III Breaking Sound Metal Fest
Sinister + guests
26 agosto 2017 - Mesagne (Brindisi)

FEDERICO PIZZILEO
28/08/2017











recensione
Che il Sud sia stato da sempre messo in secondo piano come palco scenico di band di fama mondiale è ineccepibile. Tuttavia la dedizione e la tenacia, nonché la passione, si sa che cambiano le sorti del Mondo. In una realtà difficile come quella meridionale, proprio grazie a queste qualità, è ormai da qualche anno che sempre più ragazzi hanno iniziato (o continuato, se parliamo del grande Gerardo Cafaro con il suo Agglutination Metal Festival che ha tagliato il traguardo, proprio quest’anno, della modesta 23esima edizione) a voler mostrare ai miscredenti che la scena metal del mezzogiorno non è assolutamente sepolta, anzi, continua a rompere il muro del suono. Proprio tra le fila dei giovani pugliesi che con dedizione mantengono alto il vessillo dell’imperturbabilità enunciato da Jack Black nel film School of Rock: “Dobbiamo tentare. Magari ci sbatteremo la faccia contro, ma se così sarà, l'avremo sbattuta con onore, con una chitarra in mano e il rock nei nostri cuori” troviamo Stefano e Davide Facecchia, Cosimo Damiano Rielli. Proprio questi tre ragazzi ed il loro staff dall’ormai lontano 2014 iniziarono un progetto in comune chiamato Breaking Sound (un monicker che gioca sulla rottura della barriera del suono per merito della potenza sonora sprigionata dagli strumenti) concepito per promuovere nella città di Mesagne (in provincia di Brindisi) la musica rock e metal con l’obiettivo di sensibilizzare non solo una sorta di turismo musicale ma anche la conoscenza di realtà underground da non sottovalutare, il tutto – dunque – in una mutua collaborazione sotto la passione comune della musica. Da quest’ultimo inizio (perdonate l’ossimoro), nacque nel 2015 la rassegna metallica dal nome Breaking Sound Metal Fest giunta alla terza edizione proprio con l’evento organizzato il 26 agosto 2017 e che, grazie anche alle donazione tramite la campagna di crowdfunding Musicraiser, è riuscita a portare nel brindisino realtà importanti a livello italiano e mondiale. Se la prima e la seconda edizione hanno portato nel mesagnese gruppi nostrani a partire da realtà come Dark Lunacy, Cruentus, Alldead, Shores of Null, Dewfall ed arrivando ai grandi Necrodeath, il cambiamento di questa terza edizione era stato anticipato fin dall’inizio con il cambio di location: non più Piazza Mercato ma la sontuosa Villa Cavaliere ed, ovviamente, i privilegi che ne conseguivano; tra cui la possibilità di godere di un’area relax immersa tra gli alberi.
