IRON MAIDEN- The Book of Souls Tour 2016

Live at Telenor Arena (Oslo)

A CURA DI
DIEGO PIAZZA
25/06/2016
TEMPO DI LETTURA:
10

recensione

Gli Iron Maiden , dopo i fasti e i successi raggiunti nelle Americhe, in Asia, in Sud Africa e in Australia, giungono nel vecchio continente con una serie di mega-concerti che mischiano arene indoor a grandi festival all'aperto. La data norvegese fa parte della prima categoria, perché la Telenor Arena di Oslo (o per meglio dire di Fornebu) è un palazzetto dello sport, come lo chiameremmo noi in Italia, dalla capienza notevole di 20.000 posti. Ed Force One, il boeing 747 che gli Iron Maiden hanno preso in leasing e che li ha portati in giro per il mondo (con Bruce Dickinson come capitano ) è atterrato all'aeroporto di Gardemoen, penultima tappa prima che la band abbandoni “the big bird”, come lo ha chiamato lo stesso Bruce , per utilizzare collegamenti in bus nel resto delle date europee. In Norvegia, come del resto nei paesi scandinavi in generale, si respira sempre un aria di perfetta armonia tra la gente e le proprie istituzioni, sono paesi dove sembra che tutto fili per il verso giusto, la gente è gentile, l'ambiente è pulito e i servizi sono di alto livello. Brevik è la classica eccezione che conferma la regola. Infatti non appena saliamo da Malpensa sull'aereo di bandiera della Norvegian air, uno zelante steward nota cappello e t-shirt degli Iron Maiden del sottoscritto e, naturalmente, non tarda a comunicarci in inglese che se siamo fortunati vedremo Ed Force One parcheggiato in una zona del Gardemoen Airport. L'eccitazione mia e del mio compagno di avventure Claudio è al settimo cielo, non resta che attendere l'arrivo nella capitale nordica e incrociare le dita. Non va dimenticato che da quanto i Maiden hanno iniziato il The Book of Souls Tour 2016, sin da Fort Laurendale in Florida, c'è stata la gara a chi faceva foto o riprese dell'aereo, tanto è vero che sul profilo Facebook ufficiale degli Iron Maiden ne sono comparse numerose testimonianze. Per la verità anche l'onesto cronista che vi scrive, a Berlino, aeroporto di Schonefeld, aveva sfiorato l'impresa, salvo dover rinunciare dopo alcuni chilometri sotto il sole cocente: l'aereo era in una zona nascosta da altri edifici e per di più chiuso in un hangar. Arriviamo dunque nel tardo pomeriggio all'aeroporto e sotto una pioggia battente che ci accoglie scendiamo la scaletta, quando girandoci alla nostra sinistra notiamo in lontananza la silhouette del Ed Force One con sulla coda l'immagine di Eddie maya. Inutile sottolineare il delirio , un paio di scatti furtivi mentre ostacoliamo anche la gente che sale con i bagagli sul bus , bisogna purtroppo rinunciare (per ora) ad ulteriori avvicinamenti. Oramai l'obiettivo è stato individuato, si programma già l'impresa del giorno successivo, ma ora tutte le energie sono convogliate per raggiungere la location, la già citata Telenor Arena dove suoneranno i Maiden. Gruppi di supporto saranno i The Raven Age (la band in cui milita uno dei figli di Steve Harris, George) che i Maiden si portano dietro per tutta la durata del tour, e gli svedesi Ghost. Non è la prima volta che questa band fa da supporto agli Iron Maiden, ed il loro sempre maggior successo, specialmente negli ultimi 2/3 anni, ha continuato a rafforzare questo patto d’acciaio (in Italia, ad esempio, avevano aperto alla Vergine durante il Sonisphere 2013 a Milano, assieme a Megadeth e molti altri). Il tempo di mangiare e bere qualcosa (55 euro due birre grandi e due hamburger, certamente una spesa da ricordare nel proprio bagaglio mentale) e purtroppo al nostro ingresso i The Raven Age hanno già esaurito la loro performance (di cui però avevamo abbondantemente parlato durante il report della data statunitense al Madison Square Garden). Una volta sorpassati i controlli, entriamo nel palazzetto dopo un paio di canzoni già suonate dalla band di Linkoping.

