IRON MAIDEN
"The Book of Souls Tour 2017", 27-28 Maggio 2017. Live in "O2 ARENA" (London, U.K.)

DIEGO PIAZZA
01/06/2017











recensione
Nell'autunno del 2016 gli IRON MAIDEN avevano annunciato la seconda parte del “The Book of Souls World Tour”, dedicato principalmente all’Europa ed in particolare alla Gran Bretagna (e più avanti Stati Uniti), suscitando un enorme entusiasmo nel popolo albionico, visto che era da ben sette anni che la band capitanata da Steve Harris era solita presenziare solo ad un mega-festival nella propria nazione, alternando Donington a Knebworth. Oltre a tornare in città come Leeds, Nottingham e Cardiff (non certo metropoli), gli Iron Maiden hanno per forza di cose toccato anche le principali città inglesi (oltre che Dublino in Irlanda): da Birmingham a Manchester, da Newcastle a Liverpool. Per quel che riguarda il resto del nostro continente, con la prima data del tour i Maiden hanno deciso di rendere omaggio al Belgio, concerto tenuto nientemeno che nella bellissima Anversa; ai “soliti fortunati” fan tedeschi è invece toccata (addirittura!) la doppietta Francoforte / Oberhausen, oltre che una data in quel di Amburgo. I biglietti sono andati a ruba, e proprio per questo sono stati aggiunti in coda alcuni show supplementari, come la conclusiva data di Londra, nella straordinaria “O2 Arena”, dove noi di Rock 'n' Metal in My Blood abbiamo presenziato. Giornate delle quali siamo pronti ad offrirvi il solito resoconto! Sabato 27 e Domenica 28 maggio la “Cattedrale” degli Iron Maiden diventa dunque l'immensa arena di Greenwich, sud di Londra (ventimila posti), location contornata da un circondario di locali in cui bere e mangiare; situazione che molte città europee dovrebbero trovare non poco invidiabile, a parer mio (pensate al Forum di Assago, dove ci può fermare a mangiare prima...? ). Insomma, le premesse perché questo soggiorno si riveli indimenticabile ci sono tutte... anche se i concerti degli Iron Maiden nella capitale londinese giungono in una delle settimane più tragiche per la Gran Bretagna, negli ultimi anni. Lunedì 22 maggio, cinque giorni prima, alla Manchester Arena attorno alle 22.30 un terrorista si è infatti fatto saltare in aria nel momento del deflusso del pubblico durante il concerto della giovane Ariana Grande. Ventidue morti il bilancio e moltissimi feriti, straziante il fatto che si tratta nella quasi totalità di minorenni; l'assurdità e la ferocia del fanatismo ha causato l'ennesimo tributo di sangue, che molti innocenti hanno dovuto assurdamente pagare. Chiaro il fatto che, per chi come noi e voi, cari lettori, vive e respira musica rock/metal e che di conseguenza assiste a tanti concerti nel corso dell’anno, i fatti orribili del “Bataclan” di Parigi avevano già causato un ferita profonda e tutt’oggi sanguinante; immaginiamoci ora quale potrebbe essere il clima, dopo quello successo a Manchester. Anche il management degli Iron Maiden, dopo le condoglianze porte alle vittime e lo sgomento generale, si è posto la domanda se continuare o meno il tour UK, che prevedeva anche una tappa in Galles, a Cardiff, prima delle due londinesi. Un breve comunicato rilasciato in data 24 maggio chiariva che la band avrebbe proseguito il tour inglese, come del resto hanno fatto molti artisti, fin dal giorno dopo l'immane tragedia. Da notare che i Maiden avevano suonato da pochi giorni nella stessa arena a Manchester e, chi vi scrive, ha visto il 21 gennaio di quest'anno uno degli ultimi concerti assoluti dei Black Sabbath proprio in quel di Manchester (e del quale, ricordo, trovate un report sempre qui nel nostro sito). La paura è un sentimento di cui non vergognarsi, ma la risposta del pubblico sarà strepitosa, come vedremo.