Arrivati dunque sul posto, una volta trovato parcheggio presso l’entrata ed in attesa dell’apertura dei cancelli inizialmente indicata per le 18:00 ma posticipata per garantire un soundcheck dettagliato – io ed i miei compagni di concerto – prendiamo posto tra le prime fila dell’entrata, acquistando il biglietto d’ingresso il prima possibile cercando di scorgere il più possibile in lontananza. Passano dunque cinque minuti così e finalmente abbiamo la possibilità di entrare ed iniziare a rovistare tra gli stand di alcuni dei vari gruppi che animeranno la serata, pregustando la possibilità di acquistare l’ultimo lavoro della brutal death metal band italiana Antropofagus e dei celebri numi europei del death metal Sinister, headliner della serata. Giusto il tempo di capire come orientarci (sebbene gli organizzatori avevano fornito tramite l’evento su Facebook la mappa generale) che sul palco prendono posto i brindisini Fatbacks, formazione degli anni ’90 dedita ad un hard-rock di stampo ‘70/’80 con sfumature heavy, dominanti fin da subito con la prima traccia proposta, intitolata Incarnation, con cui aprono letteralmente il sipario di questa terza edizione, soffrendo leggermente per la scarsa affluenza sotto al palco a causa dei minuti di apertura dei cancelli. Ciononostante, non si danno per vinti e continuano la loro cavalcata con un’intro decisamente metallica che ci introduce il brano È cosi, generando un certo entusiasmo nei pochi presenti ma continuando presentandoci l’ultimo brano da loro composto, intitolato Possess, dal ritmo nostalgico di tempi lontani ma comunque più vivo che mai. Con Marcello Contessa alla chitarra ed alla voce, Pino Miale alla ritmica, Flavio Zuccherofino al basso e Pino Branca alla batteria, i Fatbacks si presentano dopo tanti anni con un brano nuovo che smuove un po’ le capocce degli amanti del genere, terminando la loro esibizione con If You dalla ritmica incalzante ma non particolarmente nuova. Insomma, una realtà di veterani che si ripresentano al pubblico con un velo di nostalgia, passione senza nessuna particolare novità ma a cui seguono uno dei gruppi più giovani sia per anno di formazione che per media comune dell’età dei suoi componenti, sto parlando dei Nereide. Attivi dal 2015, i leccesi Roberto Spels, Cosimo Bardaro e Giacomo Scoletta (rispettivamente alla sei corde ed al microfono, al basso ed alle pelli), portano sul palco del Breaking Soung Metal Fest un post/progressive metal con influenze atmosferiche davvero singolare. Ad aprire la loro setlist troviamo The Ambling Alp la cui intro sicuramente cattura l’attenzione del pubblico, ricreando una suggestiva atmosfera, continuando con Surmise, Polars e suggellando la loro esibizione con Unlimited, un brano mordace e singolare con cui chiudono la loro presenza on stage. Un gruppo di ragazzi che, come dicono loro stessi, vuole “far emergere un genere musicale alternativo”. Sicuramente interessanti e da non sottovalutare per gli amanti della proposta musicale da loro portata sul palco ma comunque poco comunicativi verso il pubblico, vuoi per l’emozioni o vuoi per una scelta personale dei tre. In lontananza il sole inizia a calare, la zona concerto inizia a riempirsi e sul palco, dopo il consueto cambio di strumentistica e breve controllo del suono, salgono i genovesi Septem che portano, direttamente da le Cinque Terre (piu' precisamente da La Spezia), in terra pugliese brani tratti dal loro ultimo secondo lavoro del 2016 intitolato “Living Storm” insieme ad un brano tratto dal self-titled del 2013. Una formazione dedita ad un heavy metal davvero particolare che si manifesta fin da subito con l’estratto Lord of the Wasteland. Parte subito la chitarra di Enrico Montaperto a cui segue la sei corde ritmica di Luca Riggio. Un ritmo martellante, metallico, prodotto anche grazie al lavoro alle pelli di Matteo Gigli ed al basso con Andrea Albericci, introducendoci la voce di Daniele Armanini. Più il brano avanza e più si delineano le linee guida di questo quintetto genovese che mostra una certa attitudine per la sperimentazione