Daniele Liverani

Fantasia

2014 - SG Records

A CURA DI
LORENZO MORTAI
04/02/2014
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Recensione


Recensire un disco strumentale non è mai cosa facile, devi cercare di entrare letteralmente nella testa dell’artista che esegue i pezzi, capire con cosa tradurre in parole quella determinata nota, e soprattutto cercare in tutti i modi di capire il significato recondito nascosto in ogni singolo brano. E’ un lavoro duro, ma anche molto gratificante, perché un brano strumentale è un immenso e durevole viaggio all’interno dei suoni, è la destrutturazione più significativa che un artista può fare, ed inoltre è un percorso che contiene al suo interno molteplici strade, dato che ogni singolo ascoltatore può cogliere un diverso angolo di rifrazione della canzone stessa. Ciò che vi andrò a presentare oggi è l’ultimo lavoro di un polistrumentista coi fiocchi, che ha alle sue spalle lunghe collaborazioni con band famose (fra cui spiccano i Khymera ed i Twinspirits,  due formazioni dedite rispettivamente al Melodic e al Progressive Metal); questo alfiere del metallo progressivo ha sempre attinto a piene mani dalle tradizioni anni 80, prendendo vari spunti da artisti del calibro di Joe Satriani, Yngwie Malmsteen, Tony McAlpine e tutti gli altri (nonché una velata ma sempre presente spolverata di  toni neoclassici, per conferire quell’alone di maestosità), lui si chiama Daniele Liverani, e la sua ultima creatura, nata nel 2014, porta il nome di Fantasia.  Già la copertina del disco ci richiama atmosfere dark e fantasy al tempo stesso, con un massiccio uso dei colori scuri, e quella chitarra piazzata nel mezzo, strutturata come fosse un’abitazione, con la porta aperta per lasciar entrare una luce bianca e splendente in quel mondo di tenebra. Neanche a farlo apposta, la prima canzone che ascoltiamo quando infiliamo il CD nel lettore, parla proprio di questo; si chiama Unbreakable, e la sua presentazione ci recita parole di avvertimento e al tempo stesso ci fa quasi da cartina tornasole per avventurarci nel mondo di Fantasia, dove, come lo stesso Liverani ci dice, “la mia chitarra vi guiderà verso l’inaspettato”. Ed effettivamente i primi quattro minuti del disco fungono bene da opener song per entrare nel mondo di questo artista; i ritmi sono serrati fin da subito, ergendosi con riff pompati ed elaborati nelle nostre orecchie, fino a che dopo un paio di minuti non vengono smorzati dalla tastiera di Marco Zago, che entra quasi in punta di piedi sulla scena (pur essendo stata presente fino a quel momento, anche se dietro le quinte), per deliziarci con un assolo setoso e morbido, adatto a staccare l’intero sound del brano. Sulla conclusione invece, tornano con forza i ritmi serrati di chitarra, che ci portano a braccetto fino alla fine. Pur non essendo presenti parole a spiegarci la melodia, il senso generale della canzone si intende abbastanza bene (anche per chi non è abituato ad analizzare dischi); si ha infatti la netta sensazione di essere entrati in un mondo fuori dal nostro, con una creatura (rappresentata ovviamente da Liverani e la sua chitarra) che ci guida pian piano a varcare i cancelli di questo ambiente, e quello stacco dato dalla tastiera sembra quasi rappresenti noi e lui che, improvvisamente, ci siamo fermati ad ammirare il panorama, magari dall’altura di una collina, aprendo gli occhi sulla vastità di ciò che ci circonda. Proseguendo l’avventura all’interno di Fantasia, i toni si fanno più ritmati e allegri al tempo stesso con il brano successivo, Joke: qui le tradizioni a cui il nostro Liverani ha attinto si sentono molto bene (soprattutto l’influenza di un certo Joe Satriani, e nello specifico dei toni che egli amava usare negli anni 80); il ritmo è al tempo stesso sincopato e trascinante, con una partitura di base che non cambia mai per tutta la durata dell’ascolto, ma