HARLOTT

Origin

2014 - Punishment 18 Records

A CURA DI
MARCO PALMACCI
04/03/2014
TEMPO DI LETTURA:
7

Recensione

Se ci mettessimo, amici metallari, tutti assieme ad elencare le qualità che rendono la nostra musica semplicemente insuperabile e magnifica ai nostri occhi, credo proprio che il nostro allegro convivio si protrarrebbe per settimane e settimane, birra dopo birra, disco dopo disco. Del resto, iniziare una discussione dal titolo "Perché ascoltiamo Metal" darebbe a tutti noi la possibilità di parlare per ore, di condividere esperienze, racconti di concerti sia come spettatori che come musicisti attivi e così via. Personalmente, dovessi esprimermi dinnanzi a tutti voi, ho sempre trovato che il punto forte del nostro Genere preferito fosse la totale mancanza di confini e barriere. E' un tipo di musica che accetta TUTTI, indistintamente, che è pronto a dare, dare, dare, senza pretendere di ricevere nulla, anche se alla fine inevitabilmente si prenderà il nostro Cuore, senza lasciarcene accorgere tanta è la Passione che trasuda dai nostri chiodi e dalle nostre t-shirt. Una mancanza di confini e barriere che, a quanto sembra, non è solo simbolica ma oggi più che mai addirittura geografica! Perché pensare di ridurre l'Acciaio Pesante a tre - quattro nazioni massimo sarebbe quanto meno sbagliato, dato che il mondo è pieno zeppo, in ogni suo angolo, di scene vive e pulsanti, di band esperte, capitani di lungo corso e nuove leve affamate di musica che sgomitano senza sosta per trovare il loro posto nell'Olimpo dei Metal Gods. Basta aprire un Atlante e, di proposito, prendere in considerazione il paese più "lontano" che salta ai nostri occhi. Vi troveremo sicuramente un discreto numero di band dal grande potenziale o dalla carriera pluridecennale, delle quali magari ignoriamo l'esistenza ma che nei loro paesi sono seguite ed amate quanto nel resto del mondo i colossi del Metal. E il caso ha voluto che quest'oggi, cari lettori, i riflettori venissero puntati sull'Australia, terra selvaggia ed affascinante, ai confini del mondo eppure splendidamente viva e dal richiamo ammaliante: meta turistica ambita da molti, è attualmente vista più come una "terra delle possibilità" che come un luogo "ricreativo", dato il benessere che lì si respira e che invoglia molte persone a cercarvi fortuna. Quella stessa fortuna che proprio lì, anni ed anni prima, cercarono e trovarono due ragazzi scozzesi di nome Angus e Malcolm Young, consegnatisi alla storia con il nome di AC/DC. Per non parlare poi di band meno note ma sicuramente valide come i rockers Rose Tattoo ed i giovani e forsennati Airbourne , o spostandoci decisamente sull'estremo, gli spericolati Hobbs' Angel of Death, Mortal Syn, le leggende dell'underground Slaughter Lord e gli ancor più indomabili Sadistic Execution e Bestial Warlust. Dai padri fondatori cresciuti a pane e blues/rock n roll  sino ad arrivare alle band che subito dopo hanno deciso di incamerare la lezione "Hard Rock" per riproporla poi in chiave decisamente più veloce e priva di"compromessi", un ragazzo australiano dei nostri tempi ha dunque molto materiale a sua disposizione per far nascere in lui non solo la Passione per il Metal, ma anche e soprattutto la voglia e la determinazione necessarie per imbracciare uno strumento e gridare al mondo intero qual è il suo genere preferito. E stando alla fervida scena creatasi nell'Isola, possiamo senza timore alcuno affermare che la lezione dei grandi è stata recepita appieno. Tante sono le band di giovani ragazzi australiani che attualmente infiammano i palchi della loro terra natale e che hanno