BLACK SABBATH
The End Tour 2016
Live at Laszlo SportsArena (Budapest)

DIEGO PIAZZA
07/06/2016











recensione
Il giorno purtroppo è arrivato, si, quel giorno che non vorresti mai che arrivi, perché sai che quel concerto è l'ULTIMO che vedi della tua band preferita. Parliamo dei Black Sabbath, la band che di fatto ha inventato il genere heavy metal, in giro oramai da ben 46 anni !!! Ne è passata tantissimi di acqua sotto i ponti, da quel 13 febbraio 1970 quando usci il primo omonimo album. Nella storia dei Black Sabbath (ex Earth) hanno fatto parte molti grandi nomi del rock internazionale; la band dopo il 1978 ha avuto moltissimi cambi di line up e reunion di ogni sorta, basti solo pensare che alla corte di Tony Iommi hanno cantato il grandissimo Ronnie James Dio, Ian Gillan, Glen Hughes e Tony Martin. Come musicisti ricordiamo il compianto Cozy Powell alla batteria, ma anche Vinnie Appice e Bobby Rondinelli, per non citare Neil Murray, grande bassista, ed il fedelissimo Geoff Nicholls tanti anni alle tastiere. Alcuni ospiti illustri hanno anche collaborato dal vivo, come in un paio di circostanze ha fatto il Metal God per antonomasia: Rob Halford dei Judas Priest. Ma il fulcro di questa grandissima band nata ad Aston, quartiere di Birmingham, è il quartetto che ha registrato i primi otto dischi, dal 1970 al 1978 , ovvero Tony Iommi, Geezer Butler, Ozzy Osbourne e Bill Ward. Ci sono voluti quasi venti anni, fino al dicembre 1997, prima che i quattro si riunissero di nuovo, incidendo però solo un live album registrato nella propria città natale, Brimingham. Proseguirono anche nel 1998 (con il mitico Gods of Metal italico a Milano) e nel 1999, ed in anni successivi orchestrarono altri tour, per poi decidere di separarsi di nuovo, divisi dalla carriera solista di Ozzy e la fiction degli The Osbourne, grande successo negli USA. Dall’altra parte Iommi ha saputo sfornare ancora grandi progetti solisti, ma anche un clamoroso ritorno con Appice e Dio (e ovviamente Geezer) mettendo in piedi una band che, omaggiando un loro grandissimo album del 1980, si fece chiamare Heaven and Hell. Un raccolta “The Dio Years” con tre inediti e un tour di successo, spinge i quattro anche ad incidere un album nuovo, intitolato "The Devil you know", e tra il 2007 e il 2009 la band è piuttosto attiva fino alla tragica notizia della malattia prima e della morte poi nel maggio 2010 di R.J.Dio. L’avere visto l’amico morire ha accelerato la voglia di fare un ultimo disco insieme dei quattro, ecco nel 2013 uscire “13”, prodotto da Rick Rubin ed album di altissimo livello, oltre che primo in classifica in molti paesi. Un tour piuttosto esteso venne annunciato, e sembrava che la band fosse intenzionata a chiudere con un concerto nel luglio 2014 in Hyde Park a Londra. Ma, proprio in quell’occasione, Ozzy e Tony decisero di fare ancora un altro tour, che però sarebbe stato l’ultimo, intitolato “The End”. Del resto, in parecchie e sincere interviste, Tony Iommi ha più volte dichiarato che la sua malattia lo porta ad una grande stanchezza nei viaggi; a quasi 70 anni e con la leucemia non bastano certo limousine ed hotel 5 stelle ad alleviare la fatiche del tour. Ozzy sappiamo che è sempre labile sia di salute, ed anche mentalmente, un personaggio che difficilmente porta a termine tutte le date dei tour (già negli Stati Uniti per una forte sinusite sono state spostate delle date). Peraltro poco prima della parte europea del tour, Ozzy e la moglie Sharon hanno deciso di separarsi perché il vecchio reprobo tradiva quest’ultima con una donna più giovane. Non sappiamo se tutto fa brodo, basta farsi pubblicità per campare meglio, però siamo curiosi di vedere se le prestazioni live di Ozzy ne