TESTAMENT + Guests
Live @ The Jungle (PI)

SANDRO NEMESI PISTOLESI
31/07/2016











recensione
Correva l’anno 1987, per la precisione era il 22 Ottobre, quando insieme ad un manipolo di altri metallari tutti borchie e capelli, ci incamminavamo in largo anticipo verso Reggio Emilia, dove, al Palazzetto dello Sport, la sera si sarebbero esibiti gli Anthrax, per il tour di supporto al capolavoro “Among The Living”. Ben presto, gli scapestrati thrashers capitanati da Joe Belladonna diventeranno una delle band fondamentali del thrash metal, tanto che in futuro entreranno a far parte dei leggendari “Big Four”, assieme a dinosauri del calibro di Metallica, Megadeth e Slayer. Come special guest per tutto il tour, Scott Ian e compagni decisero di portarsi dietro i californiani Testament, una delle band emergenti più interessanti del momento, osannati dalla mitica rivista HM, dopo il sorprendente album d’esordio “The Legacy”. Ora, a quasi ventinove anni di distanza, mi sto apprestando ad andare a vedere nuovamente i Testament, e stavolta con il considerevole vantaggio del chilometro zero. Infatti il 29 Luglio 2016, i nostri sono di scena al The Jungle, ubicato in prossimità delle rive del fiume Arno, nel bellissimo polmone verde denominato “Parco Collodi”, a Cascina, ridente comune dell’hinterland Pisano, a pochi passi da casa mia. Il The Jungle è ormai diventato una delle più grandi realtà musicali della Toscana, dove ogni anno si esibiscono storiche band del metal. Per farvi qualche esempio, giusto un anno e tre giorni fa, in quel di Cascina furono di scena i Sepultura e gli Angra, mentre negli anni precedenti il boss Alex Sabadini e soci hanno portato lungo le rive del fiume Arno band del calibro di Exodus, Obituary, Death e Venom, solo per citarne alcune. Raggiungibile facilmente tramite la S.G.C. che collega Firenze, Pisa e Livorno per chi è automunito, il The Jungle dista comunque appena un chilometro dalla stazione ferroviaria di Cascina, e ad una decina di minuti di auto da Pisa. E’ dotato di un ampio parcheggio gratuito, e sottolineo “gratuito”, in quanto in prossimità delle aree concerti sovente mi son sentito chiedere dai 10 ai 15 € per la serata. All’interno del The Jungle è possibile gustare mega panini farciti alla Scooby Doo, bere birre gelate e ottimi cocktail, insomma tutto l’occorrente per prepararsi al meglio per la serata infernale che ci sta aspettando. Ma dopo i doverosi complimenti al The Jungle, andiamo a conoscere da vicino le star della serata, i Testament. I nostri nascono nel 1983 con il nome The Legacy, sotto il volere del chitarrista Eric Peterson, tutt’oggi colonna portante della band, vantando l’invidiabile primato di essere l’unico membro ad aver fatto parte di tutte le svariate formazioni nel corso della ultra trentennale carriera dei Testament. Dopo alcuni avvicendamenti di formazione, arrivano il talentuoso chitarrista Alex Skolnick, il front man Steve "Zetro" Souza, il bassista Greg Christian e il batterista Mike Ronchette. Dopo il promettente demo, i nostri ricevettero molte proposte di contratto, ma proprio sul più bello, Steve Souza decide di abbandonare la band per unirsi all’allora più blasonati Exodus, che avevano licenziato Paul Baloff a causa di uno sconsiderato abuso di stupefacenti. Prima di andarsene, il buon Steve suggerì alla band un suo papabile successore, il carneade nativo americano Chuck Billy. Sin dai primi minuti del provino, Peterson e soci furono letteralmente folgorati dalle prestazioni del nuovo frontman proveniente dall’antica popolazione dei Pomo. Fu la svolta della band, che sotto il consiglio di Billy Milano dei S.O.D. cambiò il nome in Testament, in quanto il nome The Legacy era già usato da una jazz band. Nel 1987 pubblicano il loro primo album, intitolato “The Legacy”, mantenendosi saldamente radicati alle loro origini. Fu un album folgorante, che ricevette consensi unanimi dalla critica, che dipinse i nostri come predestinati a salire nell’olimpo del thrash metal. Seguirono altri due album fondamentali, “The New Order” (1988) più tecnico e maturo, e “Practice What You Preach” (1989), che non fu invece all’altezza dei suoi predecessori (opinione personale). In futuro la carriera dei Testament ha avuto un andamento costante, con qualche timida escursione verso lidi musicali ancora più estremi e con molteplici avvicendamenti nella formazione, specie per quanto riguarda la sezione ritmica. I nostri hanno attraversato anche periodi bui, che hanno visto anche un clamoroso scioglimento nel 1995. Un altro periodo da dimenticare è la forzata pausa a cavallo fra gli anni 90 e gli anni 2000, a causa di problemi di salute del frontman Chuck Billy, per fortuna, il Gigantesco Nativo Americano è riuscito a vincere una dura battaglia contro il cancro, riuscendo a tornare in forma è motivato. E siamo arrivati ai giorni nostri, dove i Testament si propongono forse con quella che forse è la loro migliore formazione di sempre, nella quale a far compagnia agli storici membri Chuck Billy ed Eric Peterson, ci sono tre importanti e graditissimi ritorni, quelli del chitarrista degli esordi Alex Skolnick, del bassista Steve DiGiorgio (già nella band fra il 1998 ed il 2004), e del massacrante metronomo Gene Hoglan (nella band per un breve periodo dal 1997al 1998), famoso nell’ambiente del metal estremo per aver militato nei Death e nei Dark Angel. Con il tempo i nostri sono diventati una delle formazione più amate e seguite dai thrashers di vecchia data, riuscendo a coinvolgere anche le nuove generazioni, grazie ad un rigoroso mantenimento delle loro idee musicali, che non gli hanno mai visti imboccare lidi più commerciali come alcuni loro colleghi famosi. Dopo questa mini cronistoria dei Testament, torniamo al concerto, che nel bill vede incluse altre due band, i locali Rusty Nails ed i Runover, dalla vicina Montecatini. L’inizio della serata è previsto per le 19.30, con apertura dei cancelli alle ore 19:00. Per mia fortuna solo 4 minuti di auto mi separano dalla sede del concerto, e verso le 18:45 ho già parcheggiato la macchina. Mentre mi incammino per la strada sabbiosa, contornata da verdi canneti ed altri rigogliosi arbusti selvatici, dando l’idea di una strada che porta verso una spiaggetta sperduta, alcuni taglienti riff di chitarra e massacranti ritmiche vibrano nell’aria, attirando la mia attenzione. Guardo immediatamente l’orologio, credendo di essere in ritardo, ma non è così. Affretto il passo. Giunto all’entrata, trovo già una discreta fila, in attesa dell’apertura. Per fortuna, il mio pass mi permette di evitare la fila e aspettare l’orario di apertura ufficiale. Alle 18:50 sto già calpestando il prato del The Jungle, e con sorpresa scopro che sul palco sono appena saliti i Testament, per eseguire le ultime operazioni di sound check. Mi godo da privilegiato questi minuti inediti della band, facendomi una chiara idea di quello che accadrà qualche ora più avanti. La fila all’entrata aumenta a dismisura con il passare dei minuti, quindi con saggezza decido di anticipare la cena, e prima dell’inizio del concerto mi sparo un farcitissimo panino ed una bella birra gelata, scambiando qualche parola con amici di vecchia data, alcuni dei quali erano proprio con me quel famoso 22 Ottobre del 1987. Siamo giunti piacevolmente alle 19:30, ma le operazioni di sound check dei thrashers californiani hanno causato un lieve ritardo sulla scaletta. Iniziano ad arrivare orde di metallari, di tutte le età e di svariata provenienza, ovviamente non mancano le storiche figure dell’underground metal pisano.