molte possibilità di esibirsi anche all'estero, in occasioni soprattutto legate a grandi festival o a concerti di band più famose ed affermate alle quali hanno  l'occasione di fare da spalla. Ce n'è veramente per tutti i gusti e tendenze: da chi, come gli Elm Street, è più legato a sonorità Heavy di matrice classica a gruppi più "aggressivi" come i Desecrator , fieri thrashers di Melbourne che condividono il loro ardore e il loro genere musicale con i conterranei Demolition e In Malice's Wake. Scegliere dinnanzi a tanta generosità di proposte è quanto meno difficile, tuttavia una band in particolare è riuscita a catturare la mia attenzione e sono sicuro di questo, catturerà anche la vostra. Un po' per via dell'ottima tecnica della quale dispongono, un po' perché la loro proposta è splendidamente diretta e priva di freni o "paure" limitanti, un po' perché fanno percepire meravigliosamente la loro sfolgorante gioventù e voglia di dimostrare ("Gli occhi della Tigre", come ben diceva Apollo Creed nel noto film "Rocky III") un po' perché il loro nome piacerà sicuramente ai più nostalgici (vi ricordate di una gentilissima signorina di nome Charlotte? Quella della quale gli Iron Maiden desideravano ardentemente qualche "attenzione"?). Fattostà che gli Harlott, provenienti anche loro da Melbourne, sono una di quelle band stile "niente prigionieri". Se decidi di ascoltarli, è meglio lasciare a casa altezzosità e "pretese", come quelle assurde di trovarsi davanti band giovani che già suonino con la stessa maestria ed esperienza di gruppi stile Megadeth o Exodus, ignorando quanto anche i grandi abbiano dovuto sudarsi il loro status di Punti di Riferimento a suon di dolorosa gavetta. Anzi, è quanto meno obbligatorio lasciarsi ardere vivi dal giovane fuoco di questi thrashers australiani, sciogliendo le catene del collo e facendo ciò che un metallaro deve sempre ed obbligatoriamente fare: divertirsi. Formatisi grazie ad interessi musicali comuni come l'amore per lo Speed Metal anni '80 e le nuove tendenze sviluppatesi all'interno della Musica Metal a partire dagli anni 2000, i nostri Harlott (composti da Andy Hudson, cantante e chitarrista; Ryan Butler, Chitarra; Tom Richards, Basso; Dan Van Twest, Batteria) decidono di unire i loro destini e di fondere in un unico organico queste tendenze musicali per intraprendere assieme la durissima quanto appagante vita da musicisti. Dopo una lunga esperienza mutuata attraverso esibizioni live nella loro città ed in seguito concerti tenuti anche al di fuori dei confini di Melbourne, la loro fama si consolida sempre di più sino a rendere il loro un nome importante per tutti i giovani thrashers dei luoghi dove la loro furia live riesce ad arrivare. Dopo la definitiva consacrazione in patria arrivano anche le tanto agognate esibizioni all'estero e la particolare attenzione della "Punishment 18 Records" la quale, percependo grandi potenzialità nel loro debutto "Origin", decide di occuparsi della sua distribuzione anche nel nostro Paese, in modo tale da esportare un Nome che, garantito, nei prossimi anni farà sicuramente breccia nel cuore degli appassionati, se la potenza e la forza distruttiva di "Origin" non mancheranno nei lavori a seguire. Il titolo di questo disco si rivelerà dunque profetico e lungimirante? Verrà in futuro ricordato come una sorta di manifesto programmatico, di un Principio fecondante e fecondo pronto a dare alla luce una prole innumerevole? Lo stereo freme come al solito, è arrivato il momento di premere Play, e che Virgilio abbia pietà delle nostre anime, stiamo per introdurci nell'occhio del ciclone!

