Alkoholizer

Free Beer... Surf'Up!!!

2014 - Punishment 18 Records

A CURA DI
MICHELE MET ALLUIGI
19/11/2014
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Recensione

Il thrash metal è un genere che ha gettato le proprie fondamenta partendo dal punk, aggiungendovi successivamente una maggiore competenza tecnico-esecutiva e portandone la velocità delle ritmiche oltre i limiti delle umane possibilità. Nel corso degli anni al suo interno si sono creati diversi filoni, classificati sia in base alla provenienza geografica (come il thrash americano e quello tedesco) oppure in base alla caratteristiche prettamente strutturali, che vedono gli innovatori di queste sonorità fronteggiarsi a colpi di schitarrate ruvidissime con i sostenitori di quella che generalmente è chiamata “vecchia scuola”. I sardi Alkoholizer vanno a collocarsi decisamente in questa seconda frangia, il loro “Free Beer... Surf's Up!!!” è un omaggio spassionato al verbo dei primi anni ottanta, quando dalla Bay Area e dai sobborghi europei sorgevano nomi che all'epoca si guadagnarono subito il consenso dei metal heads più assetati di potenza e che, col senno di poi, sarebbero diventati delle vere e proprie leggende. Pensare ai Metallica, agli Anthrax, agli Slayer ed ai Megadeth non è sbagliato, ma riduttivo: questi quattro ragazzi della Sardegna scavano ancora più in profondità nei meandri di quella realtà fatta di club, sale prove improvvisate nei garage e scambio di demo tapes tra fans, dove circolavano nomi come Dirty Rotten Imbeciles, Nuclear Assault, Wehrmacht, Suicidal Tendencies, Sodom, Kreator, e Destruction, che con le loro canzoni facevano tremare il mondo intero. 



L'album si apre con la autoreferenziale “The Hogmosh – Nozno Strikes Back”, le chitarre entrano in fade in con un riff basato su un'unica nota, che regge a sua volta un coro incessante invocante a gran voce gli Alkoholizer quasi fosse l'inizio di un concerto; la richiesta si fa sempre più pressante ed il gruppo non si sottrae a fare il suo ingresso in scena facendo partire un mid tempo dal gusto tipicamente eighties. Conformemente agli standard old school del genere, questa suite si succede costante per diversi giri prima che il break con l'immancabile chitarra in sottofondo lanci il quattro quarti serrato e spacca ossa che tutti noi thrasher amiamo e pretendiamo in un disco. Il ritmo è serratissimo e le chitarre sono affilate come motoseghe, pronte a martoriare le carni di tutti i mosher. Il testo racconta del ritorno alla riscossa di Noszo, il cinghiale antropomorfo mascotte della band, che dal nulla irrompe sulla scena brandendo l'immancabile bottiglia di birra, di marca Ichnusa naturalmente, per scatenare una vera e propria baldoria: il verbo del thrash si diffonde così anche ai profani, ai quali questo energumeno insegna come si poga attraverso un a serie di frasi incisive destinate a restare in testa (“Nozno wants respect, the pig destroyer wants ypur head, Nozno wants respect, you can't stop to bang your head” trad “Nozno vuole rispetto, il maiale distruttore vuole la tua testa, Nozno vuole rispetto, non puoi smettere di scuotere la testa”), come ogni concerto/disco che si rispetta la partenza deve essere abrasiva fin da subito ed in tal senso la missione è perfettamente compiuta. La seguente “Faceless” mantiene alto il tiro; il main riff è una vera e propria colata di shredding che non può fare altro che scuoterci le interiora come un tornado e la batteria spinge incessante sempre con il quattro quarti come tempo dominante. La struttura della canzone è lineare e costante, arricchita solo successivamente da stop and go che spiazzano un po' l'ascoltatore, pur restando la velocità elevatissima l'elemento principale. A livello di songwriting gli Alkoholizer seguono fieramente il verbo del crudo thrash anni ottanta, attraverso una cascata di riff che si