risentiranno. Il “The End Tour” (sottotitolo: l'ultimo tour della più grande heavy metal band del mondo) rappresenta quindi il canto del cigno dei Black Sabbat, ed io, per potermeli vedere un’ultima volta, mi sono spostato fino alla Laszlo SportsArena di Budapest, Ungheria, per vederli l’ultima volta. Vi vedo mentalmente già in fibrillazione su questa ultima mia affermazione, del tipo “la solita propaganda per fare tickets”; fanno come altre band che annunciano ritiri e poi vanno avanti (male aggiungo, oppure con turn over decisamente strani come quello degli Scorpions neanche un paio di anni fa) per diversi anni. No, purtroppo carissimi lettori, credo sia probabile, (ovviamente ci auguriamo che mister Iommi continui a scrivere canzoni e che Ozzy faccia magari ancora un tour solista) che il nome Black Sabbath associato ad un tour finisca in questo 2016. Qui a Budapest, tra i discendenti di Attila, va di scena dunque quello che sarà il nostro ultimo abbraccio alla creatura diabolica del Sabba Nero, e sarà interessante constatare come la band abbia deciso ovviamente di puntare sui classici (il brano più vecchio che verrà suonato “Dirty woman”, è del 1976, cioè ben trenta anni fa !) lasciando da parte canzoni del validissimo “13”. Prima del concerto viene ricordato con un spot pubblicitario che nel merchandising ufficiale è disponibile il cd “The End”: 8 canzoni, di cui quattro completamente inedite e tagliate dall'ultimo album studio. Siccome come il maiale, non si butta mai via nulla, anche i riff di Iommi in queste canzoni scartate sono quasi certamente manna dal cielo. I Black Sabbath copriranno con questo last tour quasi tutto il globo, ed arriveranno anche a toccare la nostra penisola, in quel di Verona il 13 giugno 2016, data esaurita ormai da molto tempo, con un sold out fulmineo non appena i biglietti sono stati messi in vendita, ed i pochissimi rimasti nelle settimane successive erano a prezzi da capogiro. Ma noi concentriamoci sulla data ungherese, e che la via del sabba nero ci conduca.
Alle 20 circa sono i Rival Sons ad aprire le ostilità: la band di Long Beach, California, ha dato un po' di pepe alla serata. Non sono certo personaggi di primo pelo, ed il loro stile e look anni '70 è stato di buon intrattenimento. Il cantante Jay Buchanam è sembrato un po' troppo ammiccante forse nel tentativo di rifarsi ad idoli storici come Jim Morrison o Robert Plant, ma è dotato comunque di un buona voce, così come hanno convinto i riff del leader della band Scott Holliday. Sul palco il quartetto vede anche l'aggiunta di un tastierista dalla lunghissima barba e cappello che ricorda gli ZZ Top. Il pubblico risponde all'inizio timido, ma poi anche con un entusiasmo crescente all'esibizione dei Rival Sons, mentre la Laszlo Arena si riempe dei sui 12.500 posti. Ore 21 le luci si spengono e viene proiettato sul tendone nero davanti al palco un filmato animato, con la creazione di fatto di Lucifero che lancia le sue fiammate sulla Terra e la scritta infuocata con il celebre logo della band, si alza il sipario : il concerto dei Black Sabbath e' cominciato ! Pioggia e tempesta, mentre Tomny Clufetos si erge altissimo anche da seduto con le sue lunghe leve a dettare i ritmi lugubri e solfurei della title track storica dei BS, “Black Sabbath” appunto. Geezer Butler sempre in giacchetta grigia impeccabile, sottolinea malvagiamente con il suo basso il clima cupo, mentre a destra troviamo l'inossidabile master of the riffs Tony Iommi in nero come sempre e con tanto di occhiali scuri e crocefisso al collo (e la sua classica Gibson SG). Ozzy è in mezzo, ovviamente davanti al microfono, lucido quanto basta per una prestazione convincente fin dall'inizio, spolverino nero lungo