L'accoglienza è di quelle riservate agli ospiti di riguardo: sin dalla prima traccia, "Origin", capiamo il perché questi ragazzi australiani abbiano scelto come loro bandiera il motto "Thrash it Up!", visto e considerato che ci troviamo di fronte ad un'autentica sfuriata tinta di thrash a tratti americano a tratti europeo, che richiama molto da vicino le esperienze di gruppi come Exodus, Slayer, Destruction ed Onslaught. Le chitarre di Andy e Ryan sono due autentici strumenti di distruzione, due mitragliatrici che sparano decibel a vista senza preoccuparsi di chi può eventualmente trovarsi sul loro cammino; riff schiacciasassi ed ossessivi che ci trascinano dritti nel mosh pit senza nemmeno lasciarci accorgere di quel che accade, il tutto sorretto magnificamente da una ritmica precisa e puntuale incarnata magnificamente da Tom e Dan, i quali fanno in modo, non perdendo neanche una nota, di garantire la massima sicurezza e libertà d'espressione ai loro compagni. La voce di Andy è molto gradevole e potente, tuttavia un po' più di aggressività non la rovinerebbe di certo: non ci troviamo dinnanzi ad un urlatore della domenica, questo è chiaro ed appurato ed anzi le sue doti canore sono da apprezzare, tuttavia, proprio alla luce di questo suo saper padroneggiare la voce alla perfezione, osare non sarebbe certo un punto a suo sfavore, anzi! Apprezzabilissimo inoltre il testo della canzone, incredibilmente impegnato e sentito, riguardante un tema molto significativo e complesso nel suo insieme: le "Origini", molto simili a quelle "Radici insanguinate" delle quali parlavano i Sepultura e delle quali i Soulfly ancora narrano. E difatti, proprio come Max Cavalera insegna, i nostri Harlott ci urlano letteralmente all'unisono di non scordarci per nulla al mondo di ciò che siamo, del nostro retaggio culturale, della nostra storia, nonostante tutto questo sia stato pesantemente contaminato da più fattori. E' un brano che infatti ci ammonisce e al contempo ci narra le tragiche conseguenze dell'imposizione di Credi e Culture estere (siano esse di costume o di religione), imposizioni che vedono soccombere i più deboli, totalmente obnubilati dai Dogmi e dal comportamento Inquisitorio di chi invade letteralmente il nostro mondo (qualunque esso sia) per imporre il proprio modo di vivere, di pensare e di agire. "Blinded from the start, Inquisition quelled ad you learn your part, cultured to obey, damning pulls yourself into a mindless fray!". Parole che valgono più di mille proclami, un vero e proprio inno al preservare se stessi dall'indottrinamento e naturalmente un invito a scegliere di far parte di un Popolo, non di una Massa senza capacità di autonomia. Continuiamo a viaggiare a briglia sciolta arrivando alla traccia numero due, la possente (e spiccatamente "Slayeriana") "Effortles Struggle", che riprende alcuni stilemi tipici del songwriting tipicamente Thrash Metal; uno scenario apocalittico scatenato da un Virus in grado di decimare in poco tempo la popolazione mondiale, ridotta progressivamente a sempre meno unità fin quando non rimarranno solamente le impronte sul terreno a testimonianza dell'esistenza della razza umana. Un Virus che comunque non è spuntato fuori dal giorno alla notte, ma è anzi stato creato in laboratorio con il preciso scopo di seminare morte e distruzione. Il tutto sarebbe dunque la diretta conseguenza di una vera e propria guerra batteriologica, quasi un pretesto per  volerci mettere dinnanzi al tragico uso che molte volte l'uomo fa delle scoperte in campo scientifico. E' un brano incredibilmente veloce e diretto, che non ci lascia neanche un minuto per riprenderci dalla sua furia ma che al contempo concede alla melodia uno spazio non ampio ma comunque di riguardo, in special modo nell'assolo di chiara matrice Heavy. Perché come giustamente si diceva in "Origin", non bisogna certo scordarsi le proprie fondamenta. Le chitarre di Andy e Ryan dimostrano in questo senso una grande duttilità e poliedricità, pregi notevoli per un chitarrista che vuole certamente rimanere fedele a determinati stili ma al contempo ricerca qualche spunto differente per poter affermare la sua preparazione a 360°. Giungiamo così alla terza traccia, "Ballistic", introdotta da una forsennata doppia cassa e a tratti sconfinante nel crossover e nell'hardcore punk tanta è la sua aggressività. Si possono sicuramente riscontrare, in questa traccia, elementi certamente legati al thrash più tradizionale (l'assolo in special modo) ma anche e soprattutto rimandi all'esperienza di band come S.O.D (Stormtroopers of Death)  e D.R.I (Dirty Rotten Imbeciles), gruppi che hanno fuso il thrash più duro alla furia di band come Ratos de Porão e Discharge, complessi fra i principali ed imprescindibili del movimento Hardcore Punk, genere musicale che ha reso ancora più "violento", iconoclasta ed oltranzista il Punk Rock.  