con l’introduzione del growl di Francesco, destando sicuramente stupore nella platea. Giù al palco si è tutti intenti a goderci la musica, chi sorseggiando un po’ di birra e chi addentando un panino. Intenti comunque ad ascoltare la loro performance, giunge il momento dell’estratto dal loro album di debutto, intitolato Purified (by the Pain) caratterizzato da un’intro ad un alto ritmo e da una melodia sicuramente interessante, continuando poi con Montezuma II, riuscendo a catturare l’attenzione del pubblico ed arrivando alle ultime due: Cielo Drive e la title track Living Storm con cui sublimano la loro avventura nel brindisino. Arrivando dall’altra parte d’Italia, questi cinque ragazzi son riusciti a mantenere attivo il pubblico, proponendo un genere come l’heavy metal, sicuramente sdoganato ma comunque piacevole da ascoltare sebbene la maggior parte era in fervida attesa per altro. Son comunque da apprezzare per la loro capacità di star sul palco, dimostrando un certo affetto per il pubblico pugliese e per questa terra calda ed avvolgente. Il tempo dunque scorre, sempre più persone varcare la soglia d’ingresso in attesa degli headliner della serata ma non è ancora giunto il momento; è tempo per i leccesi Essenza l’onore di prender posto sul palco. Un trio nostrano le cui radici si stabilizzano nei primi anni ’90, dedicando la loro passione inizialmente ad un hard rock misto al blues per poi passare ad un heavy metal senza compromessi. Per presentarsi al pubblico, scelgono nientedimeno che la titletrack del loro penultimo album: Devil’s Breath con cui Carlo ed Alessandro Rizzello (rispettivamente alla voce e chitarra ed al basso) e Paolo Colazzo (alla batteria) iniziano a prendere confidenza con il pubblico con la loro spiccata vena d’interazione con lo stesso, avvicinando anche gli orecchi più pretenziosi. Terminata questa intro, giunge il momento di Time (keep my memories alive), dedicata ad un ragazzo scomparso prematuramente, continuando nella loro cavalcata sullo stage del Breaking Sound con a (Universe) in a Box e Rock ‘n’ Roll Blood provenienti sempre dall’album summenzionato e ritornando all’ultima fatica dei nostri intitolata “Blind Gods and Revolutions” con le energiche The Song Inside e The Fury of the Ancient Witch arrivando fino alla fine della loro esibizione con la comparsa di Luca Rizzello, un ex membro del gruppo (ma, come dicono loro stessi, “non è mai andato via”) che ha dato il suo personale ed importante contributo con la chitarra ed il violino per l’ultimo brano dai nostri proposto: Dance of Liars che ha visto la partecipazione non solo di questa comparsa ma anche dell’utilizzo da parte di Carlo di una chitarra a doppio manico. Parlando dunque di questa proposta musicale, sicuramente abbiamo di fronte dei veterani che non hanno mai abbandonato la chitarra al chiodo bensì hanno sempre cercato di portare un genere che piacesse a loro e che facesse divertire anche gli altri. Oggettivamente le dediche elargite durante l’esibizione hanno reso la loro performance più vicina al pubblico, lasciando comunque una bella immagine grazie alla comparsa del violino. Ci si avvicina verso il fulcro della serata ed il gruppo a cui è stato affidato l’arduo compito di anticipare la brutalità è una formazione proveniente dal barese, certamente giovane (parliamo del 2014) ma comunque coesa e capace...sto parlando dei doomsters The Ossuary. Sicuramente più vicini verso quelli che sono i miei ascolti, quello per cui sono in terra brindisina è promuovere il loro primo (ed unico) full-length uscito nel 2017 dal titolo “Post Mortem Blues” uscito per la Supreme Chaos Records. Ad aprire il concerto non poteva non essere l’intro del suddetto platter: Black Curse. Un ritmo ridondante, accattivante creato dalle e per le mani di Dario De Falco al basso, Max Marzocca alla batteria e Domenico Mele alla chitarra (tutti e tre già attivi nella scena metal pugliese grazie al gruppo technical death metal Natron) “attaccano” subito dal palco, mentre al microfono Stefano Fiore decanta le strofe del brano con una voce che rende