Nel frattempo i Rusty Nails salgono sul palco, iniziando le operazioni di sound check. Poi, con una ventina di minuti di ritardo, alle ore 19:54 i nostri iniziano a scaldare gli animi del pubblico, intorno alle 100 unità, mentre la fila all’entrata assume proporzioni gigantesche con il passare del tempo. Dopo un’epica introduzione i nostri iniziano le danze, sparando un paio di pezzi che rievocano piacevolmente le sonorità del metal anni’80, come giustifica il look Robhalfordiano del frontman Paolo Billi, celebre per aver militato a lungo negli Osbourne, tribute band locale del nostro amatissimo Madman. I nostri sfruttano a pieno il fattore campo (sono tutti del posto, la loro sala prove è a pochi chilometri dal palco) e coinvolgono la platea con un paio di brani potenti, ricchi di riff taglienti, assoli e vocalizzi di altri tempi, apprezzatissimi dal pubblico, che sovente canta strofe e ritornelli. Dai primi secondi, terzo brano sembra un’avvolgente ballad maideniana, ma non è così, i nostri continuano a massacrarci con un discreto wall of sound, con potenti escursioni nel power metal. Nel frattempo il pubblico aumenta, e i nostri ci salutano con un paio di brani meno aggressivi che ha tratti rievocano sonorità vicine al Madman e alla Vergine Di Ferro. I Rusty Nails salutano il pubblico, lasciando indubbiamente un ottimo ricordo, grazie ad una buona dose di tecnica ed un sound potente e curato, e mettendo in mostra anche un ottimo songwriting. Durante l’intervallo, sarei tentato da una seconda birra ghiacciata, ma l’interminabile fila alla cassa mi fa cambiare idea. Intanto il pubblico sotto il palco è praticamente raddoppiato, mentre la fila all’entrata è sempre più lunga. Inganno il tempo scambiando qualche parola con alcuni miei carissimi amici, poi alle ore 08:44 a salire sul palco sono i Runover. I nostri mettono in mostra un potentissimo wall of sound, un accattivante groove metal dalle forti tinte americane, con ritmiche mozzafiato e una chitarra satura, i cui riff fanno ondeggiare le folte chiome dei metallari accorsi sotto il palco. Nonostante il devastante impatto sonoro, i nostri non riescono a coinvolgere il pubblico come i loro predecessori, ma si sa, spesso il fattore campo è determinante. A metà scaletta, il frontman dei Runover intrattiene il pubblico con un simpatico siparietto dove si sprecano i “bip” da censura. I nostri ci salutano con un brano dalle sonorità megadethiane, con un sorprendente finale dove il cantante si mette a percuotere a tempo di musica con una mazza un barile di birra. A fine show, ci sono parole d’elogio per i colleghi che li hanno preceduti, per il pubblico, e ovviamente per i dinosauri del thrash metal che si esibiranno più avanti. Le tenebre iniziano prendere il sopravvento, il concerto dei Testament è previsto per le 21:30. Il pubblico si fa sempre più numeroso, e a pochi minuti dall’inizio la gente continua ad entrare, mentre i soliti ritardatari sono ancora giustamente in fila. Ma la fortuna è dalla lor parte, i Chuck Billy e compagni tardano a farsi vedere. In prossimità del palco la calca inizia a farsi preoccupante. Decido che è l’ora di andare dall’altra parte delle barricate. Mi metto a mio agio sfruttando un paio di robusti case per amplificatori. Telefono pronto per le foto, penna blocco notes per gli appunti, ma intorno alle ore 22 dei Testament nemmeno l’ombra. Con un occhio all’orologio ed uno alla strada da dove dovrebbero paventarsi Eric Peterson e compagni, l’attesa inizia a farsi snervante. C’è il pubblico delle grandi occasioni, non sono la persona più adatta per fare una stima, ma penso che il numero si aggiri intorno alle 1000 unità, che a gran voce chiama all’appello i loro idoli. Fra le prime file, notiamo molti giovani metallari, gomito a gomito con over “enta” e over “anta”, richiamati dal fascino dei thrashers californiani, idoli indiscussi della loro gioventù. Fa piacere vedere che molti si sono portati dietro i figli, i più attenti li hanno dotati di ingombranti cuffie, per evitare danni irreparabili ai fragili timpani. Intorno alle 22.10, dei fari abbaglianti illuminano la piccola strada sterrata che porta dietro al palco, sono finalmente arrivati! Alle 22:17 si spengono le luci, rumori inquietanti e sirene squarciano le tenebre, eccitando l’impaziente pubblico. Uno ad uno i nostri salgono sul palco, osannati con boati da stadio. Alex Skolnick è a pochi centimetri da me. Decidono di partire subito forte, iniziando con uno dei brani più famosi del loro repertorio, la “Over The Wall” che nel lontano 1987 apriva “The Legacy” il loro devastante album d’esordio. Sin dalle prime battute, Gene Hoglan giustifica il suo soprannome “The Atomic Clock” abbattendo le prime file