Del resto, le Lyrics avevano comunque bisogno di un sound molto forte per poter esprimere al meglio il concetto ad esse legato. Parliamo infatti, come già si evince dal titolo, di proiettili ed armi da fuoco. Lyrics molto dure che ci parlano della vita di chi è abituato ad usare queste armi per scopi malvagi, obnubilato dalla sua follia omicida e dalla sete di sangue, tentato da voglie perverse che lo portano a commettere atrocità dopo atrocità senza (cosa peggiore) provare il minimo rimorso o sentimento di pietà nei riguardi delle sue vittime. Un testo si potrebbe intendere anche come condanna della guerra in generale, circostanza che imbarbarisce l'uomo privandolo delle caratteristiche di umanità e sensibilità che contraddistinguono la sua razza. Tema comunque riproposto, con le dovute differenze, anche nel quarto brano, il rabbioso e granitico "Heretic". Sempre di violenza parliamo, ma in circostanze diverse. In questo caso gli Harlott premono l'acceleratore contro chi, in nome delle Sacre Scritture e di una concezione del tutto personale e filtrata mediante odio e rancori di queste, ha dispensato nel mondo unicamente morte e sofferenze, piegando al proprio volere (non certo a quello divino) chiunque avesse anche solo cercato di opporvisi. Un inno contro gli Inquisitori e i "cacciatori" di streghe, paradossalmente molto più "Eretici" loro di chi veniva bruciato sul rogo accusato d'esserlo. Nuovamente un brano molto veloce ed incredibilmente ben eseguito, con un gran dialogo di chitarre ed una base ritmica magistralmente solida. Le colonne Tom Richards e Dan Van Twest ci dimostrano come le nuove leve abbiano appreso magistralmente il significato del termine Thrash Metal: "thrash" significa "percuotere", "bastonare", e dunque l'elemento ritmico, per un genere che prende il suo nome da un movimento atto a "colpire", è essenziale a dir poco. Dalle pelli e dal basso arriva la garanzia e la sicurezza di poter esprimere la propria arte mediante la sei corde e la voce, questo in qualsiasi band. E questi ragazzi dimostrano di aver trovato un'intesa invidiabile, poco da dire, come perfettamente dimostrato dalla quinta traccia, la possente "Export Life", altro testo profondamente impegnato e sentito, creato attorno ad un tema attualissimo: il consumismo che logora le nostre vite e mina la nostra capacità di pensare con la nostra testa, rendendoci dei "pupazzi nella macabra recita dell'Esistenza". Un'esistenza che solo in apparenza è serena ed allegra, in verità è tristemente pilotata da chi ci vuole ignoranti, "al nostro posto", troppo presi a correre dietro falsi miti per poterci accorgere che alla fin fine non siamo noi i Padroni della nostra Vita: è qualcun altro che manovra i fili da dietro le quinte. Non è mai troppo tardi, comunque, per accorgersene e tagliarli una volta per tutte, riprendendoci quello che è nostro di diritto, la libertà. Il brano non si discosta troppo dallo stile veloce e distruttivo dei precedenti, tuttavia risulta essere maggiormente più "atmosferico", soprattutto nel ritornello e negli assoli, tratti in cui le chitarre dilatano il loro sound lasciando spazio ad una melodia oscura sconfinante a tratti nel doom metal. E parlando di Doom, il genere cadenzato ed "oscuro" per eccellenza, ne ritroviamo alcune caratteristiche nell'intro acustico della sesta traccia, "Hierophobia", introdotta da una chitarra dal suono meravigliosamente tetro, quasi scandisse il ritmo di una triste nenia funebre, in piena processione verso il Golgota. L'ambiente si riscalda poco dopo, lasciando spazio alla sfuriata dei nostri, i quali decidono di premere ancor di più sull'acceleratore proponendoci un cantato maggiormente graffiante ed aggressivo (con più di un accenno ed un rimando ad uno stile tipicamente Death Metal) unito alla "corsa" forsennata dei riff e ad un drumming anch'esso tendente a generi ben più estremi del Thrash Metal. Il