ONSLAUGHT
The Force 30th Anniversary
Live at Cycle Club (FI)
LORENZO MORTAI
11/04/2016
recensione
Louder than hell the thrashers are screaming to die…Thrash till the death! Questa è probabilmente la frase che ispirerà ed ha ispirato meglio coloro che ieri sera erano presenti al Cycle Club di Calenzano (FI), per uno dei concerti più attesi delle ultime settimane, ma andiamo con ordine e iniziamo a raccontare la storia dal principio. Nel 1986, anno abbastanza funesto per la musica alternativa (non dimentichiamoci mai infatti che è il momento in cui si spegne una delle luci simbolo dell’Heavy Metal, Cliff Burton), in quel di Bristol parallelamente i nostri Onslaught, alfieri del Thrash, rilasciano The Force, loro secondo album ufficiale. Dalle scorribande quasi ThrashCore di Power From Hell (che chi vi sta scrivendo ha avuto l’onere e l’onore immenso di recensire qualche tempo fa) si passa con quel pentacolo sormontato dal logo della band, ad un Thrash Metal made in UK di davvero pregevole fattura; riff articolati, canzoni nettamente più lunghe dell’album precedente (con picchi che arrivano anche ai sette minuti di ascolto), le due sei corde di Nige Rockett (fondatore della band e mastermind della maggior parte delle musiche) e Jase Stallard producono letteralmente scintille nella abbondante mezz’ora che compone l’album. Tutto questo peraltro senza dimenticare il buon Paul “Mo” Mahoney al basso (che era stato anche la voce narrante del primo album, con un tono venefico e dannatamente Hardcore nella sua resa) ed ovviamente l’acquisto più importante fatto dagli Onslaught, mr Sy Keeler alla voce. Con Sy la band inglese ha ottenuto un frontman capace di passare da toni squillanti e tendenti quasi al falsetto, a growl impregnati di dolore e maleficenza, il tutto contornato da una tecnica mostruosa ( ci è stato raccontato che per allenarsi a tenere la voce, l’energumeno barbuto e capelluto, classe 1963, si esercita su “gruppetti” come Deep Purple, Dream Teathre e molti altri). Dunque, formazione rinverdita, ed un album che ha fatto la storia non solo del Thrash britannico, ma anche del Metal mondiale, con migliaia di fan che lo hanno comprato nel corso del tempo, e che ancora oggi consumano i suoi solchi sul piatto. Come è facilmente intuibile, quest’anno The Force compie 30 anni da quando la Under One Flag lo rilasciò per la prima volta; e dunque i nostri Onslaught hanno pensato bene di eseguire una serie di concerti /evento per il loro amato pubblico, eseguendo per intero quello storico album, e condendolo con altre chicche estratte dalla loro discografia. Nel nostro paese la band ha toccato il suolo per tre date consecutive, dal venerdì alla domenica. Sono partiti l’8 aprile presso lo storico Cafè Liber di Torino, accompagnati dai Fil di Ferro, hanno proseguito sabato 9 spostandosi al Midian Club di Cremona, ed hanno finito la loro avventura nella terra natia di chi vi scrive, la Toscana, esibendosi appunto al Cycle Club. La bandlist dell’ultima data era una delle più ricche di tutto il mini tour degli Onslaught; ad accompagnare i nostri alfieri del Thrash infatti troviamo gli immancabili Main Pain (supporter ufficiali per tutte e tre le date), e poco prima i Krysantemia ed i Kiju. Una serata dunque tutta dedicata alla parte più energica dell’Heavy, quel fratello maledetto che ogni volta riesce ancora a stupire per la sua sagacia e costruzione, e soprattutto per le folte schiere di appassionati che ogni anno si aggiungono o seguono determinati eventi, al fine di vedere quella determinata band almeno una volta nella vita. Io stesso qualche tempo fa, sempre nella cornice del Cycle Club, ho avuto il grande privilegio di assistere ad un’altra grande doppietta nel mondo Thrash leggermente più underground e misconosciuto; si esibirono infatti i Toxik, storici innovatori e fautori di uno Speed Technical Thrash veloce ed articolato, ed i grandi Hirax, capitanati dal carismatico Katon D.Pena (che poco prima del concerto ho avuto anche l’onore di intervistare personalmente).