con roboanti colpi sul rullante e micidiali raffiche con la doppia cassa. Il pubblico è eccitato, canta a squarcia gola l’indimenticabile ritornello, le cui melodie sono riprese da Mister Alex Skolnick con la sei corde, il nostro inizia a farsi notare con funamboliche escursioni soliste. Forte sbalzo temporale e si passa a “Rise Up”, tratta dalla loro ultima fatica in studio, “Dark Roots of Earth”, datata 2012. Il pubblico sembra apprezzare anche gli ultimi lavori, cantando all’unisono le prime strofe, con una accesa partecipazione dei fans di nuova generazione. I taglienti riff riecheggiano in riva al fiume Arno le teste ondeggiano a tempo di musica, seguendo l’incessante Metronomo di Dallas. Si torna nuovamente indietro, fino al 1988, anno in cui i nostri pubblicano “The New Order” dal quale propongono la travolgente “The Preacher”. Il leggendario fraseggio di chitarra vien ripreso dal pubblico con un coro, ogni qual volta si presenta. Durante l’assolo, Alex Skolnick dimostra di essere uno dei migliori interpreti della sei corde nell’ambito metal, passando con una naturalezza disarmante da funambolici fraseggi in tapping ad avvolgenti momenti melodici, riprendendo più volte il tema portante. Gli occhi dei due enormi teschi pentacolati posti alle estremità del palco si illuminano di rosso, emanando atmosfere inquietanti. Si pesca ancora da “The Legacy” i riff saturi delle chitarre si intrecciano magicamente, il pubblico riconosce subito che si tratta di “The Haunting”. Chuck Billy ci saluta, e come da tradizione si mette a suonare la robusta e concisa asta del microfono, come se fosse una chitarra. Le due chitarre sparano vere e proprie rasoiate, Steve DiGiorgio si dimostra di essere il migliore bassista in circolazione, perlomeno per quanto riguarda l’ambito del metal più estremo, mentre gli spettacolari giochi di luce tingono il palco di rosso vermiglio. Dopo questo fantastico tuffo del passato, facciamo un salto al 2008, anno in cui i nostri hanno dato alla luce il loro album numero dieci, intitolato “The Formation of Damnation”, proponendoci una delle tracce più amate dal pubblico, “More Than Meets the Eye”. Il pubblico segue all’unisono il Gigantesco Nativo Americano nel celebre coro, ripreso successivamente dalle chitarre. Chuck Billy si dimostra essere un gigante buon, in quanto dopo aver scorto alcuni bambini fra le prime file, prima gli emoziona con un sorriso a trentadue denti, poi li sorprende regalando plettri e bacchette. Continuano gli sbalzi temporali nella scaletta, stavolta i nostri vanno a pescare nel loro terzo album, intitolato “Practice What You Preach”, risalente al 1989, presentandoci la title track, brano dove si rievocano sonorità dei migliori Metallica, impreziosite da una sezione ritmiche fra le migliori che può offrire il mercato. Da una title track all’altra, è il turno di “The New Order”, tratta dal loro secondo album in studio. Dopo un’oscura introduzione, dove acidi fraseggi di chitarra si intrecciano con un melanconico arpeggio, siamo investiti da un potente wall of sound, il tutto in un’affascinante atmosfera bluastra. Gli occhi dei fans di vecchia data si illuminano. Il basso tellurico di Steve DiGiorgio abbatte le prime file, mentre gli acuti di un Chuck Billy in forma smagliante riecheggiano raggiungendo i lontani Monti Pisani. Il pubblico apprezza di buon grado, inizia a manifestarsi un accenno di pogo, subito dietro le prime due-tre file. Da brividi l’assolo di Mr. Alex Skolnick, replicato da Chuck Billy, che spesso si diverte ad imitarlo suonando la luminescente asta del microfono. Tempo di un veloce cambio di chitarra e nostri chiudono la trilogia delle title track con “Dark Roots of Earth”, dall’omonimo album datato 2012. Finalmente l’Orologio Atomico abbassa l’asticella dei BPM, massacrando violentemente il china, il cui suono sferragliante riecheggia insinuandosi nelle nostre orecchie. Brano di forte atmosfera, le teste delle prime file ondeggiano seguendo le ritmiche cadenzate di una sempre più impressionante sezione ritmica. Sul finale del brano, un membro dei Rusty Nails lancia un CD ad Alex Skolnick, che raccoglie e ringrazia. Siamo giunti a metà della scaletta, per far rifiatare i compagni, Chuck Billy si mette a dialogare a lungo con il caloroso pubblico, poi annuncia “Into The Pit”, dal capolavoro “The New Order”. Le ritmiche indemoniati e le rasoiate sparate dalle chitarre infiammano il pubblico. Dietro alle prime file sia apre un pozzo, che va ad ospitare un violento pogo, alimentato da una quantità industriale di note sparate dal basso a cinque corde di Steve DiGiorgio. Il brano è stato massacrante per il pubblico e per i musicisti, che si prendono alcuni secondi di pausa, dove Steve