su cui il chitarrista può giocare liberamente come meglio crede. A dare man forte a tutto questo, come sempre, troviamo la tastiera, che con svariati e timidi accenni, dona quel pizzico di elaborato a tutta la produzione (non dimentichiamoci infatti che questo, pur essendo un disco strumentale, è una produzione di Prog Metal, anche se svariate sfumature sono più vicine al Prog Rock, specialmente quelle “di sottofondo”). Per quanto riguarda il rapporto toni/significato, direi che l’elaborazione è stata azzeccata anche qui; a toni allegorici e scanzonati in un certo senso, corrisponde un altrettanto “leggero” significato, il puro e semplice “Era solo uno scherzo!”.  Andando avanti nell’ordine prestabilito, e ci troviamo davanti a Peacefully; anche qui il concetto è semplice, il nostro Liverani/creatura fantastica abitante di Fantasia, ci spiega in maniera molto lineare quale sia la sua filosofia di vita (l’unica frase pronunciata nella canzone, alla fine, recita testualmente “Così è come vivo, passo dopo passo, pacificamente); e sono proprio queste parole a fare da dizionario durante tutto l’ascolto, rendendo l’intero brano quasi un testamento dell’artista stesso, facendoci immergere in toni che richiamano sempre le tradizioni anni 80, ma con un’idea di fondo che risulta essere molto avvenieristica e fuori dagli schemi comuni; particolare soprattutto l’idea che ad essere protagonista insieme alla chitarra questa volta non debba essere solo la tastiera, ma anche la batteria, che viene estrapolata dal suo solito ruolo di metronomo, e posta quasi allo stesso livello degli altri due strumenti, lasciandole in alcune occasioni la possibilità di esprimersi liberamente. Tutto questo è pienamente in linea con il concetto che la voce cupa e misteriosa ci esplica alla fine del brano; la voglia di vivere dell’artista/abitante di Fantasia, è semplice e senza troppi fronzoli intorno, si tratta nella maniera meno complessa possibile di trascorrere la propria esistenza giorno per giorno, certo, senza mai permettere che il mondo ti metta i piedi in testa, ma neanche diventato una specie di piromane che vorrebbe solo vederlo bruciare. I successivi quattro minuti e trenta secondi rappresentano un violento stacco rispetto a quello che abbiamo sentito fino a questo momento; incastonata alla quarta posizione troviamo Apocalypse. Se infatti il brano appena precedente parlava di stili di vita basati sul vivere in maniera pacifica, Apocalypse ci trasporta all’interno di un pensiero a tratti misantropico e cinico, fornendoci una chiara e cristallina verità; abbiamo perso la nostra ultima occasione per sfuggire all’apocalisse, ormai non abbiamo più il tempo di salvarci scappando, dobbiamo rimanere li, inermi come falene che seguono una luce artificiale, pronti a subire il nostro destino, destino che però siamo stati noi stessi a creare. Ovviamente questo concetto ha bisogno di una musica di sottofondo che assuma toni di dolore e rassegnazione, e così viene fatto: costruendo un brano decisamente elaborato, con scale di toni complesse e che si rincorrono fugacemente per tutta la durata, Liverani suona la sua chitarra facendola quasi parlare, quasi come se quelle parole di avvertimento che si odono di sottofondo pronunciate sempre dalla solita voce infernale, fossero proseguite da altre che ci spiegano il concetto che sta dietro a quell’epitaffio, anche se noi stiamo “semplicemente” ascoltando delle note.  