Essendo domenica, ed avendo dunque alcuni obblighi di non prolungare la serata oltre un determinato orario, i concerti sono iniziati assai presto, verso le nove. Ad aprire la serata è toccato ai Kiju; questi ragazzi provengono da Firenze, sono in attività ormai dal lontano 2002, ed hanno collezionato sul loro scaffale ben tre dischi, di cui l’ultimo ( Ignite the Revolt) è datato 2010. Il loro stile mischia le tradizionali basi Thrash, con una discreta spolverata di Groove preso dalle radici stesse di questo filone (Exhorder, Pantera ecc ecc) dando vita ad un sound granitico e roccioso, l’ideale per scaldare gli animi della folla. Un arduo compito ovviamente quello di suonare per primi, e per di più così presto. Circa quarantacinque minuti di esibizione per i nostri Groovers gigliati, ed una precisione di esecuzione che spacca il secondo, perché verso el 21 e 45 è il momento dei Krysantemia. Dalle lande fiorentine passiamo all’Emilia con questi ragazzotti arrabbiati e pieni di energia; in forze al dorato e sanguinolento calice del Metal ormai dal 2007, hanno all’attivo un EP e due full lenght, di cui l’ultimo reca la data 2012. Il loro, rispetto alla band sentita in apertura, è un Thrash fortemente influenzato da quello che possiamo definire senza troppi problemi come il suo discendente più cattivo e tecnico al tempo stesso, il Death. Riprendendo anche qui molte delle basi di questa contaminazione, andando a scovare influenze delle più disparate, e percorrendo non solo le strade battute già da altrettante band italiane (come i Subhuman, per citarne una), ma anche le forti e lisergiche tradizioni americane, inserendo vari elementi e partiture provenienti dalle basi del genere. Dunque dopo la prima botta adrenalinica a suon di Groove Metal senza troppi compromessi, abbiamo anche un’ondata di Thrash/Death che ci fa letteralmente incattivire, pensiero che diventa ancor più malvagio se pensiamo a quello che ci aspetterà in chiusura di serata. Spaccando sempre il secondo, alle 22 e 30 salgono sul palco i supporter ufficiali degli Onslaught, i MainPain. Insieme agli Onslaught, sono la realtà più longeva presente sul palco per la data fiorentina; sono in circolazione ormai dal lontano 1996, e producono un Heavy/Thrash Metal di forte impatto, di altrettanta forte tecnica, e soprattutto generatore di enormi quantità di energia. La squillante voce di Ronnie Borgese, capace di salire e scendere i toni senza molte difficoltà, andando a foraggiare quella parte di Heavy studiata e le cui basi sono state gettate da pilastri sacri come Maiden, Priest e tanti altri, si lega benissimo alle asce da guerra di Dave Valli e Paolo Raffaello. I due axeman si scambiano scintille a profusione per tutta la durata del concerto, inanellando combo, tapping, hammer on e power chords senza freno. Menzione d’onore anche per le spesse corde di Daniele Tamborini, vero animale da palcoscenico che ha ben capito come si fa a calcare la scena di un concerto, ovvero non stando fermi neanche un minuto. Oltre alla carismatica presenza, Daniele ha anche dalla sua una discreta tecnica di suono, con slappate precise e piene di sentimento sul ligneo manico del basso, che vanno a rinverdire ancor di più il sound dei MainPain. Nei loro 20 anni di carriera la band ha suonato al fianco di alcune delle realtà Metal italiane più famose e celebrate; si va da Pino Scotto alla Strana Officina, passando per Crying Steel, Domine e Sabotage. Ed infatti, sia gli anni di presenza sulle scene, ma anche il carisma e la forza della band, permettono agli astanti sotto al palco di scaldare a dovere i padiglioni auricolari per la successiva entrata degli Onslaught. Ed arrivati a questo punto della serata, dobbiamo purtroppo calcare la mano su un elemento che ha rattristato molti presenti all’evento, compreso il sottoscritto; l’assoluta mancanza di partecipazione. Salvo alcuni ritardatari che sono giunti poco prima del main event, il locale era pieno neanche per metà, con una folla di persone che quasi sicuramente non superava le 30/40. Ora, nessuno qui vuole puntare il dito su questo piuttosto che su quello, né tantomeno sugli impegni personali di ogni individuo (considerando che un concerto domenicale è sempre una bella spina nel fianco, causa impegni lavorativi il giorno dopo e tutto il resto), ma per come la vedo io, non dobbiamo poi lamentarci che “nel nostro paese non viene mai a suonare nessuno di famoso!”