GRASPOP METAL MEETING 2016 (Iron Maiden, Twisted Sister plus Guest)

19 Giugno 2016 - Live at Dessel (Belgio)

A CURA DI
DIEGO PIAZZA
27/06/2016
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10

recensione

L’edizione 2016 del  Graspop Metal Meeting , che si svolge da oramai venti anni nella ridente cittadina di Dessel, in Belgio, vedeva ai blocchi di partenza nei tre giorni in cui è articolato, un bill di grandissimo rispetto, basti citare solo alcuni nomi: Black Sabbath, Iron Maiden, Megadeth, Volbeat, Anthrax, King Diamond, Saxon , Trivium e moltissime band medio piccole che fa sempre piacere vedere dal vivo, approfittando dei vari palchi. I due principali sono affiancati, e permetterà ai fan di non aspettare troppo tempo d’attesa tra un band e l’altra e un paio di capannoni dove nel pomeriggio si sono esibite diverse altre formazioni minori. Calcoli alla mano, escludendo le band che suonano in contemporanea, si possono nell’arco di tre giorni vedere 30 concerti e quindi 30 band, davvero niente male. Noi, però, ci concentreremo sulla giornata di domenica 19 giugno, quando a fare da chiusura della giornata ci sono stati gli Iron Maiden, anzi per la precisione la chiusura definitiva è stata affidata ad una sorta di after party, in cui si è potuto assistere ad uno degli ultimi concerti da parte dei Twisted Sister.  Grazie ai social network è stato possibile sapere che sia venerdì che sabato sera ha diluviato su Dessel, e che quindi molto probabilmente ci avrebbe aspettato un terreno ostico e fangoso.  Devo dire che mi ha parzialmente deluso il sistema navette che collega i parcheggi (originali, vicini alle casette dei belgi) al luogo del concerto, troppo tempo trenta minuti di attesa, ed è proprio per questo che una volta arrivati sul posto, ci accorgiamo di aver perso l’inizio dell’esibizione dei Saxon, che hanno iniziato precisamente alle 15.45. Perdiamo ben quattro canzoni, e per uno come colui che vi scrive, davvero fan della band in questione fin dai suoi esordi, potete immaginare la furente rabbia che mi ha pervaso per le lungaggini all’ingresso dell’arena. Sono da 24 anni che vado a concerti, ed ho seguito anche molti Gods of Metal italiani (che ahimè spesso e volentieri peccano per l’organizzazione), capisco che un grande festival abbia bisogno di grandi spazi, capisco i controlli degli zaini, capisco bracciali più o meno intelligenti, però uno non può arrivare ad un orario in un punto A, e trovarsi sotto il palco nel punto B dopo venti minuti.

Finito lo sfogo, la rabbia per aver perso una parte dello show di Biff e soci (trovo scandaloso anche l’orario e la posizione, ma questo succede in altri festival, alle volte viene da chiedersi come effettivamente venga stilato il bill, ma sono dettagli) ci concentriamo su quello che siamo riusciti a vedere. La grande "Heavy Metal Thunder" ci accoglie subito e accende il nostro entusiasmo, seguita da “And the bands play On”, “Crusader” e “Dogs of War”. Sono tutti indistintamente pezzi da 90, che sono sempre piacevoli da ascoltare. Biff conosce bene il Graspop Festival, e con la consueta maestria accende l’entusiasmo del pubblico. Essendo un tour estivo, i Saxon puntano su pezzi classici, come “Wheels of Steel” e “Princess of the Night” che chiude il concerto, lasciando solo “Battering Ram come rappresentante dell’ultimo album.  In Italia ho visto i Saxon con la grande Aquila scendere, simbolo storico anche dei fasti anni ’80, soltanto in un Evolution Festival sul Lago di Garda nel 2006 (con Biff che continuava a chiamarci “champions of the world”, il concerto si fece giusto una settimana dopo la vittoria ai rigori dell’Italia contro la Francia a Berlino nel 2006), mi fa quindi piacere rivederla qua al Graspop, stupendo. Biff non può che dedicare poi “Denim & Leather” ai presenti che malgrado la pioggia e il fango dei giorni scorsi sono li sotto il palco a gridare il nome dei Saxon. Un pallido sole appare tra le nuvole, e sembra chiaro come questa domenica dal cielo non arriverà la pioggia. Peraltro il fango rende si ostico il camminamento ma, fortunatamente, della plastica per diversi