatrice e vocalist Tiziana Giudici, e da una musicalità si stampo britannico, che spazia dal rock al jazz, dove energia ed intensità lasciano ampio spazio ad una poeticità cara al gruppo. Con tre demo ed un album totalmente autoprodotto, gli Sviet Margot hanno percorso una corposa strada on stage, esibendosi in svariati locali romani, con un buon riscontro di pubblico. La band si compone dalla già citata Tiziana Giudici alla voce, da Alessandro Galizi al basso (sei corde), chitarra acustica e tastiere, da Giuseppe Ricotta alla chitarra solista e dal recente acquisto Marco Ricci alla batteria. Ognuno dei membri ha una ricca esperienza in campo musicale. Studi, altri progetti e gusti musicali variegati, si sono uniti in questo progetto, dando vita ad un risultato articolato e percettivamente sensoriale. L’album di cui vi parlo è l’ultimo lavoro degli Sviet Margot, che si intitola “Spiriti di Luce”, in cui nella line up alla batteria figura Stefano Masella e Graziano Galeone come chitarra addizionale. La componente sensoriale, profonda e viscerale descritta prima, viene sintetizzata in questo lavoro proprio nel titolo, dove spiriti di luce sta ad indicare un equilibrio tra la realtà materiale e la dimensione onirica. Quindici brani ognuno dei quali rappresentano uno dei quattro elementi occidentali, ovvero aria, acqua, terra e fuoco, e uno dei cinque elementi orientali, legno, fuoco, terra, metallo e acqua. Parole e musica sono di Tiziana Giudici e Alessandro Galizi. Il disco della durata di 54 min. e 09 sec. è stato prodotto, registrato e mixato presso il G.T. Studios di Tiziana Giudici, e masterizzato da Kutso. Il semplice ma esplicativo artwork è a cura di Serena Dattilo, che ha rappresentato con eleganza il moniker della band. Un sinuoso corpo di donna, emana lucentezza e si staglia su un fondale rosso fuoco, assumendo connotati evanescenti, come fosse una nuvola di fumo, al centro di un semi cerchio. Gli elementi sui quali sono basate le canzoni, vengono evocate dall’immagine di copertina, così come il significato del nome Sviet Margot. Adesso è ora di entrare nel mondo degli Spiriti di Luce, in cui la materia è pura energia, in cui ogni individuo concepisce la vita come reale o virtuale, al di la del tempo e dello spazio.
La prima traccia si intitola “Water City” ed è cantata in inglese, mentre quasi tutte le altre canzoni, sono in lingua italiana. Circa un minuto per questa traccia dall’atmosfera rarefatta, infarcita di elementi synth, e dove il decostruttivismo di cui parlavamo prima, si fa molto evidente. Un’idea di prog che poi prog non è, è più una sovrapposizione di vari elementi e strumenti, in particolare delle tastiere che spuntano attraverso questo labirinto di suoni sintetizzati, e la melodiosa voce della Giudici, che fa emergere il suo lato espressivo, morbido ed avvolgente. Il breve testo fa un diretto riferimento agli elementi della terra, dell’aria e dell’acqua. Una strada che porta lontano da un’anima evidentemente inquieta, poiché il posto che si raggiunge fatto d’acqua blu, è libero dalla confusione. Si prosegue con “Via da qui” la cui melodia di base è piuttosto semplice, approccio catchy ed esecuzione che fino a oltre metà canzone, funge unicamente da tappeto sonoro per la vocalist, la cui voce limpida ed aggraziata convince, ma che nelle note alte tende a diventare estremamente squillante. L’assolo di chitarra a metà canzone finalmente arriva a conferire un po’ di movimento al brano, e subito a seguire la sezione ritmica svolge il medesimo compito, stravolgendo leggermente la lineare ritmica di base. Il testo mi fa pensare ad una componente ermetica che può appartenere all’autore dei testi. Con l’andare avanti delle tracce