JUDAS PRIEST + UFO

Live @PalaBam (Mantova 11/05/2012)

Epitaph Tour

A CURA DI
PAOLO VALHALLA RIBALDINI
15/05/2012
TEMPO DI LETTURA:

recensione

UFO di Alle Royale

Questa volta, prima ancora di qualsiasi mezzo di comunicazione informatico, a salvarci la serata è stato il buon vecchio passaparola; eh si, perché senza un giro di telefonate che ha attraversato buona parte delle regioni del nord Italia per arrivare fino all’entroterra Veneziano da cui siamo partiti alla volta di Mantova, ci saremmo sicuramente persi buona parte dello show degli Ufo che, contro qualsiasi ragionevole previsione, hanno cominciato il loro set alle 19.30, quando ancora gran parte del pubblico era accalcato in coda per entrare o si stava tranquillamente rifocillando con birre e panini dopo qualche lungo viaggio. Quando i leggendari rockers salgono sul palco il Palabam è ancora semideserto, ma il pubblico presente non si fa certo pregare per tributare una vigorosa ovazione a Phil Mogg e compagni che esordiscono nel migliore dei modi, ripagandoci del nostro entusiasmo con un’ intensa versione di "Mother mary", tratta dall’album "Force it" del ’75; Phil Mogg trasuda carisma da ogni poro, e anche se a volte il passare degli anni si fa sentire nei passaggi vocali più impegnativi, la sua padronanza del palco e la sua sicurezza e confidenza con qualsiasi brano fanno si che tutto fili liscio e convincente. Senza neppure il tempo di realizzare di trovarsi davanti ad un fondamentale pezzo di storia del rock, veniamo percossi in mezzo al petto dalla precisa e potente batteria di Andy Parker che tiene alto il ritmo con ben due estratti dall’ultima fatica della band, l’ottimo "Seven deadly sins" (che trovate puntualmente trattato nella sezione recensioni): "Fight night" e "Wonderland" non fanno che confermare lo stato di grazia attraversato dal gruppo, con uno strepitoso Vinnie Moore sugli scudi per tutta la durata di un set in cui il virtuoso Americano può dare sfoggio senza limiti di tutto il suo bagaglio tecnico, al punto che più di una volta si è colti dal dubbio se tutto lo spazio che viene concesso alle sue escursioni soliste sia dovuto al fatto che gli UFO si rendano effettivamente conto di aver pescato un asso dalla manica, oppure sfruttino il suo infinito arsenale di "munizioni" per dare tempo a Phil Mogg di riprendere fiato. Dubbi o meno, la cosa funziona a meraviglia, e così si susseguono classici immortali come "Let it roll", "Only you can rock me" cantata a squarciagola da tutti i presenti, l’emozionante "Love to love", le eterne "Too hot to hadle" e "Lights out", e un’estenuante versione di "Rock bottom", estesa all’inverosimile per dar spazio a tutto l’estro chitarristico del buon Vinnie, ma anche, probabilmente, oltre la misura ragionevole, visto che gli UFO sono costretti a chiudere il set senza il tempo di suonare altri due classici d’ordinanza come "Shoot shoot" e soprattutto "Doctor doctor", attesa da tutto il pubblico come suggello di una performance che fino a quel momento più che convinto i presenti, li aveva esaltati. Poco male, gli UFO lasciano il palco in modo trionfale, osannati e tributati di tutti gli onori, dimostrando di essere ancora una delle più grandi rock band sul pianeta; credo onestamente che solo i Judas Priest e pochi altri potrebbero entrare in scena dopo uno spettacolo del genere senza timore di sfigurare.