susseguono concatenati ad una struttura primaria che poco si discosta dalla sequenza di note principale; chiaramente non c'è molto di nuovo a livello creativo ma è risaputo che chi segue questa particolare attitudine del thrash vuole la proverbiale “solita minestra”, quindi il problema sembra non porsi in essere. Le influenze maggiori di questo brano arrivano dagli Stati Uniti, l'intelaiatura ritmica, l'alternanza di voci e l'utilizzo di cori richiamano chiaramente all'attitudine punk hardcore statunitense degli Anthrax, facendo di questa canzone un rimando ai “bei tempi (non) andati” del genere. Anche il testo possiede una marcata attitudine anticonformista, una chiara accusa agli schiavi del dio denaro ed ai modaioli che seguono i brand vendendosi al miglior offerente (“Dressed like a fool, talking like a dumb, swindle everybody with your lies, squandering your money, feeling at your best, you'll never care if somebody cries, addicted disciples, wasting all their lives, thoughts deviated by perverted pigs” trad. “Vestito come uno sciocco, parlando come uno stupido, truffando tutti con le tue bugie, sperperando i tuoi soldi, sentendoti al meglio, non ti importerà mai se qualcuno dovesse piangere, discepoli tossicodipendenti, sprecando le loro vite, i loro pensieri distorti da porci perversi”), una quantomai efficace descrizione dei proverbiali “tamarri” che affollano le nostre città. “Surfin' Beer” è una traccia dal tono decisamente più festaiolo, inaugurata da un “Woooou” quanto mai eloquente del cantante e bassista Fabry Mustachos; lo stile è molto più motorheadiano e pur essendo anche questa una canzone linearissima, il tiro è più alto e nel complesso la struttura risulta meglio organizzata: il main riff è più coinvolgente ed il medley “arabeggiante” prima dell'assolo smorza momentaneamente i toni per far ripartire il pezzo in quarta con una ripresa che arriva diretta ed inaspettata quanto una gomitata in faccia durante un pogo. L'influenza dei già citati Motorhead, dei Venom e dei primi Slayer è lampante a livello strumentale, ma sul piano lirico non si può non pensare ai Tankard, fautori di testi totalmente inneggianti alla birra, bevanda thrash per eccellenza: un sogno ci catapulta sulla cresta dell'onda con una tavola da surf ed una birra in mano che ci disseta in questa ardua impresa sportiva in un mare biondo e schiumoso (“Surfing the top of the wave, licking the foam, the seaway it's all made of beer, i don't want to wake up, the only thing i want to come true is surfing beer” trad. “Surfando sulla cresta dell'onda, leccandone la schiuma, l'orizzonte è tutto di birra, non voglio svegliarmi, l'unica cosa che voglio si realizzi é fare surf sulla birra”). “Breathalize And Destroy” inizia con il parlato di un agente di polizia che ha appena fermato un guidatore sospetto per sottoporlo al test dell'alito, solo un frastuono confuso ed un “What the hell is going on here?” (trad. “Che diavolo sta succedendo qui”) precedono una nuova partenza fulminante. La chitarra sfodera un terzinato cavalcante infarcito di note che ricorda i primissimi Megadeth, quelli di “Killing is my business... and business is good”, quando il buon Dave Mustaine era ancora un thrasher folle ed assetato di sangue, ed anche il songwriting si fa più dinamico ed articolato, rendendo la traccia la più coinvolgente fra quelle ascoltate fino ad ora. La sessione ritmica, composta ba basso e batteria, sostiene le chitarre offrendo loro un solido supporto per eseguire delle parti coinvolgenti e ben incanalate, anche il tocco diventa più preciso ed eleva lo stile che in linea di massima si dimostra potente ed energico ma non sempre precisissimo; l'incisività dei riff come stile ricorda molto anche le sciabolate degli Slayer, specialmente nel tempo dimezzato che precede il ritornello. Il testo racconta una corsa folle in automobile: dopo una