metri è stato posta davanti ai due palchi affiancati principali, tale da rendere possibile muoversi e seguire decentemente i concerti senza preoccuparsi che scarpe e stivali rimangano impantanati. Dopo i Saxon ci spostiamo per curiosare in giro, ci sono casse con sistemi a gettoni, una mare di stand con ogni tipo di cibo ed anche un grande ruota panoramica che sembra anche avere un certo successo di pubblico. Ovviamente è presente anche uno stand gigante con tutte le magliette del merchandising ufficiale. Vi sono personaggi reduci da due giorni e mezzo di concerto che si trascinano stancamente, notiamo volti devastati e stanchi e anche parecchi stesi per terra in stato semi-comatoso, ma queste sono scene normali per chi bazzica festival metal e non solo. Quasi tutti indossano stivali e scarponi alti, del resto non è la prima volta che al Graspop si cammina sul fango, Dessel sembra la classica località delle fiandre in cui piove 2/3 dell’anno. Ma proseguiamo con i concerti, saltando di netto i Powerwolf per motivi di sopravvivenza alimentare, ed è così che passiamo al main stage e seguiamo abbastanza da vicino gli Anthrax. Inutile ricordare che essendo una spianata enorme vi sono numerosi maxi schermi, non solo ai lati dei due palchi principali. La band newyorkese è specializzata in concerti al fulmicotone. E’ noto ai fan, ma anche a chi non diventa matto per Scott Ian e soci, che un loro concerto è sempre divertente, non si può non farsi trascinare da canzoni come “Caught in a Mosh”, “Indians”(con il solito devastante circle pit) ed “Antisocial”, non citate a caso, perché sono state suonate proprio in occasione del Graspop, e poi i pezzi nuovi veramente belli come “Evil Twins”, “Breathing Lighting” e “You gotta Believe” senza considerare l’ottima “Fight till you Can” del penultimo disco. Joey Belladonna continua a sminuire i suoi detrattori con prestazioni vocali buone, non ottime in questo caso anche per un suono non bellissimo di cui godono gli Anthrax qui in Belgio. La vecchia barba di Scott Ian si muove velocemente come la sua testa, mentre Frank Bello è sempre attivissimo nei backing vocals. Inutile sottolineare la solita grandissima prestazione di Charlie Benante alla batteria. Jon Donais è un bravo chitarrista, ma ha qualcosa di troppo normale per far parte di un band dinamica come gli Anthrax, dovrebbe essere più sciolto ma, ripeto, dal punto di vista tecnico nulla da dire. Il tempo stringe ed è stato un peccato non sentire “Madhouse” e “I’m the law”, ma in un festival così grosso, se si vuole godersi la maggior parte della musica presente, devono essere fatte alcune cernite. Saltiamo di pari passo anche Tremonti, la band del chitarrista ex Creed e Alter Bridge, Mark Tremonti: è un chitarrista bravo che stimo molto, ma la sua band solista ha il vizio di essere un po’ noiosa e ripetitiva (opinione personale), anche dal vivo, malgrado lo stesso Mark sia un discreto cantante (ho avuto occasione di vedermeli qualche settimana prima a Lucerna). In ogni caso, vista anche dalla ruota panoramica, la folla del Graspop comincia a farsi importante, anche considerando le migliaia e migliaia di persone che sono fuori, quelle che stanno mangiando e che sono negli altri due capannoni o sulla ruota o in fila per tutta una serie di varie ragioni. Alla sera ed il giorno dopo le cifre saranno impressionanti, ma ne parleremo con calma più avanti. Il sole è ancora abbastanza alto nel cielo, quando i Trivium iniziano il loro show. Avevo lasciato un giovanissimo Matthew K. Heafy al forum di Assago nel dicembre 2006 con i capelli lunghi ed anche un po’ musone. Ebbene, il leader della band di Orlando, di origine asiatica, oltre ad aver numerosi tatuaggi in più ed essersi tagliato i capelli sembra essere molto maturato, e non potrebbe essere diversamente. Il cantante/chitarrista sorride spesso dietro il microfono, quasi a rendersi di conto di come molti fan nelle prime file seguano i suoi gesti. Anche la band della Florida come i Saxon punta più sui classici, eseguendo se non erro solamente due pezzi dall’ultimo album in studio  (Silence in the Snow, uscito