Sarà che chi vi scrive è strettamente legato, anche per regioni anagrafiche, al metal anni '80 ed in particolare alla N.W.O.B.H.M. , ma i Ghost non mi hanno particolarmente impressionato dal vivo, e non è la prima volta che li vedo. Sarebbe riduttivo parlare di mascherata o circo, perché aldilà del look di Papa Emeritus III e dei musicisti, chiamati “Ghoul” (senza nome), sono tantissime le band che nella storia del metal hanno utilizzato ampi trucchi, basti pensare ad Alice Cooper, Kiss, King Diamond e per parlare di gruppi più recenti i Lordi. E' il prodotto musicale che lascia perplessi; aldilà dei testi satanico-allegorici, i Ghost propongono un hard rock piuttosto minimale, salvo qualche rara accelerazione. Di fatto scontentano sia gli amanti del metal estremo perché sono abbastanza “blandi” come ritmiche, sia dall'altro lato non convincono neanche i defenders of the faith del metal classico. Eppure anche a Oslo sostenitori c'erano, sebbene molto più tra i giovanissimi come non poteva essere altrimenti. Peraltro, rispetto al precedente tour, il cantante ad un certo punto si toglie le vesti di Anti-Papa per indossare uno smoking e un look quasi da Joker, il nemico acerrimo di Batman. I movimenti del frontman sono molto teatrali, anche gentili malgrado i testi vertano su argomenti non proprio veniali. Anche se biografie riportano di fantomatici cambi di frontman, ormai è ben noto che dietro il trucco si nasconde sempre lo stesso cantante, ma la band astutamente gioca sul nascondere la propria vera identità. Prima dell'ultima canzone, “Monstrance Clock”, una inquietante nenia satanica , Papa Emeritus III si dilunga sull'orgasmo femminile, che nel medioevo veniva considerato un peccato mortale, nel complesso non si riesce veramente a capire qual' è il limite tra quanto sia un band rock o se siamo stati catapultati in un videogame di stampo horror. Diamo comunque voce alla cifre,  che parlano di un buon numero di dischi d'oro, e non solo nei paesi scandinavi. Del resto se quel vecchio volpone di Rod Smalwood, storico manager degli Iron Maiden se li porta ogni tanto con sé qualche ragione ci sarà (sebbene forse non dipenda solo da lui la scelta della band di supporto). Come si suol dire però in questi casi, alla fine è questione di gusti personali, e per quanto al sottoscritto non abbiano mai suscitato niente di emozionalmente grande, certo non si può dire che non abbiano trovato una formula discografica e manageriale vincente. Alle 21, con precisione svizzera, parte la classica introduzione dei concerti maideniani, ovvero la versione dal vivo di “Doctor, Doctor” degli UFO, band che ha fulminato il giovane Steve Harris che aveva come suo idolo Peter Wray. Dopo ciò le luci si spengono, i teli vengono tolti, il concerto degli Iron Maiden è iniziato, e per aprire le danze la nostra band fa partire il videoclip dell'Ed Force One imbrigliato nelle liane di una foresta caraibica. Sarà una misteriosa mano rossa a dare la spintarella al boeing nel disincagliarsi dalla vegetazione: non può essere che il buon vecchio Eddie. In cima al palco Bruce con la felpa nera e cappuccio è già pronto in mezzo a fumi scenici che celebrano antichi rituali della civiltà maya. Le prime strofe di “If Eternity Should Fail”, accompagnate da suoni di tastiera, vedono Bruce battere ritmicamente un pugno dentro l'altare cerimoniale, ad ogni battito si alzano delle fiamme ai lati, prima che effetti pirotecnici diano il benvenuto al resto della band. Due maxi-schermi ai lati mostrano la band mentre suona, ed è bello vederli ancora in grandissima forma, anche fisica (basta guardare Steve Harris, 60 anni e non sentirli) muoversi con disinvoltura sul palco. Il finale della narrazione, con la voce di Necropolis effettata, riecheggia nell'Arena, mentre fuochi ardono sul palco, poi Nicko detta i ritmi di “Speed of Light”, con Bruce che lancia il suo primo “Scream for me Oslo !” seguito da un urlo agghiacciante