. Passi per i grandi eventi estivi, dal defunto Gods Of Metal al Sonisphere al Rock in Roma e tutti gli altri, ma se si va bene a scavare nel sottobosco, si trovano delle piccole chicche per appassionati, concerti organizzati in locali non troppo grandi (come il Cycle stesso), che ti permettono di vedere live alcune delle realtà più importanti del Metal mondiale, ed anche se non sono i Metallica, si parla comunque di soggetti che hanno lasciato la loro ferrea e pesante impronta sul suolo della storia. Polemiche a parte dunque, su cui possiamo stare a discutere quanto vogliamo, ma una conclusione statica non la troveremo mai, anche i MainPain giungono alla fine del loro concerto. Un’attesa di pochi minuti quella che separa la fine della band di supporto, al main event che tutti stavamo aspettando; il tempo di una sigaretta e dobbiamo rientrare, il fumo delle macchine sul palco sta iniziando a creare la lugubre atmosfera per l’entrata della band. Poco dopo sentiamo in lontananza, e poi sempre più forte, il rumore di alcune sirene antiaree, che ci fanno piombare direttamente al centro di una apocalisse, come se un olocausto nucleare fosse lì per arrivare ed investirci. Le sirene man mano si fanno più flebili, mentre vediamo salire sul palco prima Michael Hourihan (in forze alla band dal 2011) dietro alle pelli. L’ex Desecrator e Parricide si posiziona senza maglietta, con i suoi occhiali da sole scuri, e senza capelli, sul lucido sgabello della batteria, pronto a scatenare l’inferno. Poco dopo un boato fragoroso accompagna l’ingresso di Nige Rockett, mastermind e vera leggenda della musica, seguito a ruota da Jeff Williams (entrato in formazione nel 2009, ed uno degli elementi di spicco della nuova formazione degli Onslaught), ed infine l’ultimo arrivato, Mr GT Davies, entrato nel 2015 ed ex frontman/chitarra degli Endeavour. Una volta che la formazione strumentale è al completo, roboanti pennate di GT e Nige fanno subito capire al pubblico che il vinile di The Force è stato messo sul piatto; partiamo infatti con Let There Be Death, traccia numero uno del disco. L’inferno si scatena davanti ai nostri occhi, luci stroboscopiche e fari rossi come il sangue fanno da apripista alla band che suona in maniera forsennata e senza ritegno, mentre dall’ombra emerge la corpulenta figura di Sy Keeler, che immediatamente ci vomita in faccia le sue parole di disappunto. Il tono alto e pieno di carisma, le mani che si muovono a mo’ di cerchio per richiamare un mosh pit (che nonostante i pochi presenti si scatena comunque), danno un’energia straordinaria al sound prodotto, andando a sparare direttamente in faccia ai presenti una vera cascata di note. Il pezzo prosegue la sua corsa alternando alcuni riff di GT (che si rivela essere davvero un ottimo acquisto per il gruppo; la sua tecnica è sopraffina, mani veloci e precise che salgono quel manico come se fosse un prolungamento di sé stesso) e Nige stesso (la cui meravigliosa chitarra con la scritta “Viva la Hate”, letteralmente “Viva L’Odio”, campeggia proprio di fronte alla mia faccia) e facendoci muovere la testa come impazziti. Neanche il tempo di un saluto al pubblico da parte di Keeler, che subito veniamo rigettati nella mischia con Metal Forces, traccia numero due. Ci accorgiamo dunque che i brani non sono affatto mischiati, ma sono suonati