avrò o meno la conferma. “Via da qui” si riferisce ad una principessa suicida e perduta che alberga interiormente, in questo caso nella vocalist essendo sue le parole. Le tenebre avvolgono la protagonista, che invita questa principessa ad andare via da lei. Una chiara ribellione ad uno spirito negativo che la opprime. Gli spiriti di luce arrivano in soccorso, allontanando così quelli notturni. La liberazione dai suoi demoni è compiuta?! Altro motivo easy per “Calore” così come la linea vocale. Gli strumenti compiono il loro dovere di accompagnamento alla cantante, fin quando tastiere e chitarra emergono a dare lucentezza al brano. E la batteria non fa differenza, nei suoi momenti di protagonismo, anche se velati. Il suono dei tasti è quello che già dall’attacco del brano, dona quel valore aggiunto, ad un brano di per se piuttosto semplice. Il ritornello mi piace molto, sia dal punto di vista musicale, che da quello delle liriche. In sostanza le parole si riferiscono ad una ritrovata fiducia nel prossimo, nell’anima e nello sguardo di una persona, che può con il suo viso, gli occhi e la positività di un gesto, infondere calore in chi gli sta vicino. Intro elettronico per “Deserti Rosso Sabbia”. Poche note di sintetizzatore che lasciano subito spazio all’inserimento degli altri strumenti. La suadente voce della Giudici accarezza la melodia su cui cammina. La ritmica iper melodiosa udita inizialmente, prende corpo ed energia grazie non solo ad un’esecuzione ad opera degli strumentisti, ma anche e soprattutto per la linea vocale che acquisisce grinta, senza perdere di eleganza. Il testo rivela la prerogativa poetica della Giudici, la cui raffinatezza si esprime oltre che vocalmente, anche nelle sue parole. Visone bucolica di una realtà onirica, nella quale i sogni sono un aiuto a vivere la realtà quotidiana. Nel proprio animo fatto di oscurità, bisogna cercare di scorgere ogni più piccolo segno positivo per distrarsi, come la luce del sole, la soavità delle foglie mosse dal vento. La natura bellissima coi suoi colori ammalia, ci mostra l’orizzonte da percorrere, e nel frattempo quando abbiamo paura, possiamo sempre rifugiarci nelle nostre lacrime. Purtroppo breve, ma delizioso l’attacco di basso per “Semplicemente”. Per il resto la canzone è ritmata, un po’ troppo pop per i miei gusti, con dei brevissimi istanti dal sapore ska. Arrivata alla quinta canzone, mi sono fatta un’idea più chiara sugli Sviet Margot. Il rock è cosa seria! Il rock è un genere sicuramente variegato, ma che nel corso degli anni ha subito una mutazione, diventando oggi una prerogativa per chi vuole fare musica sostanzialmente strong, energica, travolgente. Basti pensare ad una delle traduzioni del termine, ovvero roccia. Ma il rock è talmente tanto vasto da comprendere millemila influenze, dal jazz al blues, dal funk al punk, al folk e potrei andare avanti per righe e righe di scrittura. Per cui di primo acchito, gli Sviet possono sembrare non pertinenti con il genere rock, ma non è così. Le basi ci sono, le influenze anche, diciamo che possono benissimo essere catalogati come soft rock, con divagazioni elettroniche e mood molto ruffiani, che per me si traduce in pop o commerciale. Detto questo la band non scherza affatto, anzi prende la musica molto seriamente, e questo lo si evince sia dalle esperienze individuali dei componenti, sia da quella di gruppo, suonando molto live e realizzando i propri lavori con dedizione e passione. Ritornando al brano Semplicemente, apprezzo il protagonismo del suono di basso, incamminandoci verso il finale, alcuni frangenti della melodia assumono un aspetto più creativo, con un combo di chitarra, basso e batteria che anticipano l’ingresso di cori