Sabato 27 maggio
Un improbabile clima estivo ci accoglie in quel di Londra, siamo in maniche e pantaloni corti come del resto gli abitanti della capitale. Camicie sbottonate ed il solito singolare gusto tutto british in quanto ad accostamenti di colori (chi è stato in U.K. sa cosa intendo) si scorgono in riva al Tamigi, per le strade, nelle piazze. Tutto sembra funzionare come un orologio svizzero... o meglio, come il Big Ben: attraversiamo l'enorme centro commerciale di Westfield, in Stratford, East End di Londra, proprio dove è nata la leggenda degli Iron Maiden a fine anni '70 (poco distante da qui c'è il “Cart & Horses”, pub dove i Maiden suonarono dal vivo decine di concerti agli inizi). Negli anni '70 Stratford era una delle zone più malfamate e pericolose di Londra, tra droghe, violenze e prostituzione, fino a diventare un deposito di treni morti in disuso. Le Olimpiadi del 2012 hanno portato benefici enormi in questa zona di Londra: una bellissima e rinnovata stazione ferroviaria, il “Queen Elizabeth II Park”, un enorme impianto per gli sport acquatici e soprattutto lo Stadio Olimpico ora di proprietà del West Ham United (la squadra di cui Steve Harris è un tifoso sfegatato, tanto da indossare in questo tour una t-shirt con il simbolo rinnovato del suo team del cuore), a fianco la torre in stile arte moderna di Arcelor Mittal, da dove si può scorgere un panoramica non certo banale della City. Dicevamo appunto, nel mentre ci dirigiamo sulla Jubillee Line verso North Greenwich, si ha la sensazione di camminare per un mondo quasi ignaro dei tragici fatti di Manchester: un mondo pieno di famiglie e giovani intenti nel mangiare nei vari fast food, o persone perse in acquisti presso boutique di prestigio... una grande voglia di reagire, di ripartire, di non farsi intimorire. Del resto, signori, questa è la vita. Anche nei momenti peggiori, siamo chiamati ad essere forti. Giunti a Greenwich notiamo ovviamente una marea di t-shirt raffiguranti un’infinita sfilza di copertine, tratte da ogni album ed addirittura singolo degli Iron Maiden. Si è già sparsa la notizia su Facebook di una maglia specifica per l’evento delle due date di Londra... ed è impressionante, appena entrati alla “O2 Arena” (nel complesso generale) constatare come ci sia la classica fila britannica lunghissima per il merchandising ufficiale! Un appunto per chi non è un fan “scientifico” degli Iron Maiden: da qualche anno vengono stampate t-shirt specifiche dedicate alle nazioni che attraversano i Maiden con i loro tour, ed altre ancor più “ricercate”, ispirate alle singole città, come possono essere Parigi, Londra, New York o Chicago. Il fanatismo collezionistico di molti fan ha portato alla ricerca spasmodica di questa particolare t-shirt londinese già molto prima del giorno del concerto (arrivando “troppo tardi”, il rischio di non trovar più taglie “popolari” è tristemente alto!); a ragione, visto che al di là della brama di possesso, questo merchandise presenta disegni molto belli, quasi sempre ad opera del francese Henry Monjeaud e legati ovviamente ai simboli della città specifica. L'anno scorso, finalmente per la prima volta, i Maiden fecero realizzare un maglia evento per l'Italia (Milano, Roma e Trieste, le tre date) che andò subito esaurita (in molte taglie) nelle prime ore del pomeriggio, all'esterno del Forum di Assago. Ecco dunque spiegata l'enorme fila di Londra, non tanto per motivi di sicurezza (qualche rallentamento solo per chi aveva con sé borse e zaini), quanto per accaparrarsi la maglietta feticcio che, non dimentichiamo, si può ordinare sul sito ufficiale ma senza la stampa posteriore con su raffigurate le date. Un modo anche bello per premiare chi era sul posto davvero, lo straordinario turismo mondiale per i Maiden. Il tipico fan anglosassone non ha fretta di entrare subito nell'arena, generalmente sbevazza e mangia fino ad un ora, anche mezz’ora prima del concerto, previsto per le ore 21. Non è così sorprendente, a queste latitudini, trovare durante il gruppo di supporto (in questo caso gli ottimi americani Shinedown) un’arena a dir poco mezza vuota. Un vero peccato, visto che il loro show non è stato certo malvagio. Non è facile catalogare in un etichetta la band di Jacksonville: chiaro il fatto che, in fin dei conti, gli Shinedown siano figli del loro tempo; di conseguenza non mancano all’interno del loro sound alcuni innesti moderni tipici degli ultimi