IRON MAIDEN
"The Book of Souls Tour 2017", 15 Giugno 2017. Live in "Hollywood Casinò Amphitheatre" (Chicago, U.S.A.)

DIEGO PIAZZA
03/07/2017











recensione
Il nostro viaggio per seguire il tour degli Iron Maiden ci porta questa volta nell'Illinois, precisamente a Chicago, la terza città con più abitanti degli U.S.A. Il “The Book of Souls Tour 2017” si è spostato – difatti - dal Regno Unito (dove ha registrato sold out in quasi tutte le città) agli States, dove la band fondata da Steve Harris ha recuperato negli ultimi 15 anni moltissimi fan. Gli anni '90 sono stati molto duri per moltissime band metal, ed anche per un colosso come gli Iron Maiden non fu facile sopravvivervi. Irons provati profondamente, i quali avevano dovuto incassare l'addio di Adrian Smith nel 1989 e quello Bruce Dickinson poi, nel 1993. La reunion del 1999 aveva creato un entusiasmo mondiale, ma negli U.S.A. la Vergine di Ferro non era più considerata un band di primissimo livello; grazie però alla caparbietà dei Nostri ed all’abilità del loro manager storico, Rod Smalwood, oramai da qualche tempo gli Iron Maiden sono tornati ad esibirsi in grandi arene indoor od in anfiteatri all'aperto, location caratterizzate da grandi capacità / possibilità di ospitare elevatissimi numeri di spettatori. Tinley Park è una piccola località a ben 45 km sud-ovest dal centro di Chicago, sperduta in spazi immensi tipicamente americani; i Maiden si sono dunque esibiti all’ “Hollywood Casinò Amphitheatre”, dov’erano già stati del 2010 e 2012 (mentre lo scorso anno il gruppo aveva fatto tappa in città allo “United Center”). Visto dall'esterno l'anfiteatro sembra più un grosso centro commerciale semi-coperto, con dei padiglioni neri che lo rendono bruttino, se scorto da fuori. Giornata calda, direi quasi rovente, l'estate è arrivata leggermente prima anche qui nell'Illinois; intorno alla location sono presenti chioschi adibiti sia alla vendita di magliette che a luoghi di ristoro. I quali, incredibilmente, alle 23 circa chiudono già i battenti, probabilmente per legge, lasciando a bocca asciutta affamati e soprattutto assetati. Ma non anticipiamo i tempi, e torniamo alla fila d'ingresso. Contento di aver vinto il “FTTB” (acronimo di First to the Barrier, primo alla barriera), cioè la possibilità offerta agli iscritti al Fan Club ufficiale di vincere mediante estrazione l'entrata anticipata all'interno delle location, posso accomodarmi tra i primi 30 in modo da essere, proprio fisicamente, attaccato alla sbarra divisoria posta davanti al palco. Certo bisogna avere le pazienza che solo i fan accaniti possono avere, dovendo comunque attendere parecchio prima di poter entrare; inoltre, pur essendo in una zona d'ombra, si comincia un po' a soffrire le calure. Viaggiando soprattutto in Europa si vedono spesso le stesse facce nelle prime file, personaggi che come minimo hanno visto i Maiden 20,30, 40 volte se non di più, con punte da record oltre i 100 e 200. Qui negli U.S.A. ho comunque incontrato un paio di personaggi più o meno noti, dei quali faccio umilmente “parte”, in quanto il sottoscritto (con la data odierna) raggiunge quota 44 concerti. Compio ancora un salto indietro, ricordando che nel primo pomeriggio ho avuto modo di presenziare ad un meet & greet svoltosi in un locale enorme, chiamato semplicemente “Side Street”. Birra “Trooper” a disposizione sia in lattina che alla spina, più l’esibizione dal vivo di un cover band, i Maiden Chicago. Anche in questa occasione ho potuto constatare l’estrema varietà del pubblico, arrivato da ogni parte degli Stati Uniti. Sono giunti per questo concerto persone dal Kansas, dall'Indiana, dall'Ohio, dal Wisconsin... non va dimenticato che, pur facendo i Maiden 25 -26 date negli U.S.A., il territorio è talmente vasto che molti debbono per forza spostarsi in altri stati. Anche perché non sono più i tempi di tour come il “World Slavery”, dove gli Iron Maiden (nel 1985) hanno girato in lungo e largo gli States. Famosi (e citati da Bruce Dickinson nel concerto) furono quel gruppo di fan, i “Chicago Mutants”, resi celebri anche nei ringraziamenti sui vinili e booklet, avendo seguito i Maiden in ogni parte del paese. Mi è piaciuto, parlando proprio di questi die hard fan, osservare i classici metallari, come quelli di una volta, con chiodo o giubbino pieno di toppe, tatuati e con il passo fiero, a testa alta: come se ce l'avessero con il mondo intero. Mai conformarsi al sistema!