e occhi truccati da renderlo ancor di più principe delle tenebre. La prima canzone dei BS è come un lapide scolpita, un monumento del male misto a terrore e, nell'accelerazione finale, dopo i vari “Oh my God please....” di Ozzy, si mostra al pubblico ungherese uno stratosferico Iommi che con i suoi passettini attraversa avanti e indietro nella parte destra del palco. Il riff psichedelico di Iommi apre “Faires Wear Boots”, in cui tutto sommato Ozzy svolge un buon lavoro : oramai non può essere un caso , il madman oggi è concentrato, sta bene, e naturalmente anche il resto della band ne trae beneficio. La canzone in questione devo dire che è quasi sempre immancabile dalle set-list dal vivo, con i sui cambi di tempo bruschi che mettono in luce ancora una volta anche la parte ritmica .Più volte nel corso della serata, prima di presentare la canzone che si accinge a cantare Ozzy dirà “cucù – cucù” suscitando risate di ilarità da parte del pubblico e qualcuno lo imita dalle prime fila e Ozzy gli dirà “you’re crazy like me !!". La terza traccia semina parecchie svenimenti nel pubblico (ovviamente è una dichiarazione volutamente esagerata), perché si tratta di quel capolavoro rispondente al nome di “After forever”, che non molto spesso abbiamo sentito dal vivo. Ozzy invita il pubblico ad un headbanging, che parte quasi automatico in questa canzone, con il riff che si riavvolge su se stesso come una bobina impazzita di Iommi. Il testo di questa canzone è ancora attualissimo, e come non potrebbe essere altrimenti trattandosi del classico tema di cosa ci sia dopo la morte. Clufetos è un marcantonio di potenza e precisione; brutto ed imponente, con la sua barbetta ispida come un caprone, ma tenacemente sempre sul pezzo. Certo dispiace non vedere in questo tour finale Bill Ward, ancora una volta fuori per tristissime questioni di soldi e forse ancora di salute. Ward è un batterista scuola jazz atipico, che sarebbe stato uno spettacolo vedere. In aggiunta trovo ridicolo fare una presentazione in pompa magna al Whiskey Go-Go di Los Angeles nel 2012 con i quattro originali presenti, e poi dopo qualche settimana annunciare il ritiro di Bill Ward. Ma questo fa parte delle contraddizioni che spesso hanno fatto parte nel bene e nel male da oltre quaranta anni dei Black Sabbath (lo sapevate, ad esempio che Micheal Bolton è stato ad un passo per diventare cantante dei Black Sabbath quando non era ancora famoso ?). Ma torniamo al concerto, e volendo fare un piccolo inciso, devo dire che l'acustica della SportsArena di Budapest è favolosa, perché si distinguono perfettamente i suoni del tre strumenti e della voce (oltre alla tastiera di Adam Wakeman dietro le quinte). Infatti la chitarra di Tony nel micidiale intro e riff tagliente di “Into the Void” esplode all'interno dell'Arena come un boato infernale, e si ode benissimo il pulsare del basso di Geezer, come noto un tassello fondamentale dei Black Sabbath, che non hanno una seconda chitarra di accompagnamento. Un altro pezzo ricco anche di cambi di tempo, con un ottimo solo di Iommi ed ancora una volta un Ozzy preciso. La presentazione della band viene fatta da Ozzy sottolineando per due volte i singoli nomi, compreso quello del già citato Adam Wakeman alle tastiere (figlio d'arte del grande Rick degli inglesi Yes, e che aveva in passato già collaborato con i BS). Dopo le prime quattro canzoni possiamo notare come il palco sia molto spartano, non ci sono stati fino ad ora, e non ce ne saranno in futuro, fuochi o effetti pirotecnici. Peraltro dietro il palco, un po' come fanno i Metallica, ci sono primi piani dei Sabbath mentre suonano. Peccato alla quasi totale mancanza dei filmati che accompagnavano nel 2013/2014 la band in