testo, d'altro canto, è perfetto per la cornice sonora creata: la "Ierofobia", ovvero la paura irrazionale di tutto ciò che ha a che fare col Sacro ed il Religioso, viene in queste liriche "motivata" con il comportamento violento ed ipocrita dei cosiddetti "servitori della fede", di tutte le religioni. Per certi versi viene ripresa la stessa polemica avanzata già in "Heretic", resa tutta via, in questo frangente, più allargata e comune. I nostri ragazzi si scagliano duramente contro chiunque tenti di prevaricare e rendere difficile la vita del prossimo nel nome di qualsiasi dio e qualsiasi fede, senza soffermarsi su nessun credo in particolare. Dopo una conclusione simile - uguale all'intro che ci aveva introdotti a questo brano, cambiamo totalmente genere di lyrics nella settima traccia, dal titolo quanto meno emblematico. "Kill" è senza ombra di dubbio l'episodio più estremo dell'intero disco, una vera e propria bastonata dritta nello stomaco che ti obbliga letteralmente a piegarti e ad ammettere la potenza di una band si giovane, ma con tutte le carte in regola per accontentare anche le esigenze di chi è stato cresciuto a pane e thrash teutonico/americano. E' un brano che a tratti riesce a ricordare gli assalti sonori dei Sodom di "Persecution Mania" ed addirittura i Cannibal Corpse del periodo "Vile", tanta è la foga con la quale il pezzo viene eseguito e soprattutto cantato. Andy dimostra di essere un grande singer e di trovarsi molto più a suo agio in pezzi ove gli è concesso (ancora di più) di sfoderare le sue armi e rendersi straordinariamente protagonista di performance quanto mai estreme. Del resto non poteva non esserci un modus operandi lontano dall'estremo, se parliamo di un brano che narra della rabbia/follia omicida allo stato puro, quella molla violenta che scatta innescando una serie di reazioni che porteranno un uomo a commettere l'atroce follia per antonomasia: togliere la vita ad un suo simile, per puro piacere ed inspiegabile sadismo. Come accaduto per "Heretic" e per "Hierophobia", anche questa volta il tema della canzone viene "amplificato" e reso più generale nella successiva; parliamo infatti della sferragliante "Infernal Massacre", violenta invettiva contro i genocidi causati dalla sete di potere e dall'avidità dell'uomo. Dal massacro dei popoli Precolombiani all'eccidio in terra d'Africa, dall'Olocausto alle vittime dei recenti conflitti, gli Harlott urlano la loro rabbia contro chiunque imbracci le armi unicamente per prevaricare i più deboli e far valere la barbara "legge del più forte", sotto la cui bandiera si commettono veri e propri stermini autorizzati dal dio denaro e da una politica cieca e sorda. E' una traccia estremamente aggressiva, quanto "Kill", e riprende quegli stilemi "deatheggianti" a quanto sembra molto cari a questi ragazzi australiani, i quali affermano fieramente la loro appartenenza ma non si dimostrano certo dei puntigliosi puristi del genere. Al contrario, come abbiamo già visto, influenze Hardcore Punk e Death Metal sono le benvenute nel loro personalissimo concetto di thrash metal. Tradizione ed Avanguardia, come sempre ci viene dimostrato che queste due entità possono coesistere tranquillamente e non annientarsi a vicenda, dato che il mondo musicale è abbastanza grande per entrambe. Ed è proprio alla nobile tradizione della Bay Area che la massiccia "Regression", la nona traccia, strizza l'occhio virando l'aggressività degli Harlott verso lidi sonori maggiormente vicini al thrash più "canonico", senza troppe contaminazioni. La batteria scandisce un tempo marziale e preciso, le chitarre decelerano leggermente e la voce di Andy torna meno aggressiva e meno ruvida. Le lyrics sono quanto meno criptiche ed offrono più di una chiave di lettura: possiamo intendere la "Regressione" certamente come una questione comune, una sorta di status degenerativo in cui l'umanità sta scivolando per via di troppa "materialità" posta dinnanzi ai nostri occhi, quella materialità che obnubila le nostre menti e ci fa scordare valori importanti come la compassione, l'empatia, la capacità di provare emozioni. D'altro canto, è anche un testo pregno di nichilismo che indaga sulla tragica condizione umana, portata ormai verso il nulla ed il vuoto da continue atrocità sia commesse sia sopportate. "Slipping to the Edge of Death, Immaterial, Corporeal, a balance between nothingness". Parole