sicuramente di più dal vivo (dopo aver ascoltato il disco). Terminata questa apertura, giunge il momento di Witch Fire, un inno pungente con cui abbiamo modo di godere degli acuti di Stefano, smuovendo ed entusiasmando la prima fila, quella direttamente sotto al palco. Poco dopo è il momento di Blood on the Hill, caratterizzato da un ritornello decisamente incalzante ed allietante che ci accompagna verso un brano di una quasi certa influenza dei Black Sabbath: Graves Underwater. Un brano che ho personalmente adorato, cadenzato al punto giusto e da accompagnare come sottofondo ad una birra gelata. Un heavy metal sporcato da un doom avvolgente è il loro cavallo di battaglia, nonché la presenza scenica del cantante. Brano dopo brano riescono a soddisfare le aspettative che ognuno si era creato e giungiamo, passo dopo passo, verso la title track dell’album, aspettata dai più. Intanto la prima fila si accende con headbanging cadenzati che accompagnano l’andatura di The Great Beyond, introdotto da un incipit semplice ma che, adornato dal classico ed onnipresente fumo e dalle luci viola è affascinante. Un brano che nell’album risulta essere l’outro ma che qui, in veste live, ha una presa totale, avvicinando persino chi era più lontano per osservare qualche mercatino. Un connubio il loro, quello tra strumenti e la particolare voce del cantante, che ha una presa magnetica e che sublima il successivo brano, la title track con cui anche loro concludono la loro esperienza sul palco Post Mortem Blues. Certamente un brano così importante non poteva deludere; le influenze blues si fanno altamente presenti, il ritornello ripetuto (“post mortem blues makes me feel alright”) più volte potrebbe stancare ma la loro presenza sul palco rende il tutto interessante, il loro muoversi si tramuta in dinamicità per gli occhi. Un disco – il loro – sicuramente da acquistare, apprezzato assolutamente da me e (scoperto con il senno di poi) anche all’estero...del resto, con un’esperienza ventennale nella musica, quest’ultima si fa presente in ogni strofa e la riuscita del disco è merito anche dell’ottima collaborazione di ogni componente che si nota anche sul palco. Bene, insomma, il fuoco negli occhi inizia ad accendersi, ormai la notte ha preso il sopravvento e tutti sanno che a salire sul palco sono uno degli orgogli italiani nel mondo: gli Antropofagus. Nati ufficialmente nel ’98 “da un gruppo di amici riuniti in un pub di Genova con l’intenzione di diventare la band più cattiva e brutale in Italia”, così rispondono in un’intervista per la fanzine (ufficiale del festival) Rottura Suona, hanno regalato fin dagli albori un crudele, spietato, spregevole e brutale modo di fare musica. Fin dai primi momenti in cui i nostri salgono sul palco, la folla inizia a dimenarsi cercando sia di caricare i restanti individui, sia di caricare gli artisti e sia per creare la giusta atmosfera a cui, dopo un bel po’ di tempo perso per via di alcuni problemi tecnici, il cantante Mattia DeFazio (in arte “Tya”) risponde con il gesto del taglio della gola, come per presagire che una volta messi da parte gli inconvenienti tecnici, arriverà il peggio! Ed in effetti, messo a punto il basso – tenuto stretto tra le mani di Jacopo Rossi, controllata la chitarra-mitragliatrice di Francesco Montesanti (in arte “Meatgrinder”) e la batteria su cui si sfogherà Davide “Brutal Dave” Bilia (conosciuto anche per far parte dei Hour of Penance e Septycal Gorge), i nostri partono prepotenti con il primo brano estratto dal loro ultimo album “M.O.R.T.E. – Methods of Resurrection through Evisceration”, per cui son su quel palco stasera: Spawn of Chaos; un’intro atmosferica fa da tratto premonitore di quella morte annunciata con il titolo dell’album ed immediatamente il doppio pediale esplode, insieme ai restanti strumenti, quando il growl di Tya prende piede e squarcia le carni di quella tranquillità che ci aveva accompagnati durante il corso della serata. Giunge successivamente il momento di Chants for Abyzou caratterizzato sempre da quell’incipit atmosferico e surreale, figlio