che dimostra quanto sia in vena anche vocalmente. Il pubblico sembra entusiasta dei nuovi brani e, del resto, il successo del nuovo album è stato notevole i tutto il mondo, con una serie di primi posto clamorosi. Bruce saluta Oslo e la Norvegia, prima di presentare “Children of the Damned”, che è piacevolmente tornata nelle set-list dal vivo degli Iron Maiden. Come sempre Bruce sottolinea come questo pezzo unisca più generazioni, ragazzi che non erano ancora nati nel 1982 e vecchi reprobi del metal, che Bruce preferisce non definire con il termine “old”, ma con il termine “legacy” (una non tanto velata pubblicità a “Legacy of the Beast”, il nuovo gioco per smartphone basato su Eddie, probabilmente). La chitarra acustica di Adrian Smith, seguita a ruota da quelle elettriche di Dave Murray e Janick Gers (che indossano come sempe t-shirt dell'ultimo tour) accompagnano le prime strofe. Melodrammatiche di Bruce, prima del coro ripetuto quattro volte con grande partecipazione del pubblico, poi seconda strofa e lo straordinario intermezzo ritmico con la batteria a travolgere, con il pubblico che con battimani e cori segue le precise indicazioni di Bruce. Dopo l'arpeggio melodico di Smith gran finale con le ultime strofe di Bruce cantate molto bene. Cambio di drappo alle spalle, con Eddie rappresentato su carte da tarocchi, ed ecco che Bruce presenta brevemente “Tears of the Clown”, ricordando la tragica scomparsa dell'attore Robin Williams. La canzone ha emozionato molti da studio, ma dal vivo ha forse un impatto ancor più intenso, e mi piacciono moltissimo gli assoli di Adrian prima e Dave successivamente. I riflettori sono puntati tutti su Steve Harris, che con il suo basso griffato West Ham United introduce “The Red and the Black”. L'andamento epico del brano, sottolineato da diversi momenti melodici, è caratterizzato anche dalle strofe veloci cantate da Bruce a cui seguono gli “Oh Oh Oh” del pubblico che partecipa con entusiasmo sia nei posti davanti in piedi, sia sugli spalti. Lo stesso Steve, lo si capisce dal labiale, canta la canzone, come fa spesso nei concerti, e si esalta particolarmente anche correndo a destra e sinistra sul palco. Janick Gers, come suo solito, è assoluto protagonista delle destra del palco, con balletti e modi curiosi di suonare la sua fender. Il drappo famosissimo con il disegno di Derek Riggs fa capolinea alla spalle dei Maiden: è il momento di “The Trooper”, una delle canzoni-icona degli Iron Maiden. Bruce compare con la giubba rossa e bandierone della Union Jack, come fa oramai da diversi anni. Le prime strofe, intervallate dalle acrobatiche battute di Nicko, sono cantate all'unisono da Bruce ed il pubblico norvegese. I solo prevedono prima Dave Murray, e poi Adrian Smith e Janick Gers che suonano la partitura insieme. Cambio di look e Bruce scende nel backstage per togliere la giubba (dopo aver lanciato le due bandiere) ed indossare la strana maschera da wrestler messicano, che si mette oramai da diverse date: è il momento di “Powerslave” ! Bruce sale sul palco dopo che il brano è iniziato e, poco prima che inizi a cantare, una fiammata annuncia il suo ingresso sul palco. Canzone anch'essa spesso ripescata dalla loro discografia, viene eseguita perfettamente ed anche qui il pubblico è assolutamente ricettivo ai richiami di Bruce, come ai consueti “Scream for me....” che oramai seguono uno schema preciso, prima viene ricordata la città dove sono e poi la nazione. Fantastico come tutto sembra funzionare perfettamente negli Iron Maiden dal vivo: un macchina da guerra oliata da tanti anni di battaglia sui palchi di tutto il mondo, i movimenti della band sono studiati a tavolino, anche per non scontrarsi tra loro e per non urtare la scenografia, il tutto unito ad un impianto luci sempre impressionante. Mettete insieme questi due fattori, e poi la fama, la gloria e la bravura dei componenti fanno il resto. Come si suol dire, è diventato “virale” il video in cui i fan dei Maiden fanno il gesto della scimmia cantando “climb like a monkey” nel ponte di Death or Glory”. Oramai non c'è più bisogno che Bruce dica troppo, il pubblico è già pronto ! Forse qualcuno può storcere il naso su questo divertimento collettivo che può sembrare “pop”, ma non c’è niente di meglio che un concerto in cui tutti si sta uniti e ci si diverte, se questo vuol dire fare il gesto della scimmia che si arrampica, beh chi se ne frega ! Lo stesso Dickinson si presenta con un peluche di una scimmia al collo, che dice essergli stata lanciata da un fan a Johannesburg in Sud Africa. “20.000 fottuti norvegesi che fanno la scimmia” grida Bruce soddisfatto dal microfono, per un brano che vede una corposa partecipazione nei backing vocals di Steve ed Adrian. Giunge il momento della title-track, “The Book of Souls, dove di solito Bruce dialoga con il pubblico parlando dei tanti imperi e civiltà che sono emerse e poi scomparse nel nulla nel corso della storia dell'umanità, ed il nostro frontman pare piuttosto orgoglioso anche della scenografia e della simbologia maya che portano con sé in tour. Janick con la chitarra acustica e Steve danno l'inizio ad una delle canzoni più belle scritte sull'ultimo album, la classica epica track che narra dei riti e delle leggende della civiltà Maya. Il riff epico con le tre chitarre è un delizioso viaggio a ritroso del tempo, con un magnifico Bruce in continuo stato di grazia. Dopo gli assoli nella parte centrale entra in scena Eddie “tribale” con un conseguente boato da parte del pubblico, si muove con disinvoltura con l'ascia in mano facendo gesti irriverenti nei confronti dei fan, poi come al solito ingaggia una piccola battaglia con Janick sulla destra. Scherza con Dave e si dirige verso Bruce che, indossata una cerata verde, a gesti invita Eddie ad un uno contro uno. La battaglia come oramai sappiamo vede vincitore Bruce “Indiana Jones” che strappa il cuore dal pupazzone gigante, e poi correndo velocemente lo immerge nell'altare da cui escono i fumi (quello con cui compare all'inizio di ogni concerto Bruce). Mentre Eddie cornuto e mazziato se ne va dietro il palco, Bruce corre verso destra e spruzza un po' di sangue finto verso Janick, prima di lanciare il “cuore” verso il pubblico. Non c'è tempo di metabolizzare il tutto che due tra le canzoni più amate degli Iron Maiden vengono suonate di seguito: “Hallowed be thy Name” e “Fear of the Dark”. La prima torna in scaletta dal 2011, visto che nel Maiden England Tour 2012-2014 era stata sorprendentemente esclusa, la seconda è ormai inamovibile dal 1992, anno di pubblicazione dell'album omonimo. Amata dai giovanissimi , che hanno cantato di gran lunga anche a Olso, ma non solo da loro ovviamente. In “Hallowed be thy name” Bruce è bravo a non incartarsi con la voce, non è facile dal vivo sciorinare tutti i versi del testo senza fare confusione, ed utilizza un cappio al collo che va dritto al significato stesso del brano. Steve Harris nel 1982 scrisse questa canzone descrivendo gli ultimi istanti di vita di un condannato a morte. Nel finale Bruce si diverte a colpire i piatti della batteria di Nicko, come sempre quasi invisibile dietro la sua Sonor (è ritornato alla compagnia tedesca dopo 22 anni di Premier). Non manca come sempre l'attiva collaborazione anche di Steve nel caricare il pubblico: se nella storica canzone invita all'inizio tutti al battimani, in “Fear of the Dark” dal secondo chorus in poi fa saltellare tutta l'arena. Dopo il classico “scream for me” molto allungato, sono le chitarre prima di Dave e poi di Adrian e Janick a dare lo start all'inno classico di ogni concerto della Vergine, la loro traccia, “Iron Maiden”. Strofe oramai leggendarie, che si ripetono per tre volte, con i chorus in cui ci si esalta nel ripetere le due parole che compongono il nome della più grande heavy metal band di sempre. Sappiamo anche che è il momento di Eddie