JUDAS PRIEST di Paolo Valhalla Ribaldini

Forti del successo mondiale dell'Epitaph Tour, in marcia ormai dalla primavera 2011, i Preti non si accontentano ancora di lasciare le scene e sbarcano in Italia per un ulteriore giro di giostra prima di spegnere i riflettori. Mistero sul perché cada la scelta sul PalaBam di Mantova, struttura da 4000 posti dalla dubbia attitudine a contenere il pubblico, la scenografia e la potenza sonora di un gruppo come i Judas Priest. Forse il management della band non si aspetta un pienone (visto anche il risultato di vendite piuttosto contenuto del Gods of Metal milanese dell'anno scorso) e punta sul sicuro con un palazzetto di dimensioni ridotte. Fatto sta che per un mantovano vedersi venire i Metal Gods a Mantova suona strano, molto strano...
Tanto per gradire, l'Epitaph Tour Bis è presentato come l'occasione perfetta per dare l'addio agli stage con concerti mai visti, con brani mai suonati nella scaletta live e con un trionfo di metallo. Fiduciosi di godere di siffatta manna, ci immergiamo nel calderone di Rob Halford e soci. Ci si aspetta roba potente, tipo "Loch Ness" da Angel of Retribution, o comunque qualche perla nascosta e mai ritrovata negli abissi della Priest-discografia. Senza parlare degli effetti speciali hollywoodiani che ogni buon fan reclama dai propri beniamini, soprattutto dopo proclami battaglieri come quelli sul sito di LIVE! e band. C'è da chiedersi, e con approfondita dovizia di riflessione per giunta, un paio di cose su questi lunghi addi nel rock... Prima di tutto, sorge spontaneo domandarsi la motivazione di un tour di congedo lungo due anni e per giunta partito come molto più breve, addirittura inficiato in credibilità dalla storiella "è l'addio, ma poi continuiamo in studio, ma poi no si scherzava" (ah, burloni). Soldi? Sponsor? Contratti? Amore per i fans? Nostalgia e difficoltà a lasciare quel che hai fatto per quarant'anni (chiedetelo a un pensionato che ha fatto per tutta la vita la cosa che gli piaceva di più al mondo)? Forse tutto questo insieme.
In più rimane l'interrogativo di un KK Downing che ha mollato la cosa in itinere, sempre per motivazioni ancora oggi non chiarite del tutto, lasciando un posto vuoto e occupato prontamente da Richie Faulkner, chitarrista completo tecnicamente, molto heavy (ricorda un po' Randy Rhoads, un po' Zakk Wylde e un po' lo stesso KK Downing), dotato di ottima stage presence, simpatico e visibilmente animato da grande voglia di fare, ma inevitabilmente "non uno dei Judas Priest". Già al Gods of Metal s'è visto un Richie abbondantemente in grado di rimpiazzare il vuoto a livello chitarristico, trascinatore insieme all'altro "giovanotto" della band, il cinquantunenne Scott Travis, del resto della ciurma formata da nonnetti quantomai arzilli; pur tuttavia, Faulkner non ha inciso mai un album, una canzone, nemmeno una scala maggiore coi Priest, e questo inevitabilmente lo confina al ruolo emarginato di session man, turnista, rimpiazzo, sostituto, tappabuchi, chiamatelo come volete. Certo, un musicista di straordinario talento e carisma, senza dubbio pronto per il salto verso i grandi palchi (già in parte fatto, comunque, al soldo di Miss Lauren Harris, figlia del più famoso Steve. Sì, QUELLA Lauren Harris. Bello e soprattutto giusto, il mondo), ma purtroppo senza alcun diritto a entrare nella storia della band. Promessa per il futuro lanciata nell'Olimpo forse un po' troppo presto, speriamo non ne venga bruciato.
Nondimeno, il proclama di una setlist esotica e mai sentita attira notevole curiosità, così come le dicerie di un paio di nuovi pezzi che verranno suonati dal vivo e che saranno contenuti in un fantomatico album in uscita. A giudicare dalle esibizioni fuori Italia dei giorni precedenti, i fans speranzosi vanno incontro a una grossa delusione...