serie di bravate compiute sotto i fumi dell'alcool, sulla strada si presenta una pattuglia che alza la paletta per fermare il veicolo, il quale, invece di accostare, parte in quarta dando inizio ad un inseguimento (“Rise the radio volume, make it loud, we need to shout, ethanol is running, let it flow, fast driving 'till the gig, far away something appears, a blue flashing light confused in the fog, it's to late to break, let's speed up and overtake, try to leave behind the fucking cops!” trad. “Alza il volume della radio, sparalo forte, abbiamo bisogno di urlare, l'etanolo corre, lascialo scorrere, guidando forte verso il concerto, qualcosa appare da lontano, una luce blu lampeggia confusa nella nebbia, è troppo tardi per frenare, acceleriamo e passiamo oltre, proviamo a lasciare indietro i fottuti poliziotti"), nuovamente la vena ribelle del punk viene a galla in un brano che non lascia scampo alcuno. Sulla stessa lunghezza d'onda troviamo anche la successiva “System Aberration”, che si scaglia sui nostri timpani come uno tsunami di note abrasive, l'incedere del pezzo infatti è travolgente fin da subito e la potenza del main riff ci porta alla mente i migliori Kreator, quelli aggressivi, potentissimi e sfrontati contro questa aberrante creatura che l'uomo riconosce come sistema. Il brano scivola via come acqua (o meglio birra) fresca: il drumming di Paul Marcelo è trascinante e coinvolgente, in un ottimo connubio fra potenza e linearità che mette in luce la stima del batterista sardo per il mitico Dave Lombardo; la seconda parte della canzone infatti si sposta sugli Slayer come influenza principale, offrendoci un vero e proprio muro sonoro che non bisogna osservare nel singolo mattone ma cogliere come un unico monolite di potenza thrash metal. A far sì che questa canzone si imprima nel nostro cervello sono nuovamente i cori, che faranno da guida a tutti i thrasher presenti ai concerti degli Alkoholizer intenti a scatenare la bolgia; inutile dire che è nuovamente la velocità alcalina ad essere la ciliegina sulla torta di questo brano che, seppur non sempre precisissimo a livello esecutivo, si dimostra a conti fatti un vero e proprio pugno in faccia alla realtà attuale (“Living far away, no rules no god to pray, you got no more concern, far from the pressure to pretend, no owners drying you up, no more money to rely, no imperialism to survive, enslaved by the laws, they can buy or sell your life, depending o the rating they decide” trad. “Vivendo distante, nessuna regola o dio da pregare, non c'è da preoccuparsi quando si è lontani dalla pressione di dover fingere, non ci sono padroni che ti prosciugano, né soldi da contare e nessun imperialismo a cui dover sopravvivere, schiavizzato dalle leggi, loro possono comprare e vendere la tua vita e a seconda del prezzo decidono”), i riff di questo brano spaccano una bottiglia per poi sfregiare con i cocci il volto della classe politica di oggi. “Never Come Back Sober”, come si evince dal titolo (trad. “Non tornare mai sobri”) è un vero e proprio tributo ai tedeschi Tankard; fin dalle prime note la canzone parte subito festaiola e senza compromessi, ci è quasi possibile immaginare la band intenta ad eseguirla dal vivo in un party dove i barili di birra sprigionano biondi fumi che irrorano ogni presente come se fosse l'ambrosia degli dei. La batteria spinge sull'acceleratore mentre le chitarre sfoderano delle note serrate e taglienti che non possono fare altro che farci scuotere la testa; potrà venirci male al collo con tutto questo head banging, ma basterà porci una lattina di birra gelata per alleviare il dolore prima di bersela e l'infiammazione sparirà miracolosamente; anche il cantato di Fabry Mustachos assume in questa sede la cadenza tipica dell'inglese cantato con accento teutonico che rende ancora più graffiante ogni parola. Il pezzo non è solo un