Entriamo ora nel vivo della serata. Prima degli Iron Maiden è prevista l'esibizione (come per tutte le date tour) dei Ghost B.C. La band di Linkoping (Svezia) inizia a suonare attorno alle 19.30; un’intro cupa, gotica e malefica, conforme alla teatralità della band, comincia quindi a farsi largo. Alla spicciolata i cinque membri della band, ad eccezione del frontman, salgono sul palco con tanto di vesti nere e maschera argentata, occhi, nasi e bocche sono quasi invisibili. Tobias Forge, alias Papa Emeritus III entra in scena per un ultimo in mezzo ad un cortina di fumo di scena. Sempre con indosso vesti appunto “papali”, si muove quasi con grazia sul palco, in maniera molto teatrale. Devo dire che, come mi è capitato spesso anche in altre circostanze i cui ho visto i Ghost B.C. dal vivo, la voce va e viene... e non credo sia un problema di microfoni. La nuova band di “Ghoul senza nome”, come si fanno chiamare, sembra più reattiva sul palco, meno cerimoniale e statica; anzi, le due chitarre e il basso, più mingherlino dell’ascia, si alternano sul palco con disinvoltura rubando la scena sul palco anche all'Emerito. La reazione del pubblico americano è direi buona, ma il mio parere sui Fantasmi rimane lo stesso: più li ascolto più c'è qualcosa che non mi convince. Sarà che sono di vecchia scuola metal, ma la proposta degli svedesi indugia a mio modo di vedere in elementi eccessivamente “pop”, risultando solo banalmente cattivo, anche nei testi. Come già detto, poi, sulla voce di Forge nutro parecchie perplessità. Concerto finito e come sempre sul palco entra in scena la perfetta organizzazione dello staff dei Maiden: in poco tempo la scenografia Maya viene completata (spicca in alto il cerchio con raffigurato Eddie nel mezzo), qualche roadie si intrattiene anche con il pubblico, mentre tutto viene coperto per il grande inizio. Attorno alle 20.50, dopo la classica introduzione a suon di “Doctor, Doctor” degli UFO (per altro cantata dal pubblico molto meno che in Europa), le luci si spengono... il pubblico si accende con un boato e parte il mini filmato-animato di Eddie perso nella giungla. In prima fila, nella zona “Janick”, è bellissimo vedere le facce dei miei idoli passarmi dinnanzi! Ovviamente però, tutte le luci e gli occhi sono puntati in cima al palco, dove un sacerdotale Bruce (con indosso la sua felpa Venus, un omaggio alla nuova linea di abbigliamento del figlio Griffin) si immerge con la chioma grigia nelle fumerie che fuoriescono da un altarino centrale. Quando il nostro si alza e toglie il cappuccio, la solita ovazione vista in tutti i concerti: il frontman è tornato dalla malattia, più forte che mai! Dopo l'introduzione ecco tutta la band entrare per l'opener dell'ultimo disco “If Eternity Should Fail”. Stranamente Adrian Smith si sposta subito dalla mia parte, mentre Janick Gers inizia con i suoi trucchi e danze davvero impressionanti per un uomo di 60 anni! Lo Zio Steve non manca di venirci a trovare, come sempre carichissimo: maglia del West Ham United, sempre intento a suonare e a cantare le liriche, accompagnando il frontman. Anche Bruce da sopra il palco ripete l'ultimo chorus sopra di noi, ed è bello vedere il grande piccolo uomo polivalente cantare a squarciagola. Straordinario come sempre. L'ultima fase della canzone è registrata con la voce camuffata di Bruce, poi Nicko McBrain detta i ritmi di “Speed of light”, con Bruce che lancia il primo urlo della serata. Con il calare del sole noto piacevolmente quanto il clima sia meno afoso e per giunta, rispetto ad alcune date in cui sono stato in prima fila a maggio (per la precisione Amburgo e Liverpool) non vi è nessuna pressione dietro di me, tanto meno ai fianchi: che goduria seguire un concerto negli U.S.A., lasciamo le scene di fanatismo e i massacri ad altre sedi... insomma, per chi non è più un giovincello come il sottoscritto, tutto si sta svolgendo per il meglio. Tornando al brano, con dovizia Dave e Adrian si alternano agli assoli e Janick già svolazza con la sua chitarra per il