anni. Non il massimo, per un pubblico “purista” come quello della Vergine di Ferro. Bisogna però mostrare sempre la propria onestà intellettuale ed ammettere quanto sia sbagliato ricercare nei gruppi odierni le caratteristiche tipiche dei grandi del passato. I Nostri, per forza di cose, non possono certo assomigliare ad un band leggendaria nata trentasette anni prima, figlia d’altri tempi ed altre epoche. Va poi sottolineato quanto gli Shinedown vadano molto bene in USA a livello di vendite, tanto da potersi permettere l’intrapresa di vari tour da headliner. Il dinamismo dei quattro membri, lo ammetto, mi piace: soprattutto, mi sento di spendere più di una parola d’elogio per Brent Smith, frontman davvero all’altezza della situazione. Plastico, dedito a movimenti quasi studiati ad arte, con le mani spesso sul giubbotto di pelle, in posizioni marziali. Bello il momento in cui il Nostro chiede al pubblico di “spaccarsi in due”, compiendo cinque passi a destra da un lato e cinque passi a sinistra dall’altro: Brent si fa dunque largo con passo veloce fino ai 2/3 dell'impianto, diciamo fino al mixer, ed incita il pubblico sugli spalti a saltare dopo il suo “3”, prima del pezzo successivo. Si potevano scattare selfie e foto a volontà, con il Nostro comunque concentrato sul suo discorso, guardando più che altro in alto. Un modo per farsi conoscere anche dal pubblico europeo. Il suo intercalare “Ladies & gentleman, boys & girls, we are in England !” mi è rimasto in mente anche diversi giorni dopo. La reazione del pubblico è stata reattiva e positiva, ma su questo non avevo dubbi: gli inglesi non sono dei metallari così intransigente ed è difficile assistere a scene di cattivo gusto o peggio lanci di bottiglie; per altro, non ce ne sarebbe stata veramente ragione. Quello che conta sono le canzoni e lo spettacolo sul palco, direi il tutto piacevole, sarò ancora più preciso quando passeremo ad analizzare la giornata di domenica. Il tempo di spostare giù dal palco la strumentazione degli Shinedown e di preparare il palco per lo show successivo, che la band metal famosa del mondo è finalmente pronta per palesarsi on stage: signori, ecco gli Iron Maiden !!! Come sempre è “Doctor, Doctor” degli UFO, band amatissima da Steve Harris, a fungere da prologo; sparata dagli amplificatori con le luci accese, prima che cali il buio e venga presentato il cartone animato introduttivo. Ovviamente, se si parla di Maiden, non si può prescindere dal mostriciattolo mascotte Eddie, protagonista della clip ambientata in una giungla tropicale... dove un enorme mano fa esplodere un cuore pulsante, con effetti dolby surround degni di un cinema! Le luci si accendono sullo stage e si accendo i bracieri ai lati di Bruce Dickinson. Il frontman, con indosso una felpa marroncino, immerge la sua testa coperta dal cappuccio in una cortina fumogena, la quale fuoriesce da un altare posto sotto di lui. “Here is soul of a man” canta Bruce, e la O2 Arena si infiamma quando il Nostro getta il cappuccio all'indietro mostrando la sua faccia e la chioma brizzolata. Con sapienza e timing rodato da moltissime date, il cantante di Worksop dirige le luci verso il pubblico e ad ogni pugno che dà sull'altare corrisponde un forte effetto sonoro, con fiammate ai lati. Già dopo pochi secondi i 20 mila a Londra risultano ipnotizzati dalla sua performance, ed è dunque tempo che il resto della band irrompa sul palco. Nicko McBrain è come sempre sormontato dall’immensità del suo drum set, perso dietro i tamburi; Steve con la solita grinta è già lì a dare il meglio di sé, maciullando il basso Fender griffato con lo stemma del West Ham United; Janick Gers danza sulla destra del palco, Adrian Smith e Dave Murray si collocano a sinistra nelle loro rispettive posizioni. “If Eternity should fail” vede Bruce (come sempre) intento a cantare correndo a sinistra e a destra del palco, chiamando il pubblico con il classico “Scream for me London!”