nel 2015). La maschera giapponese bianca è usata come scenografia, e compare in diversi punti del palco gigante, mentre intanto si susseguono “Strife”, “Rain” e “Watch the world burn”. Corey Beaulieu, piuttosto massiccio, svolge un buon lavoro alla chitarre e collabora quasi come lead vocals principale  anche nelle strofe. Paolo Grigoletto, oramai calvo da qualche anno, ha un buon dinamismo e anch’esso attivo nei backing vocals. Dietro le pelli c’è Paul Wadntk, terzo batterista nella storia dei Trivium, in carica dal 2015. Non possono mancare pezzi storici dai primi album come “The Deceived” e “Pull harder of the string..”, quest’ultima in particolare (ed il videoclip che uscì ai tempo per promuoverla) fu probabilmente il passo decisivo che li fece conoscere al mondo. Heafy chiede al pubblico di cantare e di muoversi con tutte le rimanenti forza che hanno, e molti nelle prime file lo seguono nella conclusiva “In waves”. Anche lui, come poco dopo Bruce Dickinson, non può fare a meno di citare la tragedia di Orlando (considerando che rispetto agli Iron, per la band di Matthew la tragedia si è consumata “davanti alla porta di casa”), esaltando chi vuole solo divertirsi ai concerti come il pubblico del Graspop.  Malgrado sempre qualche perplessità sui diversi modi di cantare di Heafy, tra urla hardcore, voce sporca thrash e clean vocals, il concerto dei Trivium è stato accettabile e ben apprezzato dal pubblico del Graspop, peraltro un ottimo intrattenimento visto che finisce attorno alle 20.50, cioè oramai dieci minuti prima che sul main stage si sentano le note dal vivo di “Doctor, Doctor” degli UFO. Da qui in poi, pur essendo in ottima posizione (approfittando di chi si è andato a rifocillare o per vari altri tipi di sosta) dovremo stare molto attendi a dietro di noi. Molti fan, tra cui anche molte ragazze, si faranno alzare per fare crowd surfing (pratica ormai in uso da molti anni che prevede il “trasporto” letterale delle persone dalle mani della folla), e non è simpatico né che la persona in questione cada bruscamente per terra, né tantomeno che ci si ritrovi una bella scarpa sul naso mentre le persone cercano di affrontare l’orda. Tralasciando i dettagli “da pubblico”, poco dopo lo stralcio degli UFO, a ruota parte l’intro animata degli Iron Maiden, molto belle e già vista dal sottoscritto cinque volte. Il sole non è ancora tramontato che Bruce, coperto da un cappuccio della felpa, si erge sopra un altare maya da cui escono effluvi…il concerto della Vergine di Ferro al Graspop 2016 è iniziato, e prende vita con “If Eternity Should Fail”. Un’esplosione pirotecnica accoglie il resto della band, con sempre Dave e Adrian sulla sinistra e Steve e Janick sulla destra. Bruce scende davanti al palco e canta in maniera encomiabile, la sua voce è chiara e cristallina. Piace vedere i Maiden sulla soglia dei 60 anni con splendidi sorrisi e con Steve Harris, grande leone combattete, che canta le canzoni. Incredibile pensare che se si guarda una foto dal vivo di trenta anni fa e la si confronta con oggi, non si notano così tante differenze. Non fa caldissimo, ma in ogni caso Bruce Dickinson non sembra mai aver problemi da questo punto di vista, salta sugli amplificatori, come in “Speed of Light”, e lancia il primo dei numerosi “Scream for me Graspop, seguito ovviamente da un boato convinto della folla. Bruce scherza su come si sia messo d’accordo con qualcuno nel cielo per non fare piovere la domenica quando suonano gli Iron Maiden e, intelligentemente, sapendo che fra il pubblico ci sono addirittura persone che calcano la superfice di questo tempio della musica da giovedì sera (in cui si sono esibiti gruppi come Primal Fear e UDO), elogia la fedeltà di chi ha seguito per giorni nella pioggia e nel fango, per poi lanciare come una scheggia “Children of the Damned”, dove lo stesso frontman ama ricordare come molti dei presenti non erano ancora nati quando fu scritta nel 1982.  