Parlando del concerto, non si può non lodare la straordinaria puntualità con cui comincia lo show dei Judas Priest (preceduti dagli opener UFO, anche loro vecchie glorie del rock in giro da un sacco di anni). Alle 21 precise viene mandata on air "War Pigs" dei Black Sabbath, onorevole tributo con cui i Metal Gods usano ormai aprire i loro concerti. "Battle Hymn", strumentale tratto da "Painkiller", introduce l'accoppiata al fulmicotone "Rapid Fire" & "Metal Gods", un po' lente nel tempo ma molto potenti ed aggressive (la prima a dir la verità sembra quasi una versione da studio dei soli di chitarra); Halford appare in ottima forma, la band suona veramente dal vivo senza click e senza valanghe di effetti digitali, dimostrando così di essere ancora totalemente adatta a palcoscenici importanti ed esigenti. Una sonora ed entusiasta "Heading Out to the Highway" esalta la folla, ma comincia a farsi largo un tremendo sospetto in chi, come il sottoscritto, ha ingenuamente evitato di documentarsi sulle scalette delle esibizioni precedenti: non è che questi rifanno paro paro lo show di giugno scorso al GoM e di canzoni "diverse" non se ne vede manco mezza!? Provo a profetizzare il pezzo successivo, memore della setlist di undici mesi prima, ed ecco che la magia si compie: una violenta "
Siccome nell'Epitaph Tour qualcuno ha deciso che bisogna suonare almeno un pezzo da ogni album (con Halford, ovviamente: mica pretenderete che si suonino i pezzi con Ripper!?), eccoci deliziati con "
"Breaking the Law" è del tutto cantata dal pubblico, poi le doti di Scott Travis vengono esaltate da un poderoso solo che non può che introdurre "Hell Bent for Leather" e "
Il giudizio sul live show ricalca in buona parte quello già espresso in occasione del GoM 2011: Halford ancora in forma invidiabile tenuto conto dei suoi 61 anni sul groppone; Glenn Tipton sicuramente meno elastico e veloce di un paio di decadi fa ma ancora in forma (sembra pure dimagrito) e in grado di sfoggiare il proprio talento straordinario che ha segnato la storia del rock; Scott Travis più tirato ed asciutto che mai, sempre potentissimo e preciso nel drumming, attento a seguire quel paio di disattenzioni delle chitarre, partecipe nei confronti del pubblico: i Judas moderni ruotano musicalmente attorno a lui; Richie Faulkner più integrato nel sound del gruppo e sicuramente non avaro di virtuosismo e mestiere; Ian Hill come al solito discreto ma fondamentale musicista al servizio di una grand band con il suo modo di suonare semplice ma al contempo inimitabile e completamente adatto al contesto sonoro in cui si trova. Insomma, sulla band poco da dire, anzi bisogna riconoscere che il bilanciamento sonoro è superiore a quello dei festival, che tutti reggono ancora egregiamente per tutto lo show, che il gruppo suona rigorosamente live con un supporto abbastanza contenuto da parte della tecnologia (giusto gli acuti di Halford sono qua e là vistosamente effettati, ma ormai ci siamo abituati e francamente di più non sarebbe giusto pretendere). Però la scaletta uguale a quella di un anno prima è uno sgarbo abbastanza imperdonabile nei confronti dei fans... Già l'idea di spremere il limone prolungando l'addio di un altro anno con comunicati stampa ogni volta revisionisti e contraddittori non getta una buona luce sui Metal Gods, in più non aver fatto neanche la fatica di modificare un po' la setlist ha un po' il sapore della beffa nei confronti di tutti quei fan convinti, sia un anno fa che nel 2012 (gente che quindi ha comprato il biglietto due volte), di essere davanti all'assordante e glorioso canto del cigno di una delle band più meritevoli e talentuose che abbia mai calcato i palchi mondiali. Un altro trionfo indiscusso e meritato per i Judas Priest, un grande spettacolo ancora una spanna sopra al 99% del resto dei live show, una garanzia assoluta di emozione e qualità. Un saluto commosso, acclamato e sincero, ma (anche stavolta) è davvero l'ultimo?

Setlist

  1. War Pigs [Black Sabbath song] / Battle Hymn [Painkiller] / Rapid Fire [British Steel]
  2. Metal Gods [British Steel]
  3. Heading to the Highway [Point of Entry]
  4. Judas Rising [Angel of Retribution]
  5. Starbreaker [Sin After Sin]
  6. Victim of Changes [Sad Wings of Destiny]
  7. Never Satisfied [Rocka Rolla]
  8. Diamonds & Rust [Joan Baez cover]
  9. Dawn of Creation / Prophecy [Nostradamus]
10. Night Crawler [Painkiller]
11. Turbo Lover [Turbo]
12. Beyond the Realms of Death [Stained Class]
13. The Sentinel [Defenders of the Faith]
14. Blood Red Skies [Ram It Down]
15. The Green Manalishi [Fleetwood Mac cover]
16. Breaking the Law [British Steel]
17. Painkiller [Painkiller]
18. The Hellion / Electric Eye (encore 1) [Screaming for Vengeance]
19. Hell Bent for Leather (encore 2) [Hell Bent for Leather / Killing Machine]
20. You've Got Another Thing Comin' (encore 3) [Screaming for Vengeance]
21. Living After Midnight (encore 4) [British Steel]


 

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