quasi lirici in supporto alla Giudici. Un rapporto di coppia che ruota attorno all’incertezza. Un uomo che probabilmente non è quello giusto, un uomo che ride della propria compagna, c’è diffidenza, ma al contempo lei non riesce a stargli lontano. Una storia che molte donne hanno affrontato nella vita. Con “Universo” ci lasciamo cullare da dolci note che ne costituiscono una ballad. Nonostante sia un “lento” mi hanno colpita in questo caso una struttura compositiva ed esecutiva, piuttosto articolate. Se proviamo ad eludere la voce della cantante, ci accorgiamo di suoni tanto diversi tra loro che presi singolarmente, non troverebbero tra di loro un filo logico. Ma racchiusi nel contesto musicale di base, funzionano alla grande. Il risultato è una via di mezzo tra un sogno ed un viaggio nello spazio, l’aria si fa rarefatta, le stelle brillano ed illuminano la strada su cui poggiamo i piedi. Queste sono le sensazioni che ho provato ascoltando la soave melodia, accompagnata dall’angelica interpretazione della Giudici. Sono estremamente sentimentale ed emotiva, e questa canzone ha toccato e fatto vibrare le corde del mio cuore, una lacrimuccia solcandomi il viso, ha approvato decisamente la traccia. Il modo in cui Tiziana riesce a trascrivere il suo mondo interiore in versi, è delicatamente suggestivo. La vita di ognuno di noi è solo un attimo, per cui mai rinnegare un ricordo, una melodia scritta, poiché sono il bagaglio di esperienze fatte, che hanno modellato la nostra persona. Rivivere nel rileggere una poesia, fuggire nei colorati mondi di una fotografia. Sono battiti di cuore nel nostro universo personale, sono solo attimi di questo universo, ma sono i nostri e quindi preziosi. Ok ecco la sperimentazione ed il fuori schema che mi aspettavo, arrivare con “Flussi Puri d’Armonia”. I suoni elettronici ed un potente mood di base si mescolano con i vocalizzi da soprano della Giudici, che possiamo apprezzare per tutta la durata del brano. Già questo basterebbe, ma no, c’è altro. Dal punto di vista musicale Tiziana, affronta un’esecuzione che comprende la sua voce “normale” ed un cantato sospirato, oltre all’interpretazione liricheggiante. Ognuna delle tipologie è ben incastonata in un punto preciso e consono del pezzo. La struttura compositiva, è decisamente classicheggiante, e rende omaggio ai grandi della musica orchestrale. Non è facile abbinare i suoni striduli e disturbati del sintetizzatore, con una concezione classica e operistica, e alla fine riuscire a produrre un risultato estremamente convincente. Dire bravi agli Sviet Margot in questo frangente, mi sembra il minimo. Il testo sembra essere una sorta di incitamento alla ribellione, verso un sistema che rende prigionieri di preconcetti, azzerando la libertà di pensiero, e non solo. Parte “Ditemi Perché”, canzone che si rivela dopo pochissimi istanti, senza pretese. Una canzonetta ma non nel senso dispregiativo del termine, semplicemente una boccata d’aria fresca. Melodia semplice e spensierata, nessun orpello, nessuna divagazione sperimentale, solo concezione di evasione messa in musica. Il richiamo pop è molto forte, con un refrain ruffiano che strizza abbondantemente l’occhio alla musica leggera tipicamente italiana. Cercare attraverso la gente, volti e sorrisi con cui condividere la purezza dei propri pensieri. “Cerco anime di luce pura” canta Tiziana, una bella frase nella cui allegoria immagino ci sia racchiuso, il bisogno di circondarsi di persone positive, la cui anima ami la vita e colga sempre il lato bello del vivere. Si ritorna a sonorità corpose ed energiche con “Scintille”. Il riff iniziale della chitarra convince così come il successivo accordo ripetuto quasi il loop. Terminata la