dure ma terribilmente vere, che ci mettono dinnanzi ai tempi moderni, gli stessi tempi in cui nulla sembra riuscire più ad emozionarci o farci sentire vivi. In perenne bilico fra quel poco di Vita che viviamo ed il Vuoto più totale. Una tematica tinta di pessimismo, ripresa anche nella traccia successiva,  "Virus", sfuriata esplosiva che nel suo inizio omaggia chiaramente gli Slayer: tanto di cappello ad Andy che decide di prendere spunto dal micidiale acuto di Tom Araya in "Angel Of Death" per proporne uno "suo" in apertura, dimostrando notevoli capacità ed ancora una volta, grandissima versatilità. E non solo rimandi agli Slayer. Ascoltate bene quell'acuto: non vi ricorda anche solo lontanamente quelli di un certo Eric Adams? No? Provate allora ad ascoltare le micidiali conclusioni di due brani dei Manowar: la loro versione del "Nessun Dorma" e la leggendaria "Blood of My Enemies"; traetene le giuste conclusioni. In virtù di tutto ciò, l'aggressività e la velocità tornano prepotenti a deliziare le nostre orecchie trascinandoci nuovamente in un mosh pit di riff taglienti come rasoi e ritmica spacca ossa, il tutto per narrarci le tristi sorti della razza umana, ammalata sin dalle sue origini per colpa di un maledetto virus che porta i suoi appartenenti a commettere svariati tipi di atrocità: omicidi, prevaricazioni, ingiustizie e chi più ne ha più ne metta. Non vi è verso di guarire da questa malattia, purtroppo è parte integrante della nostra società e non possiamo fare altro che alleviarne i sintomi. Una battaglia ancestrale ed antica quanto il tempo stesso, quella fra il Male ed il Bene. Conseguenza di questo virus è dunque la violenza nella sua forma più dura e spietata: di questo ci parla l'undicesima traccia, "Ultra Violence", tematica che ci ricorda molto da vicino i Drughi del noto romanzo - film "A Clockwork Orange", più comunemente noto come "Arancia Meccanica". Una banda di giovani sadici e privi di scrupoli intenzionati a far del male al prossimo, linea di pensiero in perfetta sintonia con il testo che narra proprio di sadismo nudo e crudo, immotivato e cosa ancor peggiore, molto diffuso negli ultimi tempi. E' un brano velocissimo e privo di fronzoli, della durata di neanche due minuti ma comunque incredibilmente incisivo e difficile da dimenticare una volta terminato l'ascolto. Le chitarre danno sfoggio di tutta la loro tecnica riuscendo a costruire in poco più di 80 secondi un'autentica perla del thrash dei giorni nostri, il tutto unito alla solita ritmica che definire titanica è un mero eufemismo. Un brano che vedrà, un giorno, intere platee di spettatori lanciarsi in spericolati wall of death e stage diving come se piovesse, garantito. La nostra avventura giunge al termine con il brano numero 12, "Not Long For This Word", di gusto spiccatamente Megadethiano e forse la traccia maggiormente legata agli insegnamenti dei pilastri a stelle e strisce del Thrash Metal; i già citati Megadeth e Slayer, più Anthrax e Metallica, consegnatisi alla storia con il nome di "Big 4", i "Magnifici Quattro". E' difatti un brano che mescola le peculiarità di queste band in maniera a dir poco magistrale: l'aggressività degli Slayer, la concretezza dei Megadeth, l'eclettismo degli Anthrax ed un testo particolarmente toccante, ispirato e sentito, in stile Metallica. Dando vita ad una micidiale sfuriata Thrash a tinte Heavy in molti passaggi (soprattutto gli assoli), gli Harlott ci narrano infatti la triste storia di un uomo ormai giunto al capolinea della sua esistenza, disperato e distrutto per tutto ciò che evidentemente doveva essere ma non è stato, annientato dai rimorsi e dai troppi rimpianti, annichilito dai sensi di colpa. Quando si giunge inesorabilmente a determinate conclusioni, altro non resta da fare che contare i giorni ancora rimanenti e cercare di ingannare il tempo, con la consapevolezza che comunque su questo mondo non resteremo ancora per molto. Anzi, forse la fine è ancora più vicina di quanto crediamo. La nostra avventura si conclude dunque qui: un congedo a dir poco d'eccezione, l'ultimo atto di uno spettacolo che sicuramente ci ha fornito più di uno spunto di riflessione e meditazione. Premuto il tasto "stop", è bene cercare di concretizzare e mettere nero su bianco tutti (o almeno una parte di) questi pensieri generatisi come conseguenza dell'aver intrapreso questa singolare avventura.