inno alla birra in generale, ma anche un inno alla fratellanza: come è di consueto nel thrash/ speed metal: è la musica a tenerci tutti uniti, ed i boccali di birra fanno da collante in una festa senza fine che durerà fino ad un'imprecisata alba (“Caught in the same old situation,  let's do another round, no way to go back home, unless you're crawling on the ground, everyone is laughing, raise the pinth up to the sky, we wanna shout and drink together durig all the night, don't wanna go back sober, another drink wait for us, never come back sober, unless is dawning it's not enough” trad. “Riuniti nella stessa vecchia situazione, facciamoci un altro giro, non c'è modo di tornare a casa a meno che tu non stia strisciando sul pavimento, tutti stanno ridendo, alziamo le pinte al cielo, vogliamo urlare e bere tutti insieme per tutta la notte, non voglio tornare sobrio, un altro drink ci aspetta, mai tornare sobri, finché non arriverà l'alba non sarà mai abbastanza”), questa traccia non va ascoltata ma letteralmente bevuta. La successiva “Antisocial Trap” farà scendere una lacrimuccia dagli occhi dei fans più nostalgici, che con questa canzone non potranno fare a meno di pensare agli Stormtroopers of Death, progetto parallelo di Scott Ian, Dan Lilker e Charlie Benante degli Anthrax che, nato per gioco, ha tuttavia sfornato un album monumento del genere quale “Speak English or Die”. Il sound è compatto e grezzo, atto a creare nuovamente quella muraglia sonora che deve investire l'ascoltatore e macinarne le carni a forza di martellate sul rullante e riff serratissimi di chitarra. Non c'è molto da fare con questo brano se non prendere gli oggetti intorno a voi e mandarli in frantumi, la voce di Mustachos si fa più roca e bassa, in perfetta alternanza con i cori più alti di tonalità, non è questione di ricerca della melodia, dato che si parla di thrash metal, ma un espediente per creare quell'atmosfera claustrofobica che ci frantumi le ossa. Tutto il brano, nei suoi quattro minuti di durata, è una vera e propria gara all'ultimo colpo letale, in cui le chitarre si affiancano sinergicamente nell'eseguire l'assolo, ricordandoci le parti in sincro degli Helloween di “Walls of Jericho”; una chicca di raffinatezza, prima di lasciare alle sei corde il compito di concludere la traccia su un fraseggio epico che sfocia in un cinico quanto esauriente “fuck you” (trad. “vaffanculo”). Per quanto riguarda il testo, esso è una vera e propria accusa verso la realtà dei social network, che ogni giorno crea dei falsi filosofi da tastiera ma che in vero non fa che isolarci da quello che è il mondo reale (“Pretend to be someone you're not, moralize and criticize, entrapped in a showcase, complain about wasting your time, be the first to share the news, hang your head to the game, hidden in a dark room, virtual dealings make you insane” trad. “Fingi di essere qualcuno, facendo la morale e criticando, intrappolato in una vetrina, lamentandoti di sprecare il tuo tempo, sii il primo a condividere la notizia, appendi la tua testa al cappio di questo gioco, nascosto in una stanza buia, dei patti virtuali ti rendono pazzo”), una vera e propria critica ai drogati di Facebook e Twitter sferrata a colpi di thrash. “The Skating Madness” è una canzone che ci ributta nella mischia degli anni ottanta, viene automatico pensare agli Anthrax del periodo skater, quando i long board imperversavano per le strade della California e lo skateboarding andava affermandosi come “sport nazionale” degli alternativi drogati di musica veloce e furiosa. Come struttura e stile compositivo questa traccia ha tutto della band fronteggiata (nuovamente) da Joey Belladonna: un riff catchy ed accattivante, dei backing vocals coinvolgenti ed un riffing crudo e tagliente che affronta le proprie radici nel punk. Non siamo di fronte ad una grande inventiva, la canzone sembra