del brano precedente con cui crea una linea di continuità. Un brano truce, energico che continua a scaldare i presenti e a generare ondate di headbanging violente e spintoni tra i più per poi passare ad un accenno di pogo con il brano successivo, title track del loro secondo album del 2012: Architecture of Lust. La serata non volge al termine, anzi, continua con un’autocitazione, una dedica al loro passato; direttamente dal primo, violento, album intitolato “Waste of Flesh”, ci presentano Loving you in Decay e Thick Putrefaction Stink, passando di nuovo per il loro secondo platter con Demise of the Carnal Principle. Tuttavia, l’uscita di un nuovo disco dopo ben 5 anni di fermo creativo, non poteva di certo passare così in sordina ed infatti riprendono subito il tiro con Praise to a Hecatomb, a cui segue Deception of the Blood smuovendo ancora di più il pubblico, ancora più energico dopo l’annuncio del cantante Tya in cui dice che prossimamente uscirà dal gruppo per via di alcune differenze insormontabili, sebbene in ottimi rapporti con gli altri membri, marcando l’onore di esser riuscito a chiudere proprio a Mesagne, terra dove lo stesso dice di “aver iniziate”. Allora la folla si eccita ancora di più, come se volesse dare un “arrivederci” ad una delle voci che più hanno segnato il gruppo nostrano di questo modo, il regalo dei nostri è una cover “dei loro maestri” (così annunciano il prossimo brano)...è il momento di Living in Fear dei Malevolent Creation che chiude in definitiva anche la loro presenza sul palco. Un concerto – il loro – strabiliante, anche per chi, come me, non ascolta il genere ma ama comunque sostenere realtà italiane...ancor più se di talento. Inutile, ora come ora, annunciare anche solo chi si porrà su quel palco. Siam tutti galvanizzati dalla quantomeno elettrizzante e bestiale esecuzione dei precedenti Antropofagus e quello che serve per incorniciare la serata sta proprio per arrivare: i Sinister. Senza bisogno di troppe presentazioni, sorvolati i classici controlli d’inizio, direttamente dall’Olanda approdano sul palco brindisino del Breaking Sound Metal Fest una delle death metal band che hanno più segnato il panorama europeo. Attivi fin dal 1988, son qui per l’unica loro data italiana di promozione per il nuovo album uscito il 24 febbraio 2017 dal titolo “Syncretism”. Partiamo subito in questa guerra di terra e spintoni preannunciati con The Malicious, traccia introduttiva del penultimo platter dei nostri intitolato “Dark Memorials”. Un perfetto incipit per prepararsi alla guerra con cui veniamo immediatamente trasportati indietro nel tempo con Transylvania (City of Slaughter) proveniente da “The Carnage Ending” del 2012 e con i sui battenti blast beat inizia a dar tono ad un leggero pogo vicino al palco. Ciononostante ancora è tutto relativamente calmo e si passa tempestivamente a Blood Ecstasy proveniente sempre da quest’ultimo full-length. Ormai c’è quasi complicità tra gli artisti ed il pubblico, siamo tutti intenti a far headbanging, a pogare e a dimenarci. Chi ubriaco marcio e chi invece totalmente attivo e pronto a far casino. E’ il momento di The Grey Massacre proveniente da “Afterburner” del 2006, giusto il tempo per riassettarci e fare ancor di più qualche passo indietro nel tempo per tornare ai primi anni ’90, più precisamente nel 1993 con Sadistic Intent da “Diabolical Summoning” sulle cui note inizia ad alzarsi terribilmente la terra in virtu’ dei vecchi tempi. C’è chi si dimena sulla transenna e chi continua a godersi un brano nostalgico che i più avranno consumato fino allo stremo. Sicuramente la line-up non è più quella di venticinque anni fa, alla voce ora troviamo quello che in quell’album era nientedimeno che il batterista: Aad Kloosterwaard che, dopo il fermo del gruppo di 2 anni (2003-2005), ha scelto di cambiare posizione. Dal 2011 dunque, le pelli vennero prese da Toep Duin come la chitarra principale da Dennis Hartog e quella ritmica ed il basso (dal 2016) rispettivamente da Ghislain van der Stel e Ricardo Falcon. Bando alle ciance, i nostri continuano ad