rumoroso finale di “Speed of Light”. Il giro di basso più celebre della storia del metal ci presenta “Wrathchild”. Tre minuti, poco meno, di delirio generale: Bruce non lancia più in aria (come ai tempi) l'asta ma sa usarla sempre con intelligenza. Nella parte centrale chiama il pubblico per i cori prima di chiudere con una altro sinistro urlo. Solito discorso di Bruce sull'anno di grazia 1982, anno i cui è stata composta “Children of the Damned”; siamo alle solite, anche se il nostro è sempre bravo a modificare qualcosa della sua introduzione, intanto si chiede quanti tra il pubblico siano nati dopo il 1982, tirando in ballo anche il come siano stati concepiti dai propri genitori. Adrian con la consueta sapienza alterna chitarra acustica a elettrica, mentre Bruce conferma di essere in formissima, vocalmente parlando. Il passaggio melodico centrale delle tre chitarre è tipicamente magistrale in stile Maiden, con Adrian ancora protagonista dell'arpeggio/falso solo prima delle percussioni marziali di Nicko e dell'ultimo disperato verso di Bruce. La band si raduna tutta vicino a Nicko, il quale dà il via ad un pezzo “nuovo” come “Death or Glory”: come già detto per le date londinesi e altre, sebbene la canzone parli delle imprese del Barone Von Richtoffen alias Il Barone Rosso, Bruce oramai si diverte ad entrare in scena con un cappellone fatto a scimmia e qualche banana, che presta a Dave per suonare. Al collo come sempre ha una altra scimmietta di peluche e sulle liriche del bridge, chiede a tutto il pubblico di mimare il gesto di una scimmia, nell’atto di arrampicarsi! La scena ora è tutte per Steve che, con una sorta di solo di basso (come da studio) introduce la lunga ed epica “The Red and the Black”: pezzo non certo facilissimo da cantare, a rischio incartamento per via di un testo ostico, ma adattissimo dal vivo grazie ai vari cori presenti, magistralmente scanditi dal pubblico a suon di “Oh Oh Oh Ohhhh”. Steve è come se fosse un leone fuggito dalla gabbia, si muove a destra e sinistra immune al caldo e alla stanchezza, Janick compie la sua personale danza della pioggia e gli altri due chitarristi non sbagliano una virgola, come metronomi impassibili. La lunga parte musicale è sempre da brividi, da pelle d'oca. Le lunghe divagazioni armoniche e melodiche sono quello a cui un fan degli Iron Maiden anela da sempre; è un piacere dunque assistere a questa sovrapposizione di chitarre e melodie struggenti, fino al breve finale cantato in cui Bruce chiede che qualcuno lo salvi. Anche negli Stati Uniti, come ovunque nel mondo, la visione del drappo con su raffigurato l'artwork storico di “The Trooper” accende l'entusiasmo dei presenti. Bruce sale sopra il palco con la consueta giubba rossa e sventolando la sua Union Jack. Tutti a cantare e come sempre la band riunita come un reggimento, con Steve e i “tres amigos” schierati davanti al palco. Nella seconda parte, come sempre (sopra il sottoscritto) Bruce gioca a coprire completamente la faccia di Janick con la bandiera, chiedendo al pubblico se liberarlo o no. Cambio di drappo, cambio di vestito ed ecco Bruce versione “Powerslave” con tanto di maschera salire come sempre sulla destra del palco dopo una fiammata suggestiva. Muovendosi con la consueta agilità di un quasi sessantenne (!!!) il Nostro corre a destra e sinistra mentre nel mezzo vi è la consueta alternanza nei solo Murray- Smith – Murray. Chiusura con Bruce in posizione sacerdotale in mezzo al palco e Steve a mitragliare con il suo Fender Precision Bass tappezzato dalle insegne del West Ham United. Tutto procede liscio come l'olio, l'oramai macchina da guerra consolidata da una miriade di tour e date in tutto il mondo e la consueta professionalità dei sei Maiden sono antonomasicamente sinonimo di concerto pauroso. Sull'inizio di solo basso di Steve, Bruce chiede un battimani ritmato al pubblico per l'inedita (di questa seconda parte del tour) “The Great Unknown”. Talvolta mi domando quanto sia elevata la capacità di farsi del male, quanto siano alti i