infatti estrapolata da “Among The Linving”, il merito degli Alkoholizer è quello di aver estrapolato il meglio di una fase alterna degli Anthrax ed averne riproposto, con “The Skating Madness” , una visione personale non troppo svincolata dallo schema originale: la follia è un tema ricorrente del genere in questione ed il porlo sulle ruote di uno skateboard è cosa già fatta da altre band, tuttavia, la canzone risulta piacevole ma non certo originale. Anche le liriche risultano leggermente scontate, descrivendo la filosofia del “do what you want” (trad. “fai quello che vuoi”) tipica dell'attitudine dello skater di cui ricalcano un po' lo stereotipo (“Jump on your wheels, begin another trip, flying and rolling over by your feet, the wind carving your face, don't mind rip off your knees, speed up and hop the hurdles in your way, feel so strong and free, no matter what the others think, keep on running with no fear, no one can reach me, like a pirate in the street, got no rules, feeling unleashed” trad. “Salta sulle tue ruote, inizia un altro viaggio, saltando e rollando con lo skate sotto i tuoi piedi, il vento ti accarezza il viso, non preoccuparti, spaccati le ginocchia, accelera e salta gli ostacoli sulla tua strada, continua a correre senza paura, nessuno mi può raggiungere, come un pirata sulla strada, non ho regole e mi sento sguinzagliato”) niente di nuovo sotto il sole dunque, ma per chi ama le sonorità di quegli anni questo brano è più che fruibile. Èd è nuovamente il filone americano ad ispirare gli Alkoholizer su “Mind Pollution”: i gruppi che saltano immediatamente alla mente questa volta sono i Dark Angel e gli Exodus, il riff di chitarra è maggiormente elaborato e decisamente più apprezzabile e su questa canzone il gruppo della Sardegna mette in mostra tutta la propria tecnica, infarcendo la struttura della traccia con cambi di tempo funambolici e stop and go che la rendono una delle migliori del lavoro. L'influenza degli Slayer torna a farsi sentire per quanto riguarda la parte dell'assolo, dove la chitarra di Mark Laizer lascia colare una vera e propria cascata di scale cromatiche in uno stile che ricorda molto quello di Kerry King e del mai troppo compianto Jeff Hanneman; ma non solo solamente i grandi nomi del thrash ad influenzare questa band, gli intenditori sentiranno in loro anche l'eco di band più “nicchia” come Assassin, Exhumer ed Artillery, perché quando si tratta di old school non ci sono nomi più o meno famosi ma un unico grande calderone traboccante attitudine. “Mind Pollution” si rivela il pezzo thrash da manuale, basato su una batteria dalla velocità e dalla linearità incessanti, dal basso serrato e travolgente e dalle chitarre che mitragliano un riff dopo l'altro, il tutto a supportare una voce maniacale al limite dello psicotico; d'altra parte si parla di come la società produca ogni giorno dei veri e propri zombie dal cervello privo di idee, la rabbia deve quindi farla da padrone (“Mass produced empty brains, corrupted we have no chance, try to impress with good appearance, crawling among us, tied down by the system rules, the ruin of human race, an hollow breed avoid of dreams, got nothing to be praised” trad. “Cervelli vuoti prodotti in serie, corrotti non abbiamo chance, cercano di impressionarci con il bell'aspetto, strisciando tra di noi, legati dalle regole del sistema, la rovina della razza umana, una razza da evitare priva di sogni che non ha nulla per cui essere pregata”) il tema quindi verte di nuovo sul sociale, rimarcando di come ogni giorno si perda sempre di più il valore dell'individuo. Il disco si chiude con “Stop Hit Of The Ghetto, Join The Boar Party!!!”, un brano che si apre con una parentesi funk dove il basso di Fabry Mustachos, finora rimasto “relegato” al ruolo di strumento ritmico, si lancia in un assolo in slap che richiama alla mente il tocco