tour per ogni singola canzone (tre ricordi su tutti: il ghigno di Papa Ratzinger, Al Pacino che infila il naso nella cocaina e le Fate danzanti che indossano gli scarponi). Altro mega-riff da commozione, quella “d” in cui Ozzy riesce anche a far muovere a destra e sinistra le mani del pubblico ! Solo in "Snowblind" una band come i Black Sabbath possono fare divertire i fan come se fosse un concerto pop in una canzone che parla di adduzioni di cocaina (e del resto non è più un tabù nel chorus gridare “cocaine”, come invece accadeva sicuramente negli anni '70). Certo che il giardiniere Tony ed il buon padre di famiglia Geezer , così attempati e bravi ometti ora, non disdegnavamo di ringraziare nei credits ai tempi di “Vol. 4” la “Grande Coca-Cola Company di Los Angeles” non riferendosi ovviamente alla famosa bibita che per altro come tutti sanno ha sede in Atlanta. Presentata da Ozzy brevemente, in seguito partono le sirene di “War Pigs”, altro pezzo leggendario contro la guerra in Vietnam (ma che vale per tutte le guerre), con i classici battimani che coinvolgono tutti i fan dell'arena ungherese. Una canzone scritta apposta per l'ugola strana di Ozzy, difatti se la si sente interpretata da Dio, per quanto Ronnie fosse e rimarrà un frontman eccezionale, non era adatta per la sua ugola, era scritta apposta per il madman. Grandissima protagonista ancora una volta è la sei corde di Iommi, sempre concentrato sul pezzo (in tutto il concerto ha regalato un mezzo sorriso ed una strana espressione di Ozzy, oltre ad un altro gagliardo e beffardo sotto gli immortali baffi quando lo ha presentato lo stesso cantante). In seguito dal primo album ecco pescare “Behind the Wall of Sleep” pezzo tra i più strani dei BS, ma dall'impatto felicissimo. L'andatura è più scarna e tipicamente hard rock, con parti ritmiche di precisione chirurgica da parte della coppia Butler / Clufetos. Anche da studio, come dal vivo, il finale in dissolvenza del pezzo precedente, si aggancia con il solo di basso che Geezer Butler propone prima del riff, bellissimo e micidiale di Tony in “N.I.B.”, il successivo brano in scaletta ed ennesima perla della discografia sabbathiana. L'acronimo è stato frutto di leggende per anni, più che il malizioso Nativity in Black, nella bellissima biografia di Iommi “Iron Man” si parla di nib inteso come “pizzetto”, riferito appunto allo stesso look di Geezer. In ogni caso grande canzone, con un basso monumentale e con un chorus molto melodico di Ozzy e, come sempre a mettere una pietra tombale un chitarra fenomenale di Iommi. Chi vi scrive si è entusiasmato parecchio in seguito a questa combo, sulla presentazione di “Hands of Doom”, gradissimo pezzo sull'album “Paranoid”, che parla ancora di droga e delle sue conseguenze. Un’ analisi lucida e spietata dei pericoli che si annidavano nell'eroina, fatto non ancora forse noto a tutti in quegli anni di sperimentazioni e scoperte. Un cosa è certa, malgrado il testo parlasse ampiamente delle conseguenza nefaste, i Black Sabbath non si fermarono certo nel farsi del male, ma comunque grazie a non si sa bene quale miracolo divino, tutti e quattro i membri originali sono ancora vivi e vegeti, alla soglia del 70 anni. Su Ozzy Osbourne sappiamo che dovremmo aprire un capitolo a parte, tanto è vero che i medici vorrebbero studiare il suo DNA per capire come possa essere ancora vivo ! Tornando a “Hands of Doom”, l'inizio come sappiamo e compassato, quasi jazz, prima di potenti bordate di chitarra . Ozzy cede vocalmente nella parte veloce centrale, quando il pezzo accelera poderosamente, ma lo perdoniamo , dato che fin ad ora era stato quasi perfetto. Ottimo il lavoro di Iommi, prima che il brano ritorni nel binario iniziale e