Il pubblico apprezza, e non potrebbe essere altrimenti, il primo pezzo non nuovo della scaletta, mentre l’atmosfera di scalda con i primi crowd surfing. “Tears of the Clown” è sempre un piacere, eseguita alla perfezione sia nel riff iniziale sia negli assoli, sia nel ponte melodico. Un pezzo che Steve ha scritto insieme ad Adrian sulla suggestione dovuta alla morte suicida del grande attore Robin Williams. Steve è stato autore unico solo di una canzone sullo straordinario ultimo album dei Maiden, “The Book of Souls”, si tratta delle lunga ed epica “The Red and The Black”. Ho trovato peraltro molto ridicolo, durante le settimane che hanno succeduto il rilascio dell’album, chi ha criticato questa canzone in particolare; per chi vi scrive essa reincarna perfettamente lo stile da “cavalcata epica” dei Maiden, nessun difetto, se non il tempo tiranno che è passato dagli anni d’oro, ma sono dettagli. Steve sembra quasi indiavolato con il martellare di basso e sono quasi da commozione i passaggi certosini dei tre chitarristi. Se Adrian e Dave sono sempre riconoscibili nei loro reciprochi stili, Janick usa come sempre uno stile più sporco e meno melodico, ma bilancia come sempre la sua performance sul palco con un dinamismo eccezionale, tra sorrisi e pose improbabili con cui suona il suo strumento. Nicko McBrain è seppellito dai tom della sua batteria, tutta griffata con simbologie e geroglifici Maya, prevale il colore giallo rosso dei tamburi. Da ricordare come dopo 22 anni, il batterista ex Pat Travis Band e Trust è tornato alla Sonor, visto che la Premier aveva cessato la produzione di materiale nuovo. Grazie alle inquadrature della regia live, possiamo però apprezzare le sue mani che colpiscono come un polipo, oltre al suo tipico grugno. Cambio di drappo sullo sfondo e momento di estasi totale, “The Trooper” accende sia vecchi che nuovi fan. Come sempre i tre amigos, quasi come un battaglione da carica dei 600 insieme a Steve, stanno affiancati davanti al palco, mentre Bruce con giubba rossa e bandiera della Union Jack si muove in alto a destra e sinistra. Non c’è tempo per emozionarsi e per prendere fiato che “Powerslave” irrompe e, questa volta, Bruce sale dopo un fiammata suggestiva sul palco, con una curiosa maschera da wrestler messicano. Qualche ragazza vola letteralmente sopra le nostre teste mentre il pubblico si entusiasma nel chorus anche per i continui stimoli di Bruce con i vari “Scream for me..”.  “Gli Imperi nascono e gli Imperi crollano, come la misteriosa scomparsa di quello dei Maya di cui vedete le ultime rimanenze nella nostra scenografia”  dichiara Bruce, accusando anche Nicko di aver rubato dal British Museum qualche reperto archeologico dell’epoca Maya. Janick Gers e Steve Harris acusticamente danno il via alla title track del neonato album, “The Book of Souls”: Bruce canta ancora con la consueta maestria, con le chitarre che si intrecciano in riff melodici , prima dell’ottima accelerazione centrale di Nicko (che a me ricorda moltissimo il pezzo strumentale “Losfer words (Big ‘Horra)”, terza traccia dell’album Powerslave del 1984) . Eddie entra nelle seconda meta della canzone e, dopo aver scherzato con gesti irriverenti con il pubblico, ingaggia battaglie  con Janick Gers (che come sempre gli passa sotto le gambe) , scherza con Dave Murray e viene invitato allo scontro frontale da Bruce. Dopo un parapiglia Bruce strappa come ogni sera il cuore al povero Eddie, che scalciando come un mulo deluso torna nel backstage. Correndo come una sorta di scienziato pazzo, con un cerata verde indossata velocemente durante una pausa, Bruce spruzza sangue finto sulla prime file, prima di lanciare il “cuore di Eddie” verso il pubblico. Giusto in tempo per riprendere in mano il microfono e chiudere la canzone, prima del intermezzo acustico che rivede protagonisti ancora Janick e Steve. Anche in Belgio non poteva mancare il “climb like a monkey show”, e allora “Death or Glory” vede ancora una volta Bruce con una scimmia di peluche al collo con il cantante che invita tutti al gesto dell’arrampicata della scimmia.  