SLASH FT MYLES KENNEDY AND THE COSPIRATORS + Rival Sons
Live in Summer Arena Assago (Milano), 24/6/2015
MATTEO PASINI
30/06/2015
recensione
Quando qualche mese fa mi è stato proposto da alcuni colleghi di lavoro di andare a vedere Slash non ci ho pensato su due volte ed ho avallato subito con grande piacere la proposta perché ben consapevole della bravura che l’artista riccioluto porta con sé durante le sue esibizioni live. Era da considerare anche il fatto che avevo avuto la fortuna di assistere ad una sua performance qualche anno fa durante l’ultimo Gods of Metal, tenutosi a Milano, dove supportava insieme a Zakk Wilde (un altro che la chitarra la fa cantare eccome!) il mitico Ozzy Osbourne, vista la defezione di Tony Iommi costretto ad abbandonare il tour per l’incedere della malattia che lo aveva colpito. Così arrivato il grande giorno ci dirigiamo verso la Summer Arena di Assago, preparata per l’occasione alle spalle del Forum stesso, luogo che durante l’inverno ospita le maggiori esibizioni live, basti pensare che qualche mese fa Slipknot e Brian May, solo per citarne alcuni, vi avevano suonato. Dopo aver parcheggiato al costo dei classici 6 euro ci dirigiamo a piedi verso i cancelli con la nostra bella birrettina in mano, incrociando i soliti “commercianti” pronti a rivenderti magliette, bandane o bevande, ed in mezzo a tutti loro vedo in lontananza il mitico Pino Scotto, e come farsi scappare l’occasione di farci una foto assieme? Scambiate le due parole di rito e fatta la foto arriviamo all’ingresso, dove troviamo una location ben allestita, con tutti i servizi del caso, dalle birre ai panini, e con una sfilza di bagni chimici da fare invidia al più grande degli eventi. Avevo sentito molte lamentele a riguardo della Summer Arena in occasione del Sonisphere, che aveva visto protagonisti fra gli altri Metallica e Faith No More, e quindi vi sono andato un po’ titubante, ma devo essere sincero tutte le mie perplessità sono svanite nel momento in cui la band di apertura, i Rival Sons, ha iniziato a suonare.
Il livello del volume era ottimo e per nulla dispersivo, a differenza della consolidata Rho Fiera dove i maggiori live milanesi estivi trovavano casa, anche se sinceramente devo dire che chi affermava di vedere un palco troppo basso, e quindi non riuscire a scorgere dai posti più lontani gli artisti on stage, beh aveva sicuramente ragione, ma questo è un dettaglio che potrebbe essere trascurabile vista l’imponenza dei maxi schermi allestiti ai lati del palco stesso. La cosa che mi indispettisce di più probabilmente è sempre il rapporto qualità-prezzo delle consumazioni, 5 euro per una birra piccola, e mi sono fermato a quello perché non ho preso altro, ma ormai questa è la prassi, non è di certo soltanto in questa occasione che ci si trova davanti a dei piccoli furtarelli legalizzati, perché a qualsiasi concerto io abbia partecipato finora la solfa non cambia di molto. Con i soliti 20 minuti di ritardo rispetto all’inizio prospettato, e con il sole ancora alto in cielo, ecco che salgono sul palco i californiani Rival Sons, una band a me profondamente sconosciuta, basti pensare che avevo scoperto il nome degli special guest soltanto un paio di giorni prima di questo concerto, quindi affronto la loro esibizione con curiosità, cercando di capire e di estrarre al meglio ogni dettaglio che mi forniscono: . I Rival Sons nascono in California e più precisamente a Los Angeles nel 2008 da un idea del chitarrista Scott Holiday, il batterista Micheal Mike Miley e dal bassista Robin Everhart (che lascerà poi la band nel 2013). Firmarono un contratto con la Atlantic Record, che lasciarono subito dopo. Rimasti senza etichetta discografica, rilasciarono digitalmente il loro primo album auto-prodotto Before The Fire nel 2009. Un anno dopo si fecero strada aprendo per gli AC/DC, Alice Cooper, Kid Rock e nello show televisivo The Indianapolis 500. L'etichetta metal britannica Eerache Records si interessò ai ragazzi, e firmarono un contratto nel 2010. devo dire che il suono da loro prodotto è molto accattivante, in piena linea con la corrente dell’Hard Rock, e non poteva essere altrimenti, visto che sono il gruppo spalla di un mostro sacro come Slash, che ha fatto di questo stile il suo cavallo di battaglia ormai da 30 anni a questa parte. Ho avvertito anche altre contaminazioni propendenti allo stile Grunge, con una traccia che presentava un intro molto similare agli Audioslave, quindi una specie di mix, anche se la chitarra parte sempre con dei riff nudi e crudi, e dal mio punto di vista questo è l’elemento cardine di questa band, quello che musicalmente mi ha affascinato parecchio. Qualche perplessità l’ho avuta sulla voce e stile del frontman, che non ha destato in me una grandissima impressione, anche se il suo lo sa fare sicuramente bene, ma non è il genere di vocalist che mi riesce a coinvolgere del tutto. Fatto sta che questa band sfrutta comunque al meglio il tempo che le viene dedicato, circa una mezzoretta, per presentare al pubblico sei tracce, proposte di filato appunto perché come ben si sa il tempo scorre veloce, e queste occasioni vanno sfruttate al meglio senza perdersi in troppe ciance, e rischiare di annoiare un pubblico che in gran parte non ha la minima idea di chi tu sia. Una volta finita la sesta canzone, ecco le dovute presentazioni di ogni singolo membro della band, per poi lasciare il palco pronto per essere allestito per l’ingresso in scena di Slash featuring Myles Kennedy and The Conspirators.