Gigante, che sale dietro la batteria versione ovviamente cover di The Book of Souls .Finale farraginoso e casinista con Janick che finisce a suonare con i piedi e Steve che ci mitraglia di note di basso come sempre, mentre Bruce saluta tutti da parte della band, di Eddie e dei boys. Un’ esplosione colorata nasconde la discesa del faccione di Eddie, mentre plettri e polsini volano tra le prime file. Pochi minuti di attesa e gli encore degli Iron Maiden iniziano con un altro pezzo monumentale che ha fatto la storia: “The Number of the Beast”. La voce narrante dell'intro al buio è un classico, mentre un enorme caprone gonfiabile fa capolinea alla destra del palco. Bruce attacca le strofe con la consueta maestria e teatralità insieme alla chitarra di Murray ed al basso di Harris, poi subentrano anche le altre due chitarre prima dell'urlo mefistofelico di Bruce con tanto di esplosioni e fuochi infernali. Ci avviamo alla conclusione ma, Bruce come sempre prima di “Blood Brothers”, unico estratto dall'album Brave New World, l'anno di grazia in cui Adrian Smith e Bruce Dickinson sono tornati, si permette un ultimo discorso, ricordando la tragedia del Bataclan di Parigi ed il recente massacro in Orlando, in Florida. Non si può ovviamente che apprezzare le sue parole dove dice che la loro musica non fa differenze di sesso, religione, politica o quant'altro ma l'unico scopo è quello di divertirsi con della buona musica bevendosi un paio di birre. Malgrado non sia più un giovincello, Bruce saltella come un folletto durante la canzone, istigando anche i presenti a dei battimani ritmati. Un disco con un primo piano di Eddie scende dall'altro, con le luci ai bordi, mentre tutta la Telenor Arena viene chiamata a cantare “We're blood brothers !”. Finita la canzone inizia subito “Wasted Years” con le pietre maya poste ai lati che si girano mostrando i volti scolpiti dei sei Iron Maiden, mentre Bruce si diverte come un matto a spostare il microfono al povero Adrian Smith che, ricordiamo, originariamente ha scritto il pezzo nel 1986 e che partecipa attivamente nei backing vocals.. Gran finale con Bruce che ringrazia il pubblico e con gli ultimi lanci di polsini, plettri bacchette e copripiatti , purtroppo siamo giunti alla fine anche di questo memorabile concerto. Mentre prendiamo il treno per tornare nella capitale, riavvolgiamo il film del concerto e ci accorgiamo di come alla fine tanti giovani e tanti fan attempati siano usciti sorridenti e felici. Gli Iron Maiden sono veramente una delle poche band che non delude mai, grandi professionisti mai una parola o un gesto fuori posto. Sembrano per altro divertirsi ancora molto sul palco e, forse, la malattia superata da Bruce ha reso ancora più uniti i membri della band. Del resto Nicko McBrain, il più vecchio della truppa (classe 1952) non disegna di fare dichiarazioni di grande stima per Bruce che, non dimentichiamo, appena guarito si è gettato con entusiasmo nel conquistare la licenza per pilotare boeing 747 e per essere proto fisicamente a questo lungo tour. Un paio di giorni dopo Oslo, a Goteborg, l'avventura dell'ED FORCE ONE si concluderà. I Maiden useranno altri collegamenti per viaggiare in Europa e ben 55.000 persone hanno riempito lo Stadio Ullevi (già sede di altri memorabili trionfi maideniani) per un Bruce, immortalato dalle telecamere commosso di fronte a tanto entusiasmo che ha fatto il giro in tutto il mondo. Tornando alla magica serata di Oslo, per me e l'amico Claudio esaltazione totale la mattino dopo, quando abbiamo raggiunto Ed Force One per corposo servizio fotografico, di cui potete appezzare qualche scatto. 

1) If Eternity Should Fail
2) Speed Of Light
3) Children Of The Damned
4) Tears Of The Clown
5) The Red and The Black
6) The Trooper
7) Powerslave
8) Death & Glory
9) The Book Of Souls
10) Hallowed By The Name
11)  Fear Of The Dark
12) Iron Maiden
13) The Number Of The Beast
14) Blood Brothers
15) Wasted Years