DiGiorgio decide di impugnare un impegnativo fretless bass a sei corde. Un oscuro tappeto di tastiera apre la successiva “D.N.R. (Do Not Resuscitate)”, tratta dall’album “The Gathering”, risalente al 1999, dopo di che il delirio. Siamo investiti da un travolgente impatto sonoro. Gene Hoglan spara micidiali raffiche di doppia cassa, coadiuvato da Steve DiGiorgio con il suo imponente basso fretless a sei corde, che raramente, se non mai, vi capiterà di ritrovare in un concerto di thrash metal. Un temerario si fa rotolare al di là delle barricate di sicurezza, gentilmente rispedito al mittente. La security fa fatica a trattenere il pubblico, che si accalca alle transenne come un’orda di zombi famelici, facendole barcollare vistosamente. I nostri pescano sempre dal medesimo album, e ci propongono “3 Days In Darkness”, brano dove per fortuna calano i BPM, riportando un po’ di calma fra il pubblico. I ritmi cadenzati valorizzano il grande lavoro di Steve DiGiorgio al basso, che martella le prime file, le cui teste ondeggiano a tempo di musica, seguendo le potenti ritmiche di Mr. Hoglan. Si ritorna all’ultimo album in studio, i nostri pescano il singolo “Native Blood” dove Chuck Billy difende i diritti dei nativi americani. I riflessi verde smeraldo delle luci donano un aspetto hulkesco al Gigantesco Pomos. A differenza di altre band che in passato facevano thrash metal, i nostri hanno continuato dritti per la sua strada. Lo dimostra il fatto che i brani degli ultimi dischi sono accolti con il medesimo entusiasmo dal pubblico, che canta all’unisono con l’ottimo Chuck Billy ritornello e strofe. Nel frattempo, un altro CD lanciato dal pubblico finisce nelle mani di Alex Skolnick. Dopo questo travolgente brano, Chuck Billy lascia il microfono a Steve DiGiorgio, che mettendo in mostra le sue chiare origine italiane, si mette a dialogare con il pubblico con un simpatico “italiano americanizzato” infiammando il pubblico con un paio di bestemmie, a mio parere evitabili. Dopo il simpatico siparietto, torna a al basso a cinque corde per un altro cavallo di battaglia, “Disciples of the Watch” direttamente da “The New Order”. Dopo un’avvolgente e melanconica introduzione che mi ha riportato indietro nel tempo, siamo travolti da un potente impatto sonoro. Gran parte del pubblico è impegnata nel pogo, mentre i meno coraggiosi cantano a squarciagola il celebre ritornello. A metà brano Steve DiGiorgio ci incanta con un funambolico assolo di basso, cedendo poi lo scettro ad Alex Skolnick. Dopo la classica falsa uscita dal palco è il momento del bis. Per quanto mi riguarda per rendere ancora più speciale la serata, all’appello manca il mio pezzo preferito in assoluto dei Testament, la bellissima “Alone In the Dark”, che mi ha ammaliato sin dai primi ascolti del sorprendente “The Legacy”, facendomi premere più volte il tasto skip che mandava indietro la cassetta, per riascoltarla in loop. Chuck Billy torna sul palco, dialoga simpaticamente con il pubblico e poi brividi con le prime note di “Alone In the Dark”, una delle più belle introduzione della storia del thrash metal. Dopo questa scarica di adrenalina, Eric Peterson attacca con il leggendari riff di chitarra Il pubblico ricama a squarcia gola per tutto il brano con cori che riprendono ora l’inciso, ora la strofa. Eric Peterson per una per una volta ruba lo scettro di chitarra solista ad Alex Skolnick e si esalta durante l’assolo. In anticipo, il pubblico riprende con un coro la melodia del ritornello, Chuck Billy gradisce ed in chiusura da spazio ai cori dei fans. Si spengono nuovamente le luci, ma a sorpresa i nostri ritornano. Chuck Billy ringrazia il pubblico e presenta “The Formation of Damnation”, title track dell’album datato 2008. Dopo un’introduzione dai sentori doom, siamo investiti da taglienti riff di chitarre, inseguiti da Gene Hoglan con una serie di interminabili corse sulle pelli. Chuck Billy presenta al pubblico l’Orologio Atomico, che ringrazia con micidiali raffiche di doppia cassa, aumentando vistosamente i BPM. Sul finire Chuck Billy viene a cantare proprio a pochi centimetri da me, salutando i fortunati come me che hanno potuto assistere al concerto da una posizione a dir poco privilegiata. Il nostro si allunga a dismisura fino a stringere la mano ad un piccolissimo fan, i cui teneri occhietti si illuminano di gioia. Finito il brano, il Gigantesco Nativo Americano presenta al pubblico tutta la banda. Ogni singolo nome viene accolto dal pubblico con un boato da stadio. Dopo i dovuti ringraziamenti, mentre i nostri abbandonano velocemente il palco, riesco a stringere saldamente la mano a Steve DiGiorgio, e per uno che come me strimpella le quattro corde, è una gran bella soddisfazione.