. Solita macchina da guerra oliata ed esperta, gli Iron Maiden non concedono nulla a pignoli e scontenti cronici, lo spettacolo è iniziato in maniera devastante. Un attimo di pausa, al buio e solo con le fiamme ardenti che illuminato lo scenario Maya. Termina una parte registrata, con la voce contraffatta di Dickinson, poi è Nicko a battere i tempi di “Speed of light”, primo singolo estratto dal “The Book of Souls” del 2015. Bruce lancia un urlo lancinante al microfono e il pubblico si scatena per un pezzo heavy rock come difficilmente se ne sentivano, negli ultimissimi album dei Maiden. L'asta del microfono per il frontman è come sempre una sorta di prolungamento delle sue mani ed è estremamente divertente vedere i suoi movimenti sul palco. Sorrisi come sempre splendidi da parte Dave Murray, in posa “plastica”, mentre dall'altro lato Janick si scatena come sempre, sfoggiando pose improbabili. Non c'è tempo di rilassarsi ed ecco forse il giro di basso più famoso del metal pronto ad irrompere, ovvero quello di “Wrathchild”! Irrobustito dal vivo anche dalle tre chitarre, il main riff di questo capolavoro risulta pompato e avvolgente. La gente ne è naturalmente entusiasta: tutti cantano e ripetono con Bruce il titolo del brano per tre volte prima del classico solo in stile Murray. Bruce oramai da qualche tempo scherza sull'anno 1982, un anno in cui molti dei presenti non erano nemmeno nati. Facendo qualche battuta anche sul sesso dei genitori dei giovani presenti, introduce “Children of the Damned”. Adrian alterna la chitarra acustica a quella elettrica, e ad un certo punto il pubblico viene chiamato ad un battimani ritmico, partecipando attivamente. Ottima la performance di Bruce e anche il solo di Adrian Smith, che come sempre si contorce nella sua strana posizione, mentre è intento a suonare. Nicko sancisce con due ruvidi colpi di gong il finale della canzone. Bruce lascia il palco per indossare una maschera da scimmia, atto oramai diventato un must in “Death or Glory”, prezzo scritto dallo stesso Bruce con Adrian. Un altro peluche di scimmia è appeso al collo mentre addirittura lo stesso cantante cerca di distribuire banane ai colleghi sul palco ! Il tutto nasce dalla strofa prima del chorus , la quale recita “climb like a monkey”, cioè “mi arrampico come una scimmia”. In tutto questo, il pubblico mima esattamente il gesto dell’animalesca arrampicata, con le sue braccia. La canzone in realtà è dedicata la Barone Von Richtofen, alias il Barone Rosso, del quale l'appassionato Bruce Dickinson conserva l'esatta ricostruzione del suo celebre triplano Fokker. Le luci rosse sono puntate tutte sul grandissimo Steve Harris, straordinaria icona che sembra non invecchiare mai, sempre con la sua lunghissima chioma! Del resto viene inquadrato perché è tutto suo il ruolo di protagonista durante l’inizio di “The Red and the Black” , pezzo di oltre dieci minuti scritto proprio da lui nell’ultimo album. Non è un pezzo facilissimo da memorizzare o da cantare, è capitato qualche volta che Bruce sia inciampato sulle parole (per carità, sono esseri umani)... ma non qui a Londra, dove tutto sembra andare alla perfezione. Inutile sottolineare l'ovazione totale riservata al pubblico per i Maiden, un pubblico che con i suoi “Ohhh ohhhh ohhhh” non lascia “muto” neanche un secondo del tempo in cui è chiamato ad interagire. Dal vivo, nella lunga seconda parte strumentale, la canzone diventa una sorta di celebrazione del mito maideniano, grazie a vari cambi di ritmo ma soprattutto grazie alle galoppate di Steve, sulle quale le tre chitarre armonizzate dei Maiden creano caleidoscopi musicali di rara bellezza, davvero commoventi. In seguito assistiamo al ritorno di Bruce per il cantato dei pochi versi finali, e ovviamente Steve che riprende il tema di basso iniziale con tanto di mano alzata finale, come se avesse segnato uno dei suoi goal! Il drappo sullo sfondo, raffigurante il celeberrimo soldato inglese con spada sguainata in mano e con la Union Jack nell'altra fanno subito capire che è giunto il momento di “The Trooper”. Bruce sale sulla sinistra del palco, in altro con la giubba rossa e un’enorme bandiera inglese, fissata intensamente prima cantare la strofa introduttiva. Un brano che entra dritto nella leggenda nonché uno dei disegni di Derek Riggs in cui i fan più si raffigurano: non a caso utilizzato anche come artwork per la famigerata omonima birra griffata Maiden, la quale sta vendendo moltissimo in tutto il mondo. Tornando al concerto, i tre chitarristi dei Maiden raggiungono Steve in mezzo al palco, quasi una sorta di piccolo reggimento in guerra. Adrian e Janick all'unisono eseguono il secondo solo, seguiti da Murray, con Bruce che si diverte come sempre a coprire la sua faccia del collega con la bandiera. Un inquietante battito cardiaco seguito da un grido disumano funge da preambolo (uno dei più noti ai fan) per l’inizio di “Powerslave”, title-track del quinto album degli Iron Maiden datato 1984. Bruce si presenta sul palco indossando come di consueto un maschera nera da wrestler messicano, anche piuttosto inquietante per la verità. In passato indossava una maschera piumata resa celebre dalla storica vhs “Life After Death” del 1985. Il suo ingresso è reso spettacolare da una mega fiammata sulla destra del palco, che precede la sua salita sulle scale. Sullo stage come sempre Steve e Janick mostrano una grinta invidiabile mentre Murray e Smith si alternano durante l’esecuzione dei solos, prima che le percussioni di Nicko riportino al combo “strofa + chorus” finale. Nel sound orientaleggiante del finale Bruce leva la maschera e si rivolge con le mani al cielo, mentre Steve “mitraglia” le prime file con il suo basso. Pochi secondi di pausa e il basso di Steve detta la sua legge: tutti riconosco il nuovo brano “The Great Unknown”, per la prima volta proposta dal vivo ad Anversa, fine aprile 2017. La performance di Bruce alla voce (e direi di tutta la band) è notevole, molto fedele al pezzo studio... anche se il sottoscritto non l’ha apprezzata moltissimo, a dir la verità. Ho comunque visto molta gente felicissima per questa proposta; chiariamoci, non è un pezzo brutto e nemmeno riempitivo, però a mio avviso è troppo simile a tante canzoni scritte negli ultimi anni dai Maiden, con inizia lenti e poi passaggi armonici più veloci ritmicamente, senza una personalità vincente. Dal vivo per altro il cantante ex Samson si diverte un po’ ad allungarne il finale, con il battimani del pubblico, prima di pronunziare l'ultima frase. Bruce prende tempo per uno dei suoi famosi discorsi, ricordando al pubblico che è una delle ultime volte che vedranno la scenografia della civiltà Maya. Civiltà che ha avuto vissuto un periodo dell’oro, brillando di luce propria per poi improvvisamente decadere anche a causa del colonialismo europeo. Il cantante non ha potuto esimersi dal parlare della recentissima tragedia di Manchester, ricordando che i fan dei Maiden non fanno differenza di alcun tipo: sesso, religione e politica... la gente vuole solo divertirsi, stare in compagnia e bersi qualche birra. “The Book of Souls” irrompe con il possente e maestoso riff epico, ben ritmato da Nicko e seguito dalle tre chitarre. Tappeti di keyboards, suonati dal vivo dallo storico tecnico del basso Micheal Kenney, accompagnano le strofe di Bruce che scandagliano i misteri di antiche civiltà, fino al falso ritornello con melodie bellissime di Murray e Gers in evidenza; una splendida rullata di Nicko porta ad accelerare tutta la band fino ai rispettivi solo, fino a quando un Eddie gigante irrompe sulla scena. Sarà anche scontato come “effetto speciale” ma poco conta, visto i fan sono innamorati da sempre della mascotte dei Maiden. La quale prima gioca con Janick, fino ad ucciderlo per finta. Subito dopo alcune prese in giro a Dave ingaggia una battaglia sulla sinistra del palco con Bruce, che nel frattempo ha indossato un mantello verde. Con qualche trucco bieco (tipo ditate negli occhi) Bruce distrae Eddie versione Maya e gli strappa il cuore dal corpo! Prima della fine della canzone, con Eddie umiliato che se ne va con la coda tra le gambe, Bruce /Indiana Jones dopo aver celebrato uno strano rito all'altare corre verso destra e lancia non lontanissimo il cuore al pubblico. L’entusiasmo per la canzone, molto apprezzata dal pubblico multietnico londinese, non si è ancora assopito che Nicko detta i tempi per la mitica “Fear of the Dark”, celeberrima traccia estratta dall'omonimo album del 1992. Tutta la O2 Arena si prodiga in cori maestosi, con luci bianche che scandagliano su facce felici e mani alzate, e come tradizione Bruce fa cantare all'unisono il titolo, prima che poi ritmicamente il pezzo si scateni con tanto di corsa selvaggia di Steve Harris dalla parte opposta dello stage. La canzone conserva tutta una serie di clichè che oramai da 25 anni gli Iron Maiden ripetono: quindi i saltelli di Janick e Steve sul secondo chorus ritmato (ogni tanto si aggiunge anche Adrian), mega cori centrali con Bruce come sempre cerimoniere perfetto e poi ultima strofa e chorus con finale che riprende gli accordi iniziali. “Scream for me London! The Iron Maiden !!!”