strofa ci troviamo dinanzi ad un articolato bridge che introduce il ritornello. La sezione ritmica tiene bene le redini del corredo armonico, consentendo alle chitarre di esporsi e mettersi in luce con una notevole esecuzione, la quale consente un protagonismo delle stesse ma al contempo legandosi saldamente alla sezione ritmica ed alla vocalist. Le poetiche liriche avvalendosi anche di metafore, si riferiscono ad un rapporto carnale. Le scintille sulla pelle e sulle labbra, lascio alla vostra immaginazione ed interpretazione, cosa siano in realtà. La Giudici potrebbe riferirsi alle gocce di sudore, come a qualcosa di ancor più intimo ed “organico”..! Un’altra ballad si palesa dopo Scintille ed è “Cenere”, un altro degno esempio di quanto la band sia in grado di emozionare con dolcissime melodie. Il suono pulito delle chitarre, la batteria appena accennata e dei leggeri e quasi impercettibili accenni di sintetizzatore, danno vita ad una soffice nuvola sulla quale la Giudici, cammina in punta di piedi con la sua delicata voce. Non poteva mancare una poetica incantevole, ad accompagnare tale melodia. Il mondo irreale, quello fatto di sogni (spesso ad occhi aperti) è un luogo in cui potersi rifugiare, senza però perdere di vista la realtà, l’essere se stessi. Non è mai facile trovare quello che si vuole (che si spera) e le lacrime si trasformano in stelle. Di impronta avant-garde il successivo pezzo “Soffio D’anima”. Non solo dal punto di vista compositivo ed esecutivo, ma anche e soprattutto da quello vocale, in particolare per l’interpretazione di Tiziana del ritornello. Immaginate un musical di stampo moderno estremamente experimental, ecco Soffio D’anima si collocherebbe perfettamente in tale rappresentazione. La canzone inizia con una frase detta con effetto distorto. Parte un combo di chitarra e batteria abbastanza articolato, poi la cantante entra in scena con un cantato lievemente effettato che si protrarrà per tutta la traccia. Alcuni rumors o sample noises vengono inseriti qua e la nel songwriting. Cosa ne penso? Che sono bilanciati e dosati bene, e soprattutto sono perfetti nel contesto, arricchiscono senza appesantire. Cosa che spesso gli effetti digitali fanno. Ermetismo spiccato in questo testo, la cui interpretazione diventa inevitabilmente soggettiva. Probabilmente c’è una sorta di accusa all’arroganza, a chi crede di essere sopra gli altri, a chi pensa di sapere tutto e di avere sempre ragione. Questa gente è nulla, sono solo “un soffio d’anima” come cita il titolo. La vita è talmente breve, che dovremmo cercare di essere più uniti e tolleranti, invece ci cercare a tutti i costi di primeggiare. Un tempo melodico andante caratterizza “Silenzio”. Approccio lineare, con leggera variazione tra strofa e ritornello. Il tappeto musicale è costruito per favorire l’interpretazione vocale. I riffs della chitarra sono puramente d’accompagnamento, così come la delicata esecuzione alle pelli. Verso il finale tornano gli effetti del sintetizzatore a donare un aspetto space alla traccia. Ed è il rapporto con un uomo il fulcro di questo testo. Una presenza che da tangibile, diventa evanescente. Un legame che da reale diventa illusione, un illusione che all’inizio ammalia e rapisce, ma che poi si trasforma in delusione. Nelle ultime parole ci si riferisce ad un angelo. Il che può far presupporre anche all’idealizzazione di un uomo, che sarebbe la persona perfetta. Ma non esistendo la perfezione in una persona, ecco che la delusione dell’irrealtà si trasforma in delusione. L’ atmosfera placida di “Spiriti Senza Pensieri (Colours and Sides)” si discosta dalle altre ballads per avere una prerogativa, seppur estremamente melodiosa, più energica. Ed è nel