Alla fine del concerto, i volti dei presenti son dipinti da sorrisi che esternano soddisfazione per aver assistito ad un concerto meraviglioso, che ci ha consegnato una band in forma smagliante. Scambiando qualche parola con alcuni amici, ho ricevuto solo pareri unanimi: “che concerto!”. I Testament meriterebbero che i Big Four fossero allargati a Big Five, ma poi si correrebbe il rischio che qualche mega star impallidisse. I nostri hanno dato vita ad uno show adrenalinico e travolgente, un sound potente e cristallino, dove ogni strumento si poteva distinguere alla perfezione. Chuck Billy dimostra di aver ancora molto fiato da spendere, passando con disinvoltura dal cantato pulito che lo ha caratterizzato sin dagli esordi, a momenti di terrificante growl, interagendo sovente con il pubblico. L’altra bandiera della band, Eric Peterson, fa un oscuro lavoro alla chitarra ritmica, i suoi riff sono vere e proprie rasoiate, spesso si toglie qualche soddisfazione sciorinando interessanti assolo, ma poi ritorna ai suoi compiti, conscio che dall’altra parte ha uno dei migliori chitarristi del panorama thrash metal, Alex Skolnick, che suona la sei corde con una naturalezza ed una disinvoltura disarmanti, come solo i grandi chitarristi sanno fare. Sottovalutato. Stasera ho capito perché Gene Hoglan viene soprannominato “The Atomic Clock”. Il suo enorme rullante ha scandito i BPM per tutto il concerto, senza mai perdere un colpo, micidiale alla doppia cassa, i suoi veloci filler non sono mai cascati fuori di una infinitesima frazione di secondo. A completare una delle migliori sezioni ritmiche del metal estremo troviamo Steve DiGiorgio, forse l’unico bassista che usa un fretless bass a sei corde nel thrash metal. Le sue mani corrono veloci sulle corde del basso, sciorinando un’incredibile quantità di note. Tellurico. Non me ne vogliano gli ex componenti, ma la formazione attuale dei Testament spacca di brutto, superando con disinvoltura tutte le altre. Chi sosteneva che i Testament vengono al The Jungle perché sono finiti ha perso. Gli oltre mille presenti hanno vinto. Io ho trovato una band in formissima, perfino nettamente superiore a quella che mi aveva incantato nel lontano 1987. Quindi, un grazie di cuore a Chuck Billy e compagni, per avermi riportato indietro nel tempo, un grazie infinito ad Alex Sabadini e tutto il suo staff per aver portato sul palco del The Jungle una delle migliori band thrash metal del momento, chissà chi riusciranno a portare il prossimo anno a sparare decibel in riva all’Arno.

1) Over the Wall
2) Rise Up
3) The Preacher
4) The Haunting
5) More Than Meets the Eye
6) Practice What You Preach
7) The New Order
8) Dark Roots of Earth
9) Into the Pit
10) D.N.R. (Do Not Resuscitate)
11) 3 Days in Darkness
12) Native Blood
13) Disciples of the Watch
14) Alone in the Dark
15) The Formation of Damnation