imperare su quel palco mentre giù possono godere di poca vista dato il casino generato. Arriva dunque il momento di presentarci le prime track del nuovo album, partendo da Neurophobic e dalla sua intro, sempre avvolgente e atmosferica grazie anche all’ausilio del fumo che si spande su tutto il palco, mentre gli artisti son di schiena al pubblico. La calma prima della tempesta, ovvero il battito della doppia cassa con cui parte il brano. Una track più che cadenzata, estremamente mordace con cui – in preda all’estasi – poter distruggere tutto. Ricordiamoci però che siamo essere umani, anche se presi da un degenero immane e continuando sulle note di Convulsions of Christ, un wall of death prende piede per poter dare il massimo supporto agli artisti e per continuare a divertirsi sempre nell’animo metal. Le ritmiche incalzanti ed a tratti orientaleggianti aiutano ad immergersi ancora di più nella serata e passiamo in poco tempo al successivo The Canonical Rights che parte senza freno in una brutale scia distruttrice, a cui seguirà The Science of Prophecy e The Masquerade of an Angel da “The Post-Apocalyptic Servant”, la titletrack di un album che abbiamo già incontrato, dal titolo Afterburner e, per ultime ma non per importanza, bensì come coagulante di questa atroce e brutale esperienza: Epoch of Denial dal primo, grande, lavoro dei nostri chiamato “Cross the Styx” del 1992 e The Carnage Ending dall’omonimo album, a gran richiesta.
Insomma, c’è davvero poco da dire in fase conclusiva. Una manifestazione all’insegna del rock e del metal proprio come si erano, qualche anno prima, detti i soci fondatori dell’Associazione Culturale Breaking Sound. E’ sempre bello poter vedere una terra calpestata una ventina di anni fa da molte band ora conosciute a livello mondiale, riprendere vita e forma grazie all’organizzazione e alla dedizione di ragazzi con un impegno comune: quello di portare e promuovere la musica underground e non nella propria terra. Sicuramente l’affluenza è stata considerevole ma, personalmente, mi aspettavo molte più persone vista la portata dei Sinister come headliner. La verità è che tutte le nuove leve (io me ne discosto) sono completamente alienate da internet e tralasciano la grande opportunità che hanno di ascoltare gruppi di enorme spessore anche dietro l’angolo di casa. In molti hanno avuto da contestare la scarsa presenza di stand e forse ci può anche stare, tuttavia si era lì per diversi tutti insieme all’insegna di una passione che ci accomuna e che è stata suggellata da una location davvero interessante e ben organizzata, anche grazie al patrocinio del Comune di Mesagne e della Regione Puglia. In modo oggettivo non ci si può lamentare; ogni gruppo è riuscito a dire la sua e a portare sul palco il proprio pensiero e la propria musica, mischiandoci anche le emozioni. Abbiamo avuto modo di godere di una realtà nostrana internazionale come gli Antropofagus sorseggiando ottima birra e godendo con degli ottimi panini che hanno fatto da cornice, insieme ai dischi negli stand, alla serata. Il comparto luci ha reso, poi, ottimamente l’insieme delle esibizioni, tranne qualche problema tecnico su cui sorvolare e che ha fatto perdere abbastanza tempo, causando un certo ristringimento di qualche setlist. In linea generale posso solo dire che attendo con ardore la prossima edizione per vedere dove si spingeranno gli organizzatori grazie ai quali il territorio pugliese può vantare di aver avuto i Sinister a calpestare il proprio terreno, confidando nel fatto che migliorino di anno in anno...ed agli altri, soprattutto a chi ha scelto di non venire direi semplicemente di prepararsi ad essere in transenna per il quarto capitolo del Breaking Sound Metal Fest.

SINISTER
1.Intro + The Malicious
2.Transylvania (City of Slaughter)
3.Blood Ecstasy
4.The Grey Massacre
5.Sadistic Intent
6.Intro + Neurophobic
7.Neurophobic
8.Convulsions of Christ
9.The Canincal Rights
10.Intro + The Science of Prophecy
11.The Science of Prophecy
12.The Masquerade of an Angel
13.Afterburner
14.Epoch of Denial
15.The Carnage Ending