esattamente nell’ordine in cui appaiono nel CD e nell’LP originale (che chi vi sta scrivendo, neanche a farlo apposta, ha acquistato nella sua edizione primordiale il giorno prima del concerto, aggiungendolo alla sua collezione). I toni si fanno ancor più accesi, e quel ritornello cantato a tono altissimo, seguito da tutto il pubblico, continua a ricordarci perché siamo lì, quel “Metal Forceeeeeeeees!”, che Sy riesce a tenere con la voce per svariati secondi, urlando come un matto, ci manda in estasi ad ogni nuova pronuncia. Nel frattempo notiamo anche il sagace carisma di Jeff, che cerca sempre l’attenzione del pubblico, mentre il fondatore, Rockett, è decisamente più riflessivo, concentrandosi sulle sue mani, anche se non disdegna qualche passaggio di occhi al pubblico, ed urli di incitamento. Ormai sappiamo che la scaletta è in ordine perfetto, e quindi sappiamo anche che cosa ci aspetta adesso; altrettante pennate di sei corde all’unisono aprono a Fight With The Beast, uno dei pezzi più amati dell’album. Una vera e propria pioggia di Thrash Metal suonato a velocità incredibile che si abbatte sopra le nostre teste, la band continua ad incitare il pubblico, volano alcuni spintoni, cerchi che si formano e si disgregano, ma niente di eccessivo (considerando sempre il numero esiguo di partecipanti). Il lato A del disco viene chiuso, ed a questo punto la band si concede un attimo di rifiato per parlare col pubblico; Keeler chiede come stiamo, accenna ad alcuni ringraziamenti per essere venuti fin lì per loro, e notiamo a questo punto un elemento molto importante, la grande umiltà di questa band. Nonostante siano sui palchi dal 1985 come band Thrash, e dal 1982 come band Hardcore, tutti i componenti mantengono una tranquillità ed una umiltà di fondo davvero straordinaria, soprattutto verso il pubblico. Lo si capisce bene da tutte le mani strette durante le canzoni, e dall’ampia disponibilità a foto e chiacchere che hanno dimostrato dopo il concerto. Le parole di saluto vengono chiuse dall’annuncio e dalla successiva esecuzione di uno dei pezzi più oscuri di The Force, Demoniac. Qui andiamo leggermente a ripercorrere gli esordi della band, nonostante la voce alta e gutturale al tempo stesso di Keeler, ci ricorda bene quale sia il nostro posto in quel momento. Il brano corre, i riff di chitarra si sprecano, e sentiamo bene qui la tecnica di GT, che si piazza davanti al pubblico iniziando un furente tapping sulle corde, veloce e preciso come un cronometro. Subito in allegato, appena suonata l’ultima nota, troviamo Flame Of The Antichrist, ed anche qui il pubblico va in visibilio, con quel roccioso ritornello che viene cantato a squarciagola da tutti i presenti (me compreso), ogni volta che Sy accenna a “Holy priest he prays in vain the winds of death now blow, flame of the Antichrist!”, nonostante la poca presenza, il locale sembra spaccarsi in due sotto i colpi della band e del pubblico stesso, corna e pugni al cielo ad incitare la band, ne viene scandito il nome, ed i vari “oh, oh!”, del pubblico si sprecano per questa straordinaria formazione. Perfino persone che erano con me e non li avevano mai ascoltati dal vivo (e pochissimo in studio) sono rimasti piacevolmente colpiti dal carisma e dalla tecnica di questa band, soprattutto dalle due sei corde, ed ovviamente dalla lisergica voce di Sy. Giungiamo dunque a Contract In Blood, altra chicca del disco; si continua a saltare come pazzi durante ogni nota suonata, il pubblico si infiamma, chiede ancora sangue e violenza, e gli Onslaught la propinano senza scomodarsi troppo, ma semplicemente dandoci un sonoro pugno nei denti suonando a volume alto e con una enorme tecnica di base. Lo stesso accade per la traccia successiva, che va anche a chiudere la setlist di The Force, parliamo di Thrash ‘till The Death. Qui forse parliamo del pezzo che, assieme a Metal Forces, tutti