livelli di masochismo dei fan: come si può non affermare che il vocalist di Worksop sia addirittura migliorato vocalmente dopo la guarigione dalla malattia? Sappiamo che esiste sempre, nell’ambito, una percentuale di scontenti a prescindere; come se l'essere infelici gli fosse ordinato dal dottore! Sfogo gratuito a parte, il finale della canzone viene come sempre allungato con Bruce che si diverte a stimolare il pubblico e la band che quasi esegue un blues improvvisato su iniziativa di Adrian Smith. A destra del palco le luci sono puntate su Steve e Janick, quest'ultimo seduto con una chitarra acustica: è il momento della title-track dell'ultimo disco, l'epica “The Book of Souls”. Come oramai sa chi ha assistito allo show dello scorso anno in Italia, è la canzone la quale sancisce l'apparizione dell’Eddie camminante, che dopo le consuete sfide con Janick Gers (e un finto sgozzamento di lui con l'ascia) e dopo essersi preso gioco di Dave, ingaggia la battaglia con Bruce. Bruce che nel frattempo è andato nel backstage ad indossare una cerata verde scura. Il front-man, dopo aver astutamente messo due dita negli occhi a Eddie per accecarlo, gli “strappa” il cuore che mostra orgogliosamente al pubblico, viene anche a sinistra dalla nostra parte spremendo l’organo come un frutto; vediamo esattamente le gocce di sangue finto per terra, davvero una bella trovata scenica! Successivamente e come di consueto, Bruce lancia il cuore verso la platea di Tinley Park: immagino il tafferuglio per accaparrarselo, salvo sfasciarlo in più pezzi. Arriva quindi il buio... o meglio la paura, del buio! “Fear of the Dark” è un altra corazzata micidiale, in grado di lasciare morti e feriti negli spalti; Bruce, che ovviamente sia all'inizio che nelle parte centrale chiede la collaborazione del pubblico sui chorus, non è l’unico mattatore del frangente. Nel secondo ritornello, siamo tutti a saltellare con Steve e Janick (a cui si unisce anche Adrian, divertito). L'energia del capitano Bruce Dickinson, pilota di linea professionista, è tanto veemente da lasciare stupefatti. Da dietro le quinte, il cantante lancia il suo “Scream for Chicago !!! The Iron Maiden ”. L'inno consueto degli Iron Maiden, appunto “Iron Maiden”, una sorta di rituale profano della Chiesa Metallica fondata dal reverendo Stephen Percy Harris, profeta di fortuna (“gli Iron Maiden ti prendereanno, dovunque voi siate”, scriveva già nel 1976) viene celebrato dai festanti fan di Chicago: il crapone di Eddie sale da dietro la batteria di Nicko McBrain, la chitarra di Janick vola e viene suonata quasi con i piedi, Steve “mitraglia” ed uccide simbolicamente una dozzina di fan nelle prime file... lancio di plettri, bacchette e polsini, Bruce che ringrazia per i Maiden, Eddie e la crew. Si gonfia nel buio l'enorme caprone sulla sinistra del palco, è il momento del sogno dantesco di Steve, "The Number of the Beast” : le prime drammatiche liriche come sempre sono seguite dal basso e da Murray, prima che subentrino Smith e Gers. Fiamme e fuoco sull'urlo malefico di Dickinson, tutti a cantare il chorus. Nel finale - ovviamente come sempre - Bruce condanna a fuoco Chicago (non c'era bisogno, la città subì davvero un incendio colossale nel 10 ottobre 1871) e soprattutto ricorda per la gioia di grandi e piccini che... “we will return !!”. Scende dall'impianto luci superiore al palco il disco con l'immagine “santa” di Eddie Maya , mentre Bruce con la consueta sagacia presenta “Blood Brothers”: in questo mondo pazzo, in cui ogni politicante pensa a sé stesso, gli Iron Maiden promettono amicizia, fraternità, buona musica e qualche birra insieme; questo è ciò che conta! Da qualche data il cantante propone anche un movimento di mani alzate molto suggestivo, diciamo forse un po' “pop” ma sempre bello da vedere. Mentre Steve e Janick si incrociano e si divertono un mondo nelle loro corse sul palco, Bruce si scatena in una sorta di danza sulle note solari, melodiche e folk della parte strumentale centrale. I torrioni ai lati si girano a