refrain che la chitarra calca la mano su questo incipit. Mentre la strofa si adagia su un tappeto sonoro delicato, il ritornello si anima con note cariche di pathos. Il tutto basato sulla semplice sinergia degli strumenti e della linea vocale, amalgamati in perfetta simbiosi. Non è servito ai musicisti creare funamboliche prestazioni, per raggiungere un’intensità sonora. Ci sono riusciti semplicemente con la costruzione di un songwriting intrigante e volumi consistenti. Viene fuori un certo spiritualismo, liriche a cavallo tra l’ultraterreno ed un realismo sperato, che fa unicamente parte del proprio io. Siamo tutti angeli (?) di forma, colore ed energie diverse (?). Coglie un po’ di sorpresa la seguente “Shining Brain”. Il suo inizio pacato fa pensare ad un’altra ballata sognante. In realtà è così, ma le trasognanti note si propagano solo per un minuto e venti secondi. Una melodia soft ed acustica, con una chitarra in primo piano, che supporta brillantemente l’angelica voce della Giudici. Poche righe per ergere una vera e propria ode al proprio intelletto. Un’esortazione a farlo librare sempre più in altro, a far si che splenda e che acquisti sempre più brillantezza. Arriviamo alla fine con ancor meno da ascoltare, solo una quarantina di secondi per “Sviet vs Margot”. Distorsioni di sintetizzatore, qualche accenno al pianoforte ed alcune frasi in lingua straniera, mettono la parola fine al cd. Arrivata a questo punto, immagino che le tracce di breve durata (se non tutte) siano un assaggio di quelle per il nuovo album. In caso contrario, pensiamo ad una “stranezza” compositiva o a semplici brani corti, inseriti dal gruppo al fine di incrementare l’ascolto. Ma dato che parliamo di quindici tracce, sono ancor più convinta che quelle brevi siano un anticipo dei nuovo pezzi, che ascolteremo nel nuovo lavoro degli Sviet Margot.
Nell’underground dello stivale, la concorrenza musicale diventa sempre più spietata. Tanti sono i gruppi che cercano di intraprendere una carriera, e di fare del proprio genere, e del proprio strumento, un lavoro. Che ci sia spazio per tutti è assodato, quanto meno c’è democrazia in questo (almeno ancora..). Ma che poi tutti quelli che si mettono a fare musica, riescano a sfondare, quella è un’altra storia, decisamente più complicata. Gli Sviet Margot hanno fatto una scelta ben precisa ed oculata, proponendosi in un genere rock melodico, ed incorporando quel tanto di sperimentazione che serve a rendere movimentato, un genere soft. Una voce femminile, in questo caso estremamente femminile, si sposa bene con la musicalità costruitale attorno, ed il cantato in italiano le si confà in maniera perfetta. Ineccepibili dal lato esecutivo, produzione discreta, creatività nell’inserimento di sample noises ad hoc, testi (se pur a volte estremamente ermetici) deliziosamente poetici. Se tutte queste caratteristiche non sono meritevoli, allora io di musica non ci capisco nulla, detto inoltre da una che ama un rock decisamente più pesante. Brillare, essere valutati positivamente dal pubblico, è una delle maggiori aspirazioni di una band. Non so quanta strada faranno, e se raggiungeranno la notorietà che chiunque si metta a fare musica sogna, ma alcune delle loro canzoni mi ha davvero emozionata. Far provare belle sensazioni con la propria musica, a chi ascolta, credo sia una delle soddisfazioni più grandi che si possano provare. Ed anche questo è brillare.

1) Water City
2) Via da Qui
3) Calore (alt. version)
4) Deserti Rosso Sabbia
5) Semplicemente
6) Universo
7) Flussi Puri d'Armonia
8) Ditemi Perché
9) Scintille
10) Cenere
11) Soffio d'Anima
12) Silenzio
13) Spiriti Senza Pensieri
(Colours and Sides)
14) Shining Brain
15) Sviet vs Margot