L’attesa è abbastanza breve, circa quaranta minuti, e dopo essere apparso uno smile sorridente con l’inconfondibile cappello a cilindro del chitarrista, con la luce che sta diventando sempre più soffusa e tenue, accolto da un grande boato appare sul palco il chitarrista che da ormai trent’anni fa sognare il grande pubblico narrando le sue storie grazie al suono ricreato dalla sua fedelissima Gibson, ecco Saul Hudson, in arte Slash. La band non si perde in chiacchiere, ed è subito Rock ‘N Roll! Il chitarrista propone una set list molto variopinta, che viaggia fra presente e passato, andando a pescare canzoni tratte dalla collaborazione con Myles Kennedy passando, attraverso quelle scritte con i Velvet Revolver, per arrivare ovviamente ai grandi classici che fanno impazzire di gioia il pubblico, come quelli dei Guns N’ Roses. La prima traccia proposta è stata You’re a Lie, brano scritto a quattro mani con il frontman degli Alter Bridge, e primo singolo della nuova coppia che a quel tempo si stava formando, duo che poco dopo permetterà l’uscita, nel 2012, dell’album Apocalyptic Love. Fin da subito si denota il grande impatto di voce e chitarra, ed il pubblico inizia a saltare e ad inneggiare. Il boato e l’urlo di gioia si scatenano ancor di più quando l’intro di Nightrain risuona nelle nostre orecchie, tutto questo è inevitabile, alcuni iniziano a scatenarsi in un ballo senza freni, e l’emozione per chi come me non ha mai avuto la fortuna di godersi i Guns dal vivo è moltissima. Ora è la volta di Avalon, e con essa inizia la presentazione dell’ultima fatica del chitarrista statunitense, uscita nel 2014 e dal titolo di World On Fire. Canzoni forse meno conosciute, ma seguite sempre con grande interesse, gli sguardi e le attenzioni sono sempre rivolte verso i movimenti e le espressioni di Slash, il quale mette una passione fuori dal comune, il volto è segnato dal puro godimento per le note che “strimpella”. Prosegue spedita l’esibizione con Halo, altro brano tratto dall’ultimo album, e qui una piccola interruzione dove Kennedy prende la parola per fare una breve presentazione, quel tanto che basta per caricare ancor di più gli spettatori che stanno andando sempre più in fermento. Neanche il tempo di seguire le parole di Myles, ed è ora la volta di Back from Cali, brano del 2010 tratto dall’album Slash, che vantava già la partecipazione di Kennedy in qualità di vocalist, ed è inutile dire quanto la presenza scenica di Slash sia imponente, è proprio vero che riesce a fare quello che vuole e per quanto tempo vuole; per poi arrivare a Wicked Stone ( tratto sempre da World on Fire) ed anche qui una cascata di note scaturite dalla sua sei corde riesce a dare un tocco magico all’intera song. Lo show è sempre più spedito, non hanno bisogno di grande presentazioni e soltanto qualche “Grazie Italia” e “Grazie Milano” con colpetto sul petto e saluto a noi della platea inframezzano un pezzo e l’altro. Con tutti noi ormai carichi all’inverosimile, la band decide di accelerare prepotentemente facendo deflagrare l’arena con Mr.Brownstone, pezzo che, come Nightrain, è tratto dall’album d’esordio dei Guns, ovvero Appetite for Destruction, che consacrò il gruppo di Slash e Axl alla fama mondiale. La gente canta a squarciagola, e gli immancabili cellulari cercano di immortale momenti storici per chi sta assistendo allo spettacolo. Con tutta questa adrenalina non poteva mancare ad alzare ancora di più il tiro You Could Be Mine ( Use Your Illusion II, 1991) e qua sono rimasto estremamente colpito dalle capacità canore di Kennedy, per svariati motivi; dal pensare a quanto la voce di Axl fosse ai tempi particolare ed irraggiungibile, perfetta per lo stile Hard Rock che la band proponeva, e di quanto ora il frontman degli Alter Bridge riesca non ad imitarla, ma a reinterpretarla riuscendo a catturare il pubblico senza lasciare l’amaro in bocca per un passato che fu, ma