finisica con il basso del “vegetariano” Butler a chiudere. Un breve accenno della strumentale “Rat Salad” ed ecco Ozzy, Geezer e Tony lasciare il palco per il drum solo di Tommy Clufetos. Diversamente da quello che si può pensare, il giovane batterista (deve ancora compiere 37 anni, circa trenta anni più giovane degli altri) è americano, nato a Detroit. Ebbene, con le sue lunghe leve ci regala un decina di minuti di marasma tra piatti, doppia cassa e tom. Come detto all'inizio, è un portento, non sbaglia mai nulla , tecnicamente Bill Ward era un altro batterista, nettamente superiore come verve e modalità di suono, ma ce ne dobbiamo fare una ragione. Proseguendo, abbiamo il ritmo scandito da Tommy sulla gran cassa, che altri non è che il classico modo per introdurre dal vivo la grandissima “Iron Man” con ovviamente la celebre frase di Ozzy : “I am Iron Man”. All’incedere di questo piccolo e storico capolavoro, ecco esplodere nella Lazlo Arena sia la chitarra di Iommi sia il boato del pubblico che segue con i classici “Oh Ohhh OhhhOhhh” la melodia della canzone. Monolitica e monumentale come la prestazione di Tony, davvero Uomo di Ferro come la sua autobiografia. Finale ingigantito dalla trivella maciullante di Geezer, che muove le sue dita velocissimo sulle corde del basso, con Tony che ci grazia di un suo solo oramai classico. Dio benedica per sempre suo zio, che gli regalò un disco di un chitarrista belga che suonava con tre dita, fatto che fece risalire di morale il giovane Tony Iommi dopo un grave incidente sul lavoro dove perse due falangi. L'accordatura bassa e un paio di ditali fecero il resto, creando il suono cupo e monolitico della chitarra di Tony, sound che ormai hanno scopiazzato e reinventato tutti più o meno, e che ha influenzato centinaia di musicisti. Il brano più recenti dei Black Sabbath come dicevamo è “Dirty Women” , presente su Technical Ecstasy del 1976, un brano i cui sale in cattedra sempre lui, il barone nero del Metal con la M maiuscola, tra solo e riff giganteschi. Anche qui Ozzy chiede al pubblico un movimento di mani sincopato, a cui rispondono ovviamente in massa i fan. Successivamente Ozzy fa il classico giochino con il pubblico, che se risponde ai tre solleciti del cantante ha diritto ad un ulteriore canzone, chiaro che sia tutto un po' retorico e che il brano verrebbe suonato comunque, ma tutto fa show, e considerando la gargantuesca caratura di ciò che stiamo vedendo, va bene così. Se simbolicamente il metal è nato con i Sabbath, allora la firma autentica è in “Children of the Grave”, monumentale pezzo del 1971 presente su “Master of Reality”. Il basso maciullante di Geezer è seguito da un riff monumentale di Iommi, che scatena la folla e la batteria furiosa di Clufetos. Sullo sfondo un mare di teschi umani sembrano fissare il pubblico mentre corna si alzano al cielo nella parte più doom della canzone, prima che Tony ci riconduca al mare della desolazione. La band saluta il pubblico una prima volta, classico clichè per ripresentarsi poco dopo sul palco con l'unico e scontato encore in programma. Quando Ozzy chiede al pubblico se vuole un altra canzone è chiaro che ci troviamo di fronte al singolo e titolo di un album più famosi dei Sabbath, la mitica “Paranoid”. Dopo un breve arpeggio Tony piazza il celebre riff, con tutti quanti a cantare insieme a Ozzy le strofe di questa celeberrima canzone che, peraltro, non ha un vero e proprio ritornello. Stiamo vedendo la storia prendere vita sotto i nostri occhi, e non possiamo che gioire con essa, ed essere grati di poter ancora vedere rockstar come loro suonare ed infiammare il palco per noi. Gran finale con tutta la band a chiudere tra sorrisi e vari “God bless you all !” di Ozzy.