Comincia a scendere il buio anche qui, per una giornata che alla fine è stata perfetta: niente pioggia e niente calure. La campana di Nicko accompagna le prime drammatiche strofe di “Hallowed be thy name”, forse la canzone più  rappresentativa in assoluto degli Iron Maiden, circa sette minuti di cambi di tempo, melodie ed accelerazioni memorabili. Steve Harris invita al battimani gli oltre 60.000 presenti all’inizio, mentre Bruce canta con il cappio al collo. Inutile ricordare gli “oh oh oh” del pubblico che accompagnano le parti melodiche della canzone. Non sapendo starsene con le mani in mano, Bruce dalla sinistra si diverte a suonare i piatti della batteria di Nicko, centrandoli al tempo giusto con il cordone del cappio. Il finale epico e mirabile, è come sempre leggermente più tirato rispetto a studio, con Dave che si accanisce sulle distorsioni e Nicko che si alza aspettando per il finale di batteria. Altro boato del pubblico quando lo stesso batterista detta la ritmica di “Fear of the Dark”, Bruce dice qualche stupidaggine che fa ridere anche lo stesso Steve Harris, il quale poi parte con un cavalcata verso la parte opposta del palco. Pezzo amatissimo dal pubblico e oramai immancabile nella set-list, “Fear of the Dark” costringe ancora a lunghe cantate che lasciano oramai sfiniti e senza voce molti tra il pubblico, per non parlare delle ultime energie fisiche rimaste nei saltelli che Steve invita a fare dal secondo chorus in poi.  Arriva il momento di Eddie gigante, con il testone che emerge da dietro la batteria dopo il secondo chorus e i vari “Scream for me …”.  Nicko e Steve ci martellano con i bassi, mentre i tre chitarristi accompagnano Bruce nelle liriche oramai stra-conosciute di “Iron Maiden”. Scritta verso la fine degli anni ’70 da un giovanissimo Steve Harris le liriche “Gli Iron Maiden ti prenderanno, non importa dove tu sia” non sono state profeticamente mai così vere, pensando allo straordinario successo che la band sta avendo tutt’ora, forse addirittura superiore anche agli anni ’80.  Un'altra classica irrompe, con la lugubre intro, “The Number of the Beast” vede l’enorme caprone gonfiabile sulla destra dietro il palco, che scruta il pubblico in maniera preoccupante. Fiamme alte si alzano dopo l’urlaccio di Bruce e parte l’ennesimo fanatico elogio dell’incubo dantesco di che ispirò Steve Harris nel 1982.  Tutto come sempre fila liscio come un orologio svizzero e ogni singolo membro dei Maiden pare in forma strepitosa.  Prima di “Blood brothers” Bruce ricorda come il mondo sembra impazzito, tra la tragedia del Bataclan a Parigi, la recente strage di Orlando e gli attentati di Bruxelles ma, per fortuna c’è ancora chi, da ogni parte del mondo, viene ai festival come il Graspop e ama bersi due birre in compagnia e andare a sentire la musica che gli piace.  Bruce parla anche del “miglior Graspop Festival di sempre”, difatti le cifre parlano di 140.000 spettatori in tre giorni, record assoluto della manifestazione. Tornando in “Blood Brothers”, piace il gioco di luci blu e l’enorme disco che si posizione orizzontalmente sopra il palco con l’immagine di Eddie Maya. Bruce danza quasi come un ballerino con il microfono sui momenti più folk del brano. Non c’è tempo per rattristarsi troppo che subito il riff di Adrian Smith di “Wasted Years” prende il sopravvento , le finte torri di pietra ai lati si girano mostrando i volti dei Maiden scolpiti idealmente con gli occhi rossi, e Bruce si diverte a smuovere le strutture che reggono la scenografia ondeggiando continuamente. Steve Harris non molla di un centimetro ed è sul pezzo persino dopo 100 minuti di musica dal vivo, mentre per il povero Adrian è quasi impossibile curare i backing vocals con il guascone Bruce che gli sposta all’ultimo momento il microfono. Saluti e ringraziamenti da parte dei sei Maiden con tutta una serie di lancia tra plettri, bacchette, polsini e quant’altro, altro strepitoso concerto degli Iron Maiden ed altro pienone clamoroso. Giusto il tempo per rifocillarsi, ed ecco che sembra tutto pronto sul palco a fianco di quello in cui i Maiden hanno finito di suonare (sancito dalla outro dei Monthy Pyton) per quello che è uno dei pochi e ultimi show dei Twisted Sister. Dopo “It’s a long way to the top” degli AC/DC sparata a tutto volume dagli amplificatori inizia il concerto, l’ultimo dei Twisted Sister al Graspop Festival.  