Torniamo a parlare di esperienze mistiche e consigli di vita ascoltandoci la traccia successiva, Daylight. La struttura di questo pezzo è pesantemente affondata nel Progressive Rock anni 70, anche se molte delle sue sfumature ricadono più sul Prog Metal, troviamo quindi stacchi a volte violenti e apparentemente incomprensibili, ritmi che ricadono nelle tradizioni della Fusion e del Jazz più eclettico, il tutto focalizzato intorno ad un unico ed importante concetto, lasciare che la propria vita non sia dominata dal buio, ma dalla luce e dalla sua energia positiva. E questo nei cinque minuti del brano lo si sente molto bene, si ha quasi l’impressione di assistere all’eterna battaglia fra luce ed oscurità, scontro che mai probabilmente avrà una fine , e che costantemente alberga dentro ognuno di noi, portandoci alle volte da una parte, altre dalla parte opposta. Nel brano sicuramente, la luce è rappresentata dai toni che si avvicinano di più al Prog Rock, con la loro carica di saggezza e tradizione, mentre il buio e l’oscurità non possono che essere rappresentati dal Prog Metal (uno scontro fra l’altro questo, che avviene davvero, fra i fan dei due generi, fra la tradizione e l’innovazione). E’ quasi come sentire Emerson, Lake & Palmer che suonano assieme ai Conception; può sembrare apparentemente senza senso, ma vi assicuro che il risultato finale è a dir poco incredibile (non a caso è uno dei miei brani preferiti del disco, e , sia chiaro, io sono dalla parte degli Emerson), le partiture di Prog Metal non dominano mai completamente la scena, così come le parti di Prog Rock, è un equilibrio perfetto e perennemente in bilico. Come sempre però, in ogni scontro deve esserci un vincitore alla fine, o almeno un barlume di speranza di vittoria di una delle due parti, e a giudicare dal fantastico assolo di tastiera finale, ho una vaga idea su chi abbia trionfato alla fine. Dopo la fatica dello scontro, forse ci piacerebbe avere un attimo per riprenderci, ed invece il nostro Liverani ha deciso che non dobbiamo avere fiato in gola, e ci propone Gigantic. Qui ci discostiamo ulteriormente da ciò che abbiamo sentito fino a questo momento, per affondare la faccia pienamente nel Metal più classico e potente; il titolo della canzone infatti, fa riferimento proprio alla chitarra che viene suonata nel brano , che dovrebbe apparirci (e, sia chiaro, ci riesce) come maestosa e gigantesca nella sua forza. Troviamo quindi riff acidi e veloci, ritmi che ricordano quasi un Malmsteen d’altri tempi (per inciso, anche la copertina stessa del disco, a mio modo di vedere, riprende abbastanza i toni del nostro Rising Force preferito), per cui il Prog lascia spazio allo Speed e ai toni neoclassici, formando un duo inscindibile e saldo come una roccia. Successivamente troviamo una delle tracce più struggenti e pregne di significato di tutta Fantasia, si chiama Black Horse. Non è altro che una ballad di tre minuti, una cavalcata trionfante attraverso le terre di questo mondo immaginifico creato da Liverani, e noi, come il cavallo nero della canzone, siamo finalmente liberi, liberi di poter correre ovunque vogliamo, liberi di poter pensare ciò che vogliamo, e soprattutto liberi da qualsiasi vincolo con il mondo in cui vivevamo, ormai Fantasia è la nostra casa. La traccia da esattamente questo tipo di sensazioni, il semplice ma al tempo stesso filosofico riff che ci accompagna nell’ascolto, fa apparire nella nostra mente immagini di folli corse verso la libertà, immagini di terre sconfinate e di nuovi orizzonti da scoprire, immagini di noi che spezziamo le catene di oppressione che ci hanno relegato fino ad ora, e che mai nessuno potrà rimetterci ai polsi. Come in un meccanismo oscillante torniamo ai toni del Metal classico con Outstanding; abbiamo di fronte un vero e proprio inno alle tradizioni classiche degli anni 80, i toni sono maestosi e al tempo stesso duri come l’acciaio, la batteria di Simon Ciccotti troneggia a volte anche sopra la chitarra di Liverani (che si diletta in salite e discese sul manico della sua chitarra), dando poderosi colpi di grancassa e tom, e martellando nei nostri timpani come un fabbro d’altri tempi. La cosa più interessante di un disco come Fantasia, è riuscire a capire quanto la polistrumentività di Liverani venga spremuta fino all’ultima goccia; egli, avendo