di Flea dei Red Hot Chili Peppers, una soluzione diversa ma decisamente efficace, il tempo di batteria carica la prima parte del brano di un groove hip hop crossover che unisce thrash metal e funk degli anni ottanta come fecero all'epoca gli Anthrax nel loro featuring con i Public Enemy; magari i thrasher più oltranzisti storceranno il naso ad una simile “eresia” ma nel complesso questo transfert stilistico si dimostra coinvolgente ed energico. Non c'è da temere comunque, gli Alkoholizer tornano sulle loro coordinate principali giusto a metà canzone, quando la batteria di Paul Marcelo parte in quarta con un tempo incalzante e spaccaossa, è questo il thrash che tutti gli amanti del genere vogliono sentire: veloce, aggressivo e tagliente come un esercito di motoseghe lasciate libere di dilaniare ogni cosa trovino le loro lame, la grinta del brano va lentamente a scendere in un mid tempo, il quale, a sua volta, ci conduce in fade out alla fine del brano; delle tracce che compongono la tracklist questo risulta essere decisamente la più eclettica e variegata. Anche il testo assume lo stilema dell'hip hop, presentandosi come una serie di frasi serrate pronunciate con il tipico slang smargiasso dei rapper che sfottono tutti i falsi membri del loro ghetto (“There's no family, there's no crew wich you're respected, you gotta only your mama everyday savin' your ass, playing with your toys, showin' up that plastic guns, you pretend to hit the skids when you have just to hit the sack, never seen walking the streets, keep on hide behind a screen, you're a puppy when you're outside, give up to dress that shitty lies, no one gives a shift if you got many cars or girls to fuck, you're not credible, with the role of the tough guy” trad. “Non c'è famiglia o gruppo che ti rispetti, hai solo la tua mamma ogni giorno a salvarti il culo, giochi con i tuoi giocattoli e mostri le tue pistole di plastica, fingi di colpire i pattini quando colpisci solo il sacco, non ti abbiamo mai visto camminare per strada, continua a nasconderti dietro uno schermo, sei solo un cucciolo all'esterno, smetti di portarti addosso quelle merdose bugie, a nessuno frega niente se hai più auto o ragazze da scopare, noi sei credibile nel ruolo del duro"); basta una cascata di parole per trovarsi nei quartieri popolari dove la vita è dura e le esperienze si fanno rissa dopo rissa.



Free Beer... Surf's Up!!!” in conclusione si rivela un buon disco di sano thrash metal “alla vecchia maniera”, non è certo un album per i palati fini alla ricerca della novità e dell'alta sperimentazione, ma un disco sentito e sincero, suonato da quattro musicisti che si sono fatti le ossa consumando i vinile dei mostri sacri degli anni ottanta del thrash, sia americano che tedesco. Lo scopo di queste canzoni è grattare la superficie di quella corrente che vuole riportare in auge i fasti dei bei tempi che furono allora e che sono oggi, quelli di un genere che si dimostra sempre fresco ed al passo coi tempi anche nel 2014. La produzione in studio stessa di questo lavoro lascia enorme spazio ai gain delle distorsioni e ad un'equalizzazione spessa e potente, perché questo disco deve spazzare via chiunque lo ascolti e non deve dare spazio a sofismi di sorta sulla strada che queste sonorità debbano o meno intraprendere. Gli Alkoholizer vogliono riportarci alle radici del genere che forse più di tutti ha segnato la storia del metal tout court, quindi evitate di ascoltare questo album seduti in poltrona intenti a cogitare, mettetelo nello stereo, apritevi una birra e sparatelo a tutto volume.


1) The HogMosh -
Nozno Strikes Back!!!  
2) Faceless    
3) Surfin' Beer     
4) Breathalize and Destroy!!    
5) System Aberration     
6) Never Come Back Sober...    
7) Antisocial Trap    
8) Skating Madness    
9) Mind Pollution   
10) Stop Hit Off the Ghetto -
Join the boar Party!!!