. L'immancabile invito a gridare per lui e poi Bruce presenta l'inno nazionale maideniano, quella “Iron Maiden” che rappresenta anche il titolo del primo storico album del 1980. Il brano che vede la seconda apparizione di Eddie: dietro il palco e la batteria di McBrain. Si tratta questa volta un enorme testone con tanto di tatuaggi e orecchini, il guerriero Maya che appare sulla copertina dell'ultimo fortunato disco. Bruce saluta e ringrazia il pubblico con il consueto trittico (“from Iron Maiden, from Eddie e from the boys”) mentre Janick lancia e brutalizza la sua chitarra, Dave e Adrian allungano il finale e Steve mitraglia tutti dalla batteria di Nicko. Un esplosione pirotecnica accompagna la fuoriuiscita del testone di Eddie. Davanti allo stage, solito rituale del lancio dei polsini, plettri, copri-piatti, bacchette e quant'altro, nel tripudio dell'arena. Dopo non molto tempo un enorme caprone viene gonfiato sulla destra del palco durante l'intro leggendaria di “The Number of the Beast”: fa davvero impressione e sembra seguirti anche con gli occhi, ma non è certo un fattore – questo – che può intimorirci. Siamo tutti con i Nostri, a cantare con Bruce le prime strofe, prima che le ritmiche portino alle classiche esplosioni di fuochi. Nelle prime file il calore delle fiamme è percepibile, figuriamoci per i sei Maiden già accaldati sul palco! Pezzo che entusiasma e praticamente fisso nel repertorio dei Nostri, belli gli assoli di Murray e Adrian, per non parlare del momento tutto di Steve il quale galoppa sul suo basso prima dell'ultima strofa. Bellissimo anche il finale , soprattutto quando Bruce urla “We will return!”, con le fiammate a chiudere. E' chiaro che la band non ha per i momento nessuna intenzione di smettere: dopo la i problemi di salute di Bruce, risoltisi per il meglio, Steve ha più volte dichiarato che non gli dispiacerebbe fare ancora un disco nuovo. Sembra che l'entusiasmo del bassista abbia contagiato anche gli altri componenti, in un tripudio di ritrovata fiducia nelle proprie capacità. Certo rimane il problema di Nicko McBrain che va verso i 65 anni... anche se problemi non ce ne sono, data l’odierna prestazione offerta. Del resto lo stesso drummer ha detto con grandissima umiltà che la band potrebbe anche proseguire senza di lui in caso di problemi. Ultimo discorso di Bruce, che ovviamente parafrasando “Blood Brothers” torna sul tema della fratellanza dei fan dei Maiden, osservando come sempre bandiere provenienti da diverse parti del mondo. Posso testimoniare che nelle prime file (e non solo) c'è un bella presenza di italiani in questo sabato sera londinese. Seduto sul lato sinistro del palco, Bruce si inventa anche un movimento delle mani un po' in stile Ozzy per un canzone ricca di melodie e passaggi armonici quasi folk, tanto che Bruce sembra quasi danzare come un libellula in certe situazioni. Durante questa canzone, il “disco” con la faccia di Eddie, (posto in cima alla luci) si abbassa e si pone in posizione verticale mostrando per l'ennesima volte le sue nuove fattezze Maya. Al termine di “Blood brothers” le due torri di “pietra” laterali si girano mostrando i sei volti dei componenti degli Iron Maiden (3 a destra e 3 a sinistra) scolpiti con tanto di luce rossa. “Wasted Years” è un pezzo anomalo, se considerato nel ruolo di chiusura dei concerti; tuttavia, è anche giusto dire che siamo definitivamente abituati a questa scelta, dopo almeno 11 date di tour alle quali abbiamo assistito. Pezzo originariamente scritto da Adrian Smih nel 1986 per il grandissimo masterpiece “Somewhere in Time” , contiene anche uno dei suoi più belli assoli del chitarrista, impreziosito inoltre dalle sue backing vocals. Bruce ancora una volta farà di tutto per ostacolare il povere Adrian nei cori, muovendogli il microfono, oppure abbassandolo e alzandolo... e neppure spostarsi su un altro microfono potrà salvare il povero Smith dagli scherzi dell’amico. Battimani e saluti finali per una serata assolutamente vincente, con il sold-out della O2 Arena già anticipato da mesi. Gli Iron Maiden non deludono mai e, credetemi, non è una frase di circostanza. Bruce si ferma più del solito per fare una foto di rito con tutta la band dando le spalle il pubblico, mentre Nicko scivola cadendo all'indietro senza per altro farsi nulla, se non una sana risata. Il deflusso è come sempre gestito in maniera impeccabile da una moltitudine di steward che di fatto ti accompagnano alla metropolitana, per un ritorno scaglionato e tranquillo in cui ho visto solo qualche militare armato a tutto spiano ma niente di clamoroso.