Non è facile "pretendere di più" da una band di tale risma. Le potenzialità ci sono, "Origin" è sicuramente uno di quei debutti che può farci guardare al futuro con serenità e soprattutto con la consapevolezza che, semmai un giorno i nostri figli o nipoti vorranno intraprendere la nostra nobile carriera di metalheads, troveranno sulla loro strada molti gruppi come gli Harlott in grado di crescere con loro, farli appassionare e soprattutto avere dei validi ponti da attraversare per scoprire anche le radici di questa musica. Il Nuovo e lo Storico non possono escludersi a vicenda, e per quanto "Origin"  si presenti a tutto campo come un disco "moderno", ha in se la rabbia e la propositività tipica dei tempi in cui dagli amplificatori e dagli strumenti non uscivano solo note: usciva il tuo cuore, la tua anima, la tua Arte, la volontà di dire qualcosa, di affermarti. Questo più un songwriting molto coraggioso ed efficace rende questi ragazzi australiani una realtà da tenere certissimamente d'occhio. Perché alla fin fine, se ci pensate, possiamo inquadrare il Metal come una grande squadra di calcio. Ci sono i veterani, quelli che vantano un Palmares d'eccezione, fatto di coppe e trofei d'ogni genere, ma che per quanto abbiano conquistato il cuore di milioni di tifosi, sono consci di non poter giocare per sempre e dunque cercano loro per primi di guardarsi attorno, per scovare quel campione in erba che sarà un giorno in grado di continuare a "divulgare il verbo". Molti "tifosi" però non sono della stessa idea, vorrebbero (senza avere tutti i torti) poter vedere sempre quei veterani entrati prepotentemente nel loro immaginario, vorrebbero per sempre godere delle loro note, dei loro pezzi, della loro grinta. Ma la realtà è troppo vasta per poterla confinare unicamente ad un determinato ambito.  Riconoscere l'immenso valore di questi veterani e tributare loro una doverosa standing ovation deve essere proprio il primo passo da intraprendere per notare ed apprezzare anche quei ragazzi che, invece, hanno sulle spalle pochi anni di esperienza ma che ad ogni allenamento danno tutti loro stessi, senza risparmiarsi mai, che volenterosi attendono di scendere in campo per poter dimostrare quanto hanno imparato. Quei ragazzi che non si lagnano "della panchina" ma che anzi prendono del buono anche da quelle occasioni, per poter ammirare la classe e la tecnica di quei veterani che in campo si danno battaglia e da lì prendere spunto per creare una loro visione di gioco, personalissima e mutuata attraverso il contatto con le leggende. E gli Harlott sono proprio come quei ragazzi. A suon di concerti e gavetta stanno dimostrando di avere ottime doti e sarebbe opportuno dargli più di una possibilità. Se non altro, per permettergli di crescere ancora di più e fare ancora meglio in futuro.

1) Origin
2) Effortless Struggle
3) Ballistic
4) Heretic
5) Export Life
6) Hierophobia
7) Kill
8) Infernal Massacre
9) Regression
10) Virus
11) Ultra Violence
12) No Long For This World

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