stavano aspettando; è un inno alla nostra musica, un feroce inno cantato a squarciagola condito da passaggi di chitarra veloci e devastanti, il tutto sormontato da un ritornello che ha fatto la storia. L’album è ormai giunto alla fine, ma non può esserci soltanto mezz’ora di esibizione e poco più; infatti, appena terminata l’ultima nota del pezzo, Sy prende la parola e ci fa tornare con la mente a Power From Hell, grazie alle possenti note di Death Metal, traccia numero sei che chiude il lato "Death" del disco. Un pezzo che è stato ri-editato leggermente, per permettere soprattutto a Sy di interpretarlo nella miglior maniera possibile, e con il massimo impatto. Il coro, ormai divenuto celebre e su cui si accese la diatriba anni fa per la comparsa della parola "death metal", vinta poi dai Possessed, fa andare letteralmente in fiamme gli animi degli astanti, e continua a farci sognare. Sy a questo punto prende il microfono e ringrazia nuovamente il pubblico per essere intervenuto, raccontando anche che l’ultima volta che erano venuti in Toscana a suonare era il lontano 1987, di spalla ai grandi Motorhead (qualcuno mi ha accennato che suonarono al PalaSport di Scandicci, la mia città natale, e penso che sia abbastanza sicura la notizia, del resto, perfino i Manowar ci suonarono, molti molti anni or sono), e che quindi gli sembrava giusto fare un balzo in avanti al 2007, al disco che li ha nuovamente consacrati dopo la storica reunion del 2004. L’album è Killing Peace, uscito per la Candlelight Records, e da questo gli Onslaught hanno estratto la title track. Volendo fare un rapido confronto, i nuovi brani si discostano leggermente dagli storici per una più massiccia dose di violenza, anche se mai fine a sé stessa, condita da altrettanti toni marmorei della chitarra, e dalla voce di Keeler che non va più così spesso sugli acuti, ma rimane sui toni più cavernosi. Un altro grande pezzo comunque, e testimonianza della fiamma che arde nei cuori della band, che non si è mai spenta del tutto e li ha convinti a ritornare sul palco dopo tanti anni. Da qui facciamo un ulteriore balzo in avanti, all’ultimo disco pubblicato fino a questo momento dal gruppo, VI, datato 2013. Una enorme iniezione di Thrash suonato come si deve, e dal quale la band ha estratto uno dei pezzi/simbolo del disco, la grandissima 66’Fucking ‘6; si tratta dell’ennesimo calcio nei denti anfibiato, di quelli che fanno davvero male, con un ritornello energico e che ti rimane in testa quasi automaticamente, senza neanche bisogno di sforzarsi. L’energia maligna degli Onslaught certo non si ferma qui, ed infatti arrivano gli Encore a fare da cornice finale a questo concerto immerso nella precisione assoluta. Sy riprende la parola, e ci fa tornare con la macchina del tempo per la seconda volta agli albori del gruppo, a quel demone infiammato con l’ascia che nel 1985 sconvolse le menti di migliaia di ascoltatori, è il momento di Onslaught – Power From Hell. Leggermente modificata dalla sua versione originale (principalmente per la presenza di un altro frontman a cantarla), Sy, Nige e soci riescono a svecchiare perfino un brano come questo, donandogli molta più tecnica e precisione di quanto le giovani menti della neonata band avesse fatto tanti e tanti anni fa. Una enorme suite demoniaca che manda in estasi il pubblico, che finisce di scatenarsi e sparare le ultime cartucce di mosh pit rimaste nel caricatore. Cartucce che vengono ulteriormente sparate quando viene suonato il brano successivo, sempre tratto da PFH, ed uno dei brani più devastanti di tutta la loro discografia, Thermonuclear Devastation. Una infusione di Thrash fortemente spostato verso la parte Hardcore del genere, a cui Keeler da la sua personale impronta come per la title track, discostandosi dalla versione originale di Mahoney. Impronta che però non sminuisce affatto il pezzo, anzi, lo