mostrare i sei volti incastonati dei Maiden (chi legge ricorderà il disegno interno del booklet), siamo giunti all'ultima canzone, quella “Wasted Years” tratta da “Somewhere in Time” del 1986: sia canzone sia album apprezzatissimi dai fan maideniani. Adrian Smith, che scrisse il pezzo, risulta impegnato in ambito di backing vocals, come sempre sabotato dal “Pierino” Dickinson. Steve non è ancora stanco di correre e cantare a squarciagola le liriche, e nemmeno Janick riesce a rimare fermo un attimo. Conclusione con saluti e nuovo lancio di oggetti di culto vari: sul “volo” di un polsino, un grappolo di fan mi travolge nel tentativo di prenderlo, niente di grave se non ad una lente d'occhiale. Come dicevo, nel deflusso finale non è possibile acquistare nemmeno una bottiglia d'acqua, riesco dunque a capire perché parecchi facevano le scorte. Ogni paese ha le sue regole, premessa. Ma questa, sinceramente, la trovo assurda; tanto più considerano l'arsura della canicola estiva e l'ovvia esigenza dopo diverse ore di attesa per un concerto. Il rischio di trovarsi solo e abbandonato in questa landa straniera, disidratato, mezzo accecato e stanco fortunatamente è stato schivato da un mezzo Uber, ma chi vi scrive rimane sempre impressionato dalla grandezza degli Iron Maiden: davvero, ogni concerto sembra migliore del precedente! Domani saremo a Minneapolis, anzi per la precisione a St. Paul nel Minnesota per un nuova avventura, sempre sulla strada di Eddie e dei suoi sei cavalieri.
Giunti alla fine, non dobbiamo far altro che tirare le conclusioni di quanto udito. Qualcuno ha avuto da ridire sull'utilizzo di un pezzo classico come “Wasted Years”, che non sarebbe adatto – a detta di alcuni - come traccia conclusiva, qualcuno rimpiange la mancanza della famosissima “Hallowed be thy Name” che fino al 2016 veniva costantemente eseguita dal vivo, qualcuno come sempre vorrebbe più pezzi vecchi... accontentare tutti è impossibile, soprattutto constatando quanto eterogeneo sia mondo dei fan degli Iron Maiden; nel quale a parte alcuni punti certi, ognuno ha le sue canzoni e album preferiti. Sul discorso vecchio / nuovo ho sempre ammirato però la coerenza degli Iron Maiden nell’andare avanti, dritti per la propria strada, senza timore alcuno. Scelte che ho sempre difeso, come in occasione del 2006, quando suonarono dal vivo tutto “A matter of Life and Death”. La polemica, di fatto, è anche sterile visto e considerato il fatto che Steve & soci ci hanno abituato ad una splendida alternanza: ad un tour di promozione ad un album nuovo, l'anno successivo o negli anni successivi è previsto quasi sempre un tour di revival, senza album inedito. Ci sarà dunque spazio, sicuramente, per un quindicina (se non più) di pezzi classici. Certo, dopo 37 anni di carriera non penso che rivedremo più né il “World Slavery Tour” o il “Maiden England Tour” (già riproposti per chi allora era troppo giovane o non ancora nato) né tanto meno il meraviglioso regalo che i Nostri fecero ai fan nel 2005, ovvero un tour incentrato sui primi quattro album. Ammesso ciò, chissà che qualche sorpresa arrivi nel 2018, anno in cui molto probabilmente i Maiden si cimenteranno con materiale più classico. Lunga vita in ogni caso a quello che fu il sogno adolescenziale di Steve Harris, questa band non intende mollare un centimetro e anno dopo anno, misteriosamente, non sembra subire i passaggi delle stagioni. Professionisti inappuntabili, anche nel fisico, fondamentale come si presentino sempre più che preparati, alla grande, prima di un tour... e non siano arrivati devastati nell'animo e nel corpo alla soglia dei 60 anni e oltre, come invece è successo per moltissime altre band o personaggi.

Intro: Doctor Doctor (UFO song)
1) If Eternity Should Fail
2) Speed of light
3) Wrathchild
4) Children of the Damned
5) Death or Glory
6) The Read and the Black
7) The Trooper
8) Powerslave
9) The Great Unknown
10) The Book of Souls
11) Fear of the Dark
12) Iron Maiden
13) The Number of the beast
14) Blood brothers
15) Wasted Years