Sullo sfondo esce la scritta “The End” con ai lati un classico artwork dei Sabbath (il simbolo di un angelo caduto) e mentre la band saluta il pubblico di Budapest (sulle note di “Zeitgeist” dall'ultimo album) una lacrimuccia compare nei nostri occhi, possibile che la lunga carriera della band di Birmingham sia giunta veramente al termine ? Se così è stato, questa ultima data in Budapest è stata di altissimo livello, un’ ora e quaranta circa, un concerto accettabile come durata, se consideriamo età e acciacchi fisici vari. Certo passare dagli Iron Maiden ai Black Sabbath, da Berlino (dove sono stato la giornata precedente a vedere Steve Harris & soci) a Budapest, si scoprono due mondi diversi. In comune vi è certamente una grande professionalità di base, e spezziamo una lancia dunque al sempre criticato Ozzy, dall'altro lato chiaro che mentre Bruce Dickinson conserva un dinamismo invidiabile ed un rapporto con il pubblico strepitoso, il madmen invece è storicamente molto meno mobile e parla molto di meno ma, per onestà, bisogna anche aggiungere che tra i due ci sono ben dieci anni di differenza. Il carisma di Tony invece viene emanato dalla sua presenza scenica, alto con i baffi e con questi rari sorrisi sono più che sufficienti per incutere un timore reverenziale. Geezer Butler non è più il folle scatenato che riconosciamo in qualche pallida foto in bianco nero dei primi anni '70, quando era magrissimo e con gli occhi spiritati, ma rimane un monumento al basso, uno dei pochi a suonarlo ancora con le dita (proprio come Steve Harris ed il povero Cliff Burton) ed uno dei pochissimi musicisti rock che, non appeni senti una nota da lui eseguita, lo riconosci subito. Così come ho amato alla follia la chitarra di Tony, amerò sempre il tipico suono di basso di Geezer. Da qualche ora Budapest è sotto una pioggia scrosciante, a rendere ancora più triste il commiato, si percepisce quasi una sorta di tensione emotiva, dovuta alla quasi certezza di non potere più rivedere questa band. Abbiamo visto in albergo e per le strade fan giovani (e questa è la forza che traina i successi dei concerti), ma anche molta gente dai capelli grigi, personaggi non indifferenti con anche 50 candeline spente, il richiamo delle generazioni storiche è un po’ una tendenza degli ultimi anni, ed è inutile dire che vi scrive abbia trovato positivo questo fatto, non essendo più giovanissimo. Grazie Black Sabbath per aver inventato un genere (e diversi sottogeneri) che noi tutti stimiamo e amiamo, grazie per averci regalato canzoni immense che hanno superato il test del tempo, grazie per avere lasciato un eredita musicale impressionante per le giovani band di oggi. Lunga vita al Sabba Nero, e chissà che il genio figlio di gelatai italiani emigrati nelle midlands inglesi non sappia sorprenderci ancora con qualche nuovo progetto.

1) Black Sabbath
2) Faires Wear Boots
3) After Forever
4) Into the Void
5) Snowblind
6) War Pigs
7) Behind the Wall of Sleep
8) N.I.B
9) Hand Of Doom
10) Rat Salad
11) Iron Man
12) Dirty Woman
13) Children of the Grave
14) Paranoid