Scorrono nell’intro foto storiche di esibizioni live, locandine e copertine di album e singoli, poi finalmente Dee Snider e company salgono sul palco. Il cantante americano, che ha fatto recentemente discutere per il suo appoggio a Donald Trump , si presenta con la sua lunghissima chioma bionda, molto meno trucco rispetto ai mitici anni ’80, in cui la band aveva scalato le classifiche USA con singoli generazionali come “I wanna rock” e “We’re not gonna take it”. La sua voce ruvida, bassa, e la sua notevole presenza scena, devo dire che incutono timore e rispetto,  peraltro dopo pochi minuti chiarisce subito che questo tour d’addio dei “Twisted Fucking Sister” non è come quello degli Scorpions o dei Judas Priest: “questa è veramente la fine !.”  Devo dire che nel frattempo molti fan sono usciti ma, credo che almeno 30.000 fan siano ancora presenti quasi a rendere il giusto omaggio ai TS. Snider rappresenta veramente “l’animale da palcoscenico” nel senso anche più triviale del termine, corre, si inginocchia, grida, saltella e riesce a coinvolgere un pubblico in cui il crowd surfing si fa sempre più intenso. Peraltro Snider è contento che non piova, ricordando un concerto degli anni precedenti al Graspop in cui l’esibizione si è svolta totalmente sotto l’acqua. Senza troppi complimenti Dee Snider definisce Madre Natura “the bitch”. Scherzando con il chitarrista Eddie Ojeda il frontman coglie l’occasione per scusarsi con gli Iron Maiden, poiché durante la loro esibizione ad un certo punto si sentiva il sound-check della batteria. “Burn in Hell” è quanto mai lugubre ed epica, con fiammate che si accendono davanti al palco, poi si susseguono Life is Like a Knife in the Back” e “Destroyer” ma l’attesa è tutta per i due brani più famosi dei TS, le gia citate “I wanna rock” e “We’re not gonna take it”, quest’ultima tiratissima con il pubblico chiamato numerose volte a cantare, una versione live che è andata ben oltre i quattro minuti che occupa nel disco in studio. Momento toccante, con migliaia di telefonini accesi , il ricordo dello scomparso batterista A.J. Pero , morto il 20 marzo del 2015 per una arresto cardiaco, durante la canzone “The Price”. Da notare che per questo tour finale dei 40 anni, i Twisted Sister hanno il lusso di avere come batterista niente meno che Mike Portnoy che, da quando ha lasciato i Dream Theaterm ha collaborato e sta collaborando con molte band. Il finale del concerto è spettacolare, con una lunga versione della cover dei Rolling Stones, “It’s only rock’n’roll but I like it, ma soprattutto con grandi fuochi pirotecnici mentre si susseguono i saluti e la presentazione della band (davvero originale il modo in cui Mark Mendoza, detto “The Animal” suona il basso, mai visto).  Dopo alcuni minuti sono i fuochi pirotecnici del Graspop che salutano definitivamente il numeroso pubblico ancora rimasto, dando il commiato finale all’edizione 2016. Per quanto riguarda la giornata vissuta dal sottoscritto insieme all’amico Luca, direi positiva, visto il clima sicuramente più clemente rispetto ai giorni precedenti. L’impressione è che il Graspop stia oramai dopo venti anni diventando sempre più un festival di importanza notevole, basti pensare anche la notevole presenza di stranieri e molti italiani. Certo, sarà dura ripetere anche nel 2017 un bill di così grande carisma. Tanto di cappello ancora una volta agli Iron Maiden, professionisti incredibili ed al massimo della forma ancora dopo 36 anni di onorata carriera e, devo dir,e un commiato di grande dignità e bravura da parte dei Twisted Sister che, in ogni caso, rimangono nella storia del hard rock/glam rock, una vera e propria leggenda che molti hanno avuto la fortuna di vedere, e che rimarrà negli annali della storia. 

1) If Eternity Should Fail
2) Speed Of Light
3) Children Of The Damned
4) Tears Of The Clown
5) The Red and The Black
6) The Trooper
7) Powerslave
8) Death & Glory
9) The Book Of Souls
10) Hallowed By The Name
11)  Fear Of The Dark
12) Iron Maiden
13) The Number Of The Beast
14) Blood Brothers
15) Wasted Years