nella sua carriera spaziato fra i generi più disparati, si può permettere il lusso di giocare con i suoni, di presentare prima un pezzo progressive, poi una ballata ottantiana, e poi una mostruosa cavalcata metallica forte come l’armatura di un cavaliere; è qui che risiede la vera genialità di questo disco, nell’avere a disposizione un arsenale immenso di suoni diversi, e avere soprattutto la capacità di giostrarsi fra essi, risultando mai noioso, ma sempre imprevedibile e fuori dagli schemi. Continuando per l’appunto sulla linea del pezzo precedente, troviamo Guilty alla posizione numero nove; qui ci spostiamo quasi verso i toni dell’Hard Rock settantino, ma senza mai arrivarci veramente, gli accenni rimangono lì (come il riff iniziale), e lasciano più spazio ai soliti saliscendi di Metal ottantiano, e anche a elettrici riff di tastiere. Dato che il protagonista del pezzo è la colpevolezza, chiaro è che i toni debbano essere di qualcuno che sta cercando di salvarsi in qualche modo, negando fino alla morte anche la verità più palese. Ecco quindi che i vari cambi di ritmo stanno proprio a significare il dialogo fra noi e il colpevole in questione, che seppur ammette di “non poter essere biasimato per niente”, continua imperterrito a dichiarare la sua innocenza, come se egli volesse entrare nella nostra mente e convincerci del contrario di ciò che stiamo pensando. Smorziamo nuovamente i toni con un’altra ballad dal sapore morbido e vellutato, rappresentato dalla penultima traccia, Heaven: l’intero brano è un percorso di purificazione quasi, è la sensazione dell’artista di essere arrivato finalmente nel paradiso che egli ha cercato per tutta la vita, ma senza necessariamente passando per la morte; il protagonista infatti ci dice che il paradiso egli lo ha trovato sulla terra, e quasi chiede e a noi ascoltatori di pensare a cosa sia per noi il nostro paradiso terreno, un luogo, un qualcosa, un momento, in cui noi ci sentiamo davvero bene, ed in cui abbiamo la sensazione che tutto scorra alla perfezione. Per rendere come foto queste parole non scritte, una ballad lunga ed intricata era la scelta migliore; Liverani qui da fondo a quasi tutte le sue doti artistiche, facendoci assaporare sulla punta della lingua ogni singola nota che viene suonata. Conclude il nostro viaggio all’interno di Fantasia il brano forse più rappresentativo e lungo di tutto il disco, Rage. In questa traccia troviamo un surrogato di tutto ciò che abbiamo ascoltato nei dieci brani precedenti; trovano posto infatti momenti dediti al metallo più pesante, alternati a riff più strutturati, alternati ancora ad altri momenti sincopati e ritmici. Una vera e propria torre di Babele dei suoni, condensata nei quasi sette minuti del brano, torre che ci lascia un messaggio chiaro e conciso; la rabbia, apparentemente uno strumento che molti di noi non vorrebbero usare, è in realtà fondamentale per combattere quella che Liverani chiama “la chiamata del mondo reale”, intesa forse come quel momento della vita in cui il mondo quasi vorrebbe che noi smettessimo di sognare ed avere aspirazioni, per dedicarci a cose più terrene, ecco, è a questo punto che l’artista dice di mettere in campo la rabbia, per far si che nessuno mai ci porti via i nostri sogni e i nostri desideri, che rimarranno per sempre nella nostra personale Fantasia, quella parte della nostra mente in cui noi ci sentiamo realmente liberi e senza vincoli. Un disco interessante dunque quello di Daniele, un grande connubio di stili e suoni diversi che vanno a collimare in undici tracce che faranno sicuramente la felicità di molti ascoltatori, ognuno magari apprezzandone un angolo o sfumatura diversa, ma tutti indissolubilmente legati dall’amore comune per la musica.


1) Unbreakable
2) Joke
3) Peacefully
4) Apocalypse
5) Daylight
6) Gigantic
7) Black Horse
8) Oustanding
9) Guilty
10) Heaven
11) Rage