piuttosto per godere di un presente estasiante. Il signor Kennedy inoltre dimostra una grande versatilità, perché il gruppo in cui Myles si è fatto le proprie ossa vocali, ha tutt’altro stile ed impronta musicale, ed è proprio in queste occasioni, in cui si ritrova a cantare prendendo basi da ugole non sue, che si capisce perché è una delle migliori voci in circolazione ed uscite allo scoperto negli ultimi 15 anni. Doctor Alibi è una canzone tratta dall’album Slash, che vantava la collaborazione di grossi calibri della scena Metal e Rock; in questa particolarmente troneggiava la voce roca di Lemmy, non credo necessitino presentazioni per lui, e proprio per questa ragione la palla passa al bassista dei Conspirators, Todd Kerns, che dimostra di avere delle buonissime doti vocali oltre che di essere veramente capace di suonare il proprio strumento; la sua performance è energetica e rende giustizia all’originale, senza perdere colpi neanche sulle note suonate. Il nostro Kerns però non è ancora stanco, e decide di accompagnare con la voce anche il pezzone da novanta che tutti forse aspettavano, Welcome To The Jungle. Allo scoccare del brano di fianco a me si accenna ad un piccolo pogo a cui mi stavo per aggregare, ma subito smorzato perché i telefonini si rialzando per riprendere il live (questi ultimi stanno forse diventando un po’ troppo presenti!). La pausa di Myles Kennedy termina qua e torna a riaccompagnare Slash per tutto il concerto, che prosegue con Starlight (Slash); il rock n roll scorre a fiumi, il cielo è ormai scuro e le luci stanno facendo il dovuto spettacolo, illuminando la gente con giochini veramente ben strutturati, ma queste portano purtroppo con loro degli scomodi “amici”, le odiate zanzare che iniziano ad attaccare ronzanti una platea affollata e sudata banchettando dei loro corpi. Si continua con la presentazione di World On Fire, proponendo Beneath the Savage Sun, ormai l’attenzione è tutta lì, ascoltiamo in religioso silenzio, le note calate dalla Gibson di Slash sono un qualcosa di indescrivibile, quasi quasi la voce pare inutile perché la sei corde pensa a cantare, anche se qualche fan più sfegatato si lascia andare in movimenti e urli ancor più selvaggi, per arrivare a The Dissident: questi due brani sono solo un antipasto, perché ora arriva il piatto forte della serata, quello per cui capirete quanto Slash è ancora assai cazzuto, ed in grado di fare del gran rock. Parte Rocket Queen, accolta da un gran boato e voglia di danzare e cantare, ma la particolarità non è quella di ascoltare un’altra canzone dei Guns, ma è l’assolo di chitarra che Slash crea irrompendo sulla scena e catturando ancora di più l’attenzione, la durata è spaventosa, l’amico di fianco a me che riprendeva ha stoppato a 18 minuti circa, io sono rimasto ammutolito, l’ho osservato in religioso silenzio, come del resto gran parte del pubblico, trovandomi in uno stato di estrema estasi e goduria. Solo qualche fischio ed applauso come a dire: “Ei sei bravo! ma ora basta! Per quanto vuoi continuare?!” risuona qua e là, ma l’artista che da 30 anni calca i palchi con il suo inconfondibile look, fatto dal famosissimo cappello a cilindro, occhiali da sole, piercing al naso e prorompente chioma riccioluta, non ne vuole sapere di fermarsi, variando sempre più l’assolo, rallentando e velocizzando, toccando note stridule ed acute per passare poi a quelle basse, io rimango estremamente colpito e osservo sul maxi schermo le sue espressioni facciali, come tocca la chitarra, la leggiadria e la velocità di esecuzione le gocce di sudore che grondano dal suo volto, anche se gli anni passano e i chili aumentano, la sua performance è eccezionale, quando porta a termine l’assolo la chitarra è ormai scordata, usurata e logorata per il nostro immenso piacere. Non potevamo che esplodere in un boato di gioia ed applausi, è stato indubbiamente il picco massimo dello