rende forse ancora più appetibile ed avvincente, i due minuti e poco più che lo compongono diventano una enorme danza di morte che il pubblico fa con la band, al massimo volume e con la massima cattiveria possibile. Setlist che sembra finita, e la band se ne va scomparendo dietro le quinte; ma tutti sappiamo che è solo un trucco, lo vediamo di continuo durante i live; ed infatti al grido di “We want More”, cantato dal pubblico, la band rientra sul palco. Riprende nuovamente la parola Sy, tornando a raccontare di quel grande tour del 1987 con i Motorhead, ed offrendo il suo personale tributo alla scomparsa del grande Lemmy, “the only, the best”, parafrasando le sue stesse parole. Ed il tributo non è solo parlato; per chiudere in bellezza, omaggiare una delle più grandi rockstar di tutti i tempi, ecco che gli Onslaught concludono la serata con una cover di Bomber dei Motorhead ovviamente. Il pezzo corre come se fosse impazzito, il riff circolare che lo compone arriva anche esso dritto nel viso, e Sy, senza mai scimmiottare Kilimister una sola volta, da il suo personale saluto all’amico e collega intonando il pezzo a modo suo, senza snaturarlo, ma anzi, dandogli una impronta personale davvero bella (e se ve lo dice uno che non è affatto fan atavico dei Motorhead, potete crederci). La canzone era stata rilasciata anche in un singolo, nel 2010, assieme a The Sound Of Violence, come prequel a Sound Of Violence, quinto album del gruppo uscito nel 2011.
A concerto finito, dopo i saluti, le foto e le strette di mano di rito, cosa dire di questo evento? Beh, al di là della polemica sollevata poc’anzi sulla poca, anzi, pochissima partecipazione al concerto, l’evento in sé per sé è stato preciso, bello ed esaustivo in ogni sua parte. Dalle band di supporto, a cui va il ringraziamento di tutti per aver scaldato il palco prima del main event, all’encomio speciale per i MainPain, di cui tutti (o almeno chi come me non li aveva mai sentiti) è rimasto piacevolmente sorpreso dalla loro esibizione così piena di vita e tecnica. Sugli Onslaught c’è poco altro da aggiungere; devastanti, precisi, tecnici, sagaci e tanti tanti altri aggettivi, che comunque non basterebbero a descrivere una delle realtà più famose del Thrash Metal mondiale. Spesso dimenticati da altrettanti fan, sono invece amati alla follia da coloro che sanno scavare quel tanto che basta in più all’interno della musica, per arrivare a carpire che non esistono “solo i Big 4”, a cui va comunque riconosciuto il dorato ed eterno merito di essere stati i primi fra tutti. Più si va nel sottobosco, e più si scoprono band geniali ed uniche come gli Onslaught, che si sono sempre immolati per la causa senza mai perdere colpi, ed a cui il successo mai oltre una certa soglia, ha permesso di superare indenne le ere musicali senza perdere smalto (un discorso simile può essere fatto anche per tantissime altre band; dagli Overkill agli Exodus, passando per i Testament ed innumerevoli altre). Dunque un live che sicuramente porterò sempre nel cuore come uno dei migliori concerti mai visti (e da sfegatato fan della band, non poteva che essere così). Agli Onslaught posso solo dire “grazie”, per aver voluto fare questo gradito regalo ai fan; risuonare per intero uno dei loro caposaldi e dischi più memorabili, è stato un ottimo modo per chi non lo conosceva di capire che cosa fosse e di cosa stessimo parlando. Mentre per chi come me lo ha consumato fino a finirne i solchi sul piatto, è stato un piacevole e corroborante tuffo nel passato di una band che la storia, seppur in sordina molto spesso, l’ha scritta.
1) Let There Be Death
2) Metal Forces
3) Fight With The Beast
4) Demoniac
5) Flame Of The Antichrist
6) Contract In Blood
7) Thrash 'till Death
8) Death Metal
9) Killing Peace
10) 66 'fuckin '6
11) Onslaught - Power From Hell
12) Thermonuclear Devastation
13) Bomber (Motorhead Cover)