Domenica 28 Maggio
Il clima britannico non si smentisce mai e dopo aver lautamente mangiato con alcuni amici, verso tardo pomeriggio, ho dovuto fare i conti con una pioggia temporalesca che si è abbattuta su Londra; poco male, giusto in tempo per un riposino pomeridiano in albergo. Per altro, una e-mail ha avvisato in settimana i fan del fatto che gli Iron Maiden suoneranno di domenica (in anticipo) alle 20.10. Non una scelta inusuale per l’organizzazione, soprattutto per quanto riguarda gli orari delle metropolitane: intelligentemente si cerca di venire incontro alle esigenza di 20.000 persone, facendo in modo che al termine dello show tutti possano tornare ai parcheggi o ai relativi alberghi, evitando di non lasciare nessuno senza mezzo. Una tettoia permette (anche in caso di forte pioggia) al pubblico di entrare nell'Arena senza bagnarsi, ma il vostro umile cronista non ha di questi problemi, essendosi “sganciato” per l'acquisto della t-shirt event in una bancarella esterna, a pioggia oramai terminata (il rituale della maglietta è stato ampiamente spiegato in precedenza). Una fila non comunque lunghissima è dovuta al controllo di zaini e borsette mentre i non provvisti di suddetti oggetti possono circolare liberamente all'interno della struttura. Raccolti un paio di amici ci dirigiamo subito all'ingresso vero e proprio dell'arena, dove soltanto un passaggio (come negli aeroporti) al metal detector crea brevi file. Certo il paperless ticket è una soluzione giusta per evitare bagarinaggi on- line, il rovescio della medaglia è la tristezza dei fan che si ritrovano di fatto senza un biglietto di ricordo cartaceo, come ai vecchi tempi; pazienza, accontentiamoci del bracciale. Gli Shinedown hanno anch'essi anticipato l'orario del loro concerto e stanno già suonando al nostro ingresso che, come dicevamo ieri, vede ancora molti posti a sedere e in piedi vuoti, con il popolo dei Maiden sparpagliato in tutti i locali per mangiare e bere, locali che pullulano intorno alla location. Hard Rock patinato che talvolta forse addirittura sconfina nel pop rock da classifica, quello della band spalla. Malgrado tutto ho apprezzato “Diamond eyes” (con il super-tormentone "Bloom-lay, Bloom-lay") “Cut the Chord” (di cui se non erro il cantante Brent Smith ha un tatuaggio sul braccio) , “Enemies”, “Sound of madness” e la ballatona “How did you love”. Eric Bass e Zach Myers, rispettivamente basso e chitarra, si muovono moltissimo sul palco, mentre dietro le pelli con i capelli alla Bob Marley, troviamo il batterista Barry Kerch. Durante la sua consueta escursione a piedi in mezzo all'Arena abbiamo aspettato Brent Smith per una stretta di mano, non avvenuta in quanto il cantante è tutto preso nel coinvolgere il pubblico sugli spalti. Ciò non evita il fatto che ovviamente venga fotografato e utilizzato a sua insaputa per vari selfie. Quarta volta che il sottoscritto li vede, sempre come supporto agli Iron Maiden, e devo dire che mi piacciono sempre un po' di più. I ringraziamenti alla Vergine di Ferro non sono mancati, anche per arruffianarsi il pubblico, sebbene non fosse nemmeno necessario; l'accoglienza è sempre stata buona, in tutte le città inglesi. Chiuso il sipario sulla band americana, l'attesa per l'ultimo concerto in terra britannica (di questo 2017) degli Iron Maiden si fa spasmodica. Anziché alle 20.10 annunciate, in realtà le luci si spegneranno intorno alle 20.30. L'isteria collettiva suscitata dalla canzone degli UFO, “Doctor, Doctor” (non in versione live questa volta, forse in studio) deriva come sappiamo dal fatto che i sei Maiden entreranno in scena di lì a poco. Devo dire che l'esecuzione tecnica anche stasera è stata spettacolare: nessun errore, nemmeno minimale delle tre chitarre e tanto meno di Steve. Bruce in grandissima forma sia atletica che tecnico-vocale. Sembra quasi che l'aria di casa gli abbia portato molto bene! Per quando riguarda la scaletta di quest’oggi, apro un piccola parentesi. Non mi aspettavo, conoscendo i Maiden da una vita ed essendo capace di entrare un po' nella loro mentalità, che eseguissero una set-list diversa dal giorno prima. Una regola non scritta dovrebbe almeno garantire il fatto che, quando si raddoppiano in extremis le date in una sola città a distanza di un giorno, si apportasse qualche piccola modifica all’ordine dei brani. Poiché si parte dal presupposto che non siano pochi i malati che come il sottoscritto abbiano fatto “doppietta”. Poco male, la risposta è sempre quella: gli Iron Maiden hanno tutto un complesso scenografico che va dall'impianto luci, ai