show. Ancora con lo stordimento per quanto di bello ascoltato, come delle macchinette i nostri proseguono con Bent to Fly (Slash), nella quale ancora una volta il chitarrista statunitense ci delizia con una prova sublime, per poi arrivare al singolo e track che da il titolo all’ultima fatica lavorativa, World On Fire, pezzo veramente ed affascinante nel quale le mani battono a tempo, specialmente quando la batteria guidata da Brents Fitz intermezza la canzone risvegliando il senso del ritmo in tutti noi; si prosegue poi con Anastasia, nella quale Slash prende sotto braccio la chitarra in pieno stile Jimmy Page, per intenderci quella che racchiude in una sia l’acustica che l’elettrica, dimostrando ancora una volta quanto sia bravo, eccezionale, quello strumento parla al posto della sua voce, per lasciarsi andare prima in un delicato intro e poi in un sinuoso assolo prepotente ed avvolgente, tutti in visibilio iniziamo a saltare e cantare il ritornello della canzone stessa. Ormai siamo alle battute conclusive, e giustamente si vuole dare il colpo finale, ed ecco che a darci il colpo di grazia arriva a spron battuto l’intro di Sweet Child O' Mine, che rischia di causare qualche infarto; boati e gioia serpeggiano fra il pubblico, che si lascia andare totalmente sulle note di una delle canzoni più famose dei Guns , e non ce n’è più per nessuno. Personalmente amo alla follia questa canzone, e potete immaginare la mia felicità nel sentirla, è stato puro godimento! Poi ecco Slither, canzone che fa parte del repertorio dei Velvet Revolver; la calma apparente dopo quest’ultimo pezzo, mi faceva pensare che sembrava tutto finito, specialmente perché vengono fatte le presentazioni di rito, ma immaginavo fosse una finta, perché pochi minuti dopo ecco risalire sul palco tutti quanti e Paradise City ci colpisce come un treno in corsa; le mani battono all’unisono per l’ultima canzone che la band ci propone, con un esplosione finale di coriandoli bianchi che ricoprono tutti noi, l’applauso che gli concediamo è prolungato e fragoroso, mentre i componenti del gruppo si inchinano, salutano, e lanciano plettri e bacchette.
Due ore di spettacolo continuato, mai interruzioni, grande tecnica, d’altronde Slash come già detto ha bisogno di poche presentazioni, eravamo lì per lui e di sicuro non ci ha delusi, ce ne siamo andati via convinti che i soldi del concerto sono stati ben spesi, e che la sveglia traumatica del giorno dopo sarà un piccolo prezzo da pagare per il bellissimo spettacolo a cui abbiamo assistito! Anche gli altri componenti, Myles Kennedy su tutti, sono stati eccezionali, soprattutto quando hanno ricreato le canzoni dei Guns N’ Roses. Forse il rock non è ancora morto come si dice in giro, se c’è gente con attributi come questi artisti a portarlo avanti, tanto di cappello a loro per averci regalato una serata degna di nota, nella quale ho visto qualcosa che davvero mi ha colpito moltissimo: molte generazioni a confronto, da chi era ragazzino all’uscita di Appetite For Destruction (1987) ed ora è coetaneo di Slash, che per l’occasione ha voluto far conoscere al propri figlio i suoi gusti musicali, facendogli tastare con mano il perché è innamorato di questo stile musicale, a ragazzi di varie fasce d’età, giovani e meno giovani a confronto, uniti nell’emblema del Rock, o chi era addirittura grandicello già allora e addirittura si è portato dietro i nipotini. Questa mescolanza così eterogenea è il segno che questa è stata una grande festa, dove la gente ha rispettato spazi e folla circostante, dando così un immagine pulita di un bellissimo concerto rock!
1) Avalon
2) Halo
3) Back from Cali
4) Wicked Stone
5) Mr. Brownstone
6) You Could Be Mine
7) Doctor Alibi
8) Welcome to the Jungle
9) Starlight
10) Beneath the Savage Sun
11) The Dissident
12) Rocket Queen
13) Bent to Fly
14) World on Fire
15) Anastasia
16) Sweet Child O' Mine
17) Slither
18) Paradise City