drappi sullo sfondo e altri dettagli che rendono non impossibile ma complicato il cambiare delle canzoni in scaletta; inoltre credo che la band non abbia voglia di improvvisare ma intenda sempre dare il 100 % in ogni città, rinunciando quindi a voli di fantasia. Il paragone con i Metallica non regge, da anni la band di Ulrich / Hetfield ama cambiare anche più di cinque canzoni per volta durante due date ravvicinate... ma non ha un vera scenografia, anzi proietta le proprie riprese sullo sfondo. Certo esistono comunque artisti come Bruce Springsteen che regalano (si fa per dire) tre ore di musica ai loro fan e spesso deliziando il pubblico con delle vere e proprie chicche, ma anche in questo caso il discorso non regge: non siamo al cospetto né dello stesso genere né di un personaggio simile ai Maiden, tutta un’altra mentalità, ed è anche giusto così. Torniamo però all'interno della “O2 Arena” di questa domenica. Non analizziamo quindi track by track il concerto perché i Maiden hanno eseguito la stessa sequenza di canzoni, ma piuttosto vediamo di sottolineare clima e differenze rispetto a sabato. Prima del discorso di “Children of the Damned” Bruce, da teatrante cronico, si siede su un amplificatore mentre ascolta il classico coro latino “Olè Olè Olè Olè! Maiden! Maiden!” partito spontaneamente dagli spalti; e, ci scommetto, è stato sicuramente un italiano, un francese od un sud americano a lanciarlo, dato che inglesi e tedeschi non sono abituati a performance del genere. Successivamente, il frontman ha ripreso il discorso del 1982 e su quanti non erano ancora nati tra i giovanissimi presenti, da notare che ha cercato spesso di interloquire anche con le balconate più alte, le quali hanno risposto alla grande. Non dimentichiamo che Bruce Dickinson esordì con gli Iron Maiden a Bologna, dal vivo, nell'ottobre 1981. Ma di fatto, a consacrarlo, è stato lo studio album "The Number of the Beast". Ricordiamo inoltre che Bruce si è guadagnato certamente le simpatie dei presenti quando ha ricordato che è stato un errore fare passare così tanto per un tour britannico. Prima del finale, negli encore Bruce ci ha definito dei coraggiosi ad essere venuti ai concerti, visto la tragedia di pochi giorni prima a Manchester; per altro a differenza di Brent Smith che ha chiesto un minuto di silenzio (poi in realtà 30 secondi) per i morti , Bruce ha chiesto al pubblico della O2 Arena il massimo casino possibile, sempre ricordando che un concerto degli Iron Maiden è puro spasso e divertimento, non essendoci spazio per l'odio. Per altro anche in questa seconda data londinese non si è respirata alcuna “cappa pesante”, i mass media come sempre hanno creato ansie che non si sono tramutate in realtà; gente allegra e solita disponibilità da parte del personale degli steward: C'erano in zone strategiche militari ma che non davano assolutamente alito alla solita affermazione di “città blindata”.
Pochi giorni di pausa e la band si ritroverà dall'altra parte dell'Atlantico per le 26 date del tour U.S.A. in compagnia dei Ghost di Papa Emeritus come supporto. Intanto, nel loro paese, i Maiden hanno riscosso l'ennesimo successo non per forza scontato, con pienoni clamorosi e la solita spettacolare professionalità da loro mostrata. Due esempi per tutti: Nicko McBrain ha suonato a Newcastle mentre il figlio Justin veniva operato al cervello; per fortuna è andato tutto bene ma tanto di cappello al grande Nicko, che regalava sorrisi in interventi radiofonici grazie alla sua passione per il biliardo, contemporaneamente con il cuore e la mente accanto al suo familiare. Secondo esempio circa la grandezza dei Nostri: leggetevi, sulla pagina Facebook degli Shinedown o su quella personale di Zack Mayers, ciò che questi musicisti hano scritto sul tour U.K. in compagnia dei Maiden. Veramente da pelle d'oca le loro parole sulla band, sulla crew, ma soprattutto su noi fans! E lo dice uno che è stato in tour con nomi quali KISS e Metallica, e che ha avuto un album al n.5 della Billboard. Davvero bellissimo il loro resoconto, che ci rende tutti ancor più orgogliosi di amare questa straordinaria band che da trentasette anni ci regala emozioni uniche. Lunga vita agli Iron Maiden, dunque... o meglio, UP THE IRONS!!!

Intro: Doctor Doctor (UFO song)
1) If Eternity Should Fail
2) Speed of light
3) Wrathchild
4) Children of the Damned
5) Death or Glory
6) The Read and the Black
7) The Trooper
8) Powerslave
9) The Great Unknown
10) The Book of Souls
11) Fear of the Dark
12) Iron Maiden
13) The Number of the beast
14) Blood brothers
15) Wasted Years

