AC/DC + Vintage Trouble

Live at Autodromo Enzo & Dino Ferrari (Imola)

A CURA DI
LORENZO MORTAI & LUCIA ROSSI
19/07/2015
TEMPO DI LETTURA:
9

recensione

AC/DC: Autodromo Enzo e Dino Ferrari, Imola 9 luglio, 2015. Riuscire a descrivere le miriadi di sensazioni che si provano solo a pronunciare queste parole è un’ardua impresa, figuriamoci assistere in prima persona a questo concerto! Soprattutto se si tratta della prima presenza ad un live della band. Nel mio caso invece è la terza volta che assisto a questo “avvenimento”, e la seconda volta in Italia, considerando che l’ultima circostanza in cui sono stata travolta dal rock del quintetto australiano è stata nella tranquilla e verdeggiante capitale della Norvegia, ad Oslo, in occasione del “Black Ice Tour”, il 30 maggio del 2010. Chi ha avuto il piacere di conoscere ed apprezzare la band dal vivo sa esattamente cosa sto per descrivere: una gigantesca festa a suon di musica, luci, colori, effetti speciali ed esplosioni pirotecniche.  La location, come già accennato, è l’Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola. Le dimensioni del palco sono impressionanti: 45 metri di lunghezza ed una profondità di 26 metri, 8 maxischermi, il tutto distribuito su un’area di circa 100,000 metri quadri, un muro di amplificatori Marshall sul palco che, oltre alla loro funzione pratica,  fungono anche da “scenografia”. Nonostante queste cifre, a mio avviso l’Autodromo in questione non è il  miglior posto che abbia mai visto per un live di queste portate, ma alla fine tutto è andato bene, ed è questo che conta; la fortuna più grande la hanno avuta, probabilmente, i primi 10.000 accorsi all’ingresso, cui era stato riservato uno spazio sotto il palco, con tanto di braccialetto di riconoscimento (una cosa che ha fatto storcere il naso a molti, ma giusta, considerando che il prezzo del biglietto era fisso, e valeva semplicemente la regola del “chi prima arriva, meglio sta”). Nella parte inferiore della platea, quella in cui si è piazzata poi la maggior parte della gente, erano presenti rivenditori di vettovaglie, bevande e generi di prima necessità per affrontare il torrido caldo che ha attanagliato il pubblico nelle ore prima del concerto. Tuttavia, come sempre, ci siamo ritrovati a dover affrontare prezzi gonfiati all’inverosimile, persino per una semplice bottiglietta d’acqua, ma si sa, quando si va ai concerti ormai, dobbiamo far l’abitudine ad assistere a tali scene. Tralasciando la spesa monetaria, erano presenti anche due enormi tendoni per la nebulizzazione dell’acqua (al fine di mantenere le menti fresche per il concerto), anche se erano costantemente preda di una massa informe di mani, braccia e gambe, ed era presente anche una accoppiata di stand merch, uno al di fuori della zona concerto, ed uno poco prima di entrare. Voler spendere due paroline sul merch di quel giorno (ovviamente ufficiale), sarebbe come sparare sulla croce rossa, quindi proseguiremo oltre dicendo semplicemente che le t shirt e le felpe esposte sarebbero state da comprare se fossero state più economiche, almeno per le stampe presenti sopra. Divertente invece il banco mobile che vendeva le classiche corna luminose, e che quel giorno, durante le ore notturne del concerto si è visto molto bene, ha fatto affari d’oro.   

Alle 19:45 in punto una voce annuncia e da il benvenuto al rhythm and blues dei Vintage Trouble, un gruppo americano di Los Angeles, California. La band, sebbene molto giovane, essendosi formata nel 2010, esordisce con High Times (They Are Coming). La scioltezza e la padronanza del palco da parte del bravissimo cantante, l’afro-americano Ty Taylor, già emerge dal brano iniziale. Con ammiccamenti vari ed un elegante “savoir faire”, la loro musica riesce a trascinare anche gli spettatori più distratti. Si capisce che il pubblico è con loro quando la fiumana di gente davanti al palco comincia a battere le mani al suono della musica. E’ la mia impressione, o sembra di aver fatto un passo indietro nel tempo? Il pezzo che segue, Blues Hand Me Down, sembra provenire direttamente dalla Detroit dei mitici anni 50-60, quella della Motown Records tanto per intenderci. “Everybody feelin’ sexy?” (vi sentite tutti sexy?) esorta il vocalist della band. Ed il pubblico è con lui, anima e corpo! E subito attaccano le note di Total Strangers, un brano con un groove incredibile. Il giovane cantante dialoga con il pubblico, in maniera intima, confidenziale, confessa che sono felici di esser di nuovo in Italia…E’ il turno di Still and Always Will, un pezzo di puro e semplice rock’n’roll, musica a cui non si riesce a non ballare, nonostante la cappa di caldo che ancora incombe sull’Autodromo. Ed è proprio sul tempo che cadono i suoi discorsi, e dice che, essendo la band di Los Angeles, sono loro che hanno portato il sole dato che la mattinata aveva visto tempo incerto.  Il pezzo che segue Angel City, California è tratto dall’album di debutto della band, 1 Hopeful Rd. Un vero e proprio tributo alla loro città natale, L.A. A questo punto mi sembra davvero di aver fatto un salto spazio-temporale e di trovarmi ad un festival californiano, come gli enormi raduni hippy di settantiana memoria. Quando chiede al pubblico quanti tra loro sapessero fare “the wave” (l’onda), gli spettatori davanti al palco in tutta risposta alzano le braccia creando un effetto onda sorprendente, e subito dopo un intro di slide guitar apre il pezzo Run Like The River. Mentre il pubblico batte le mani all’unisono con la musica, la chitarra solista del gruppo, Nalle Colt, sfoggia e fa cantare la sua sei corde con maestria, ed il cantante si tuffa sulla folla con uno stage diving pazzesco, surfando sul pubblico in maniera divertente (ed un po’ incosciente!). “Vi state divertendo?” Certo che sì!! Il pubblico in tutta risposta inneggia un coro da stadio, mentre il vocalist annuncia gli headliners della serata e presenta i membri della band. Ultimo brano dei Vintage Trouble è Strike Your Light (Right on Me), dove chiede il prezioso aiuto dei fans a sostenerlo ai cori. Ed il pubblico non si fa certo pregare! Sono le 20:25 quando la simpatica band di showmen lascia il palco, nel bel mezzo di uno scroscio di applausi. A questo punto la sottoscritta ne approfitta per farsi un giretto intorno alla “Collinetta Ecologica” dove sono appostata e rifocillarmi a qualche postazione di panini, bibite e quant’altro. E' stato bello comunque vedere una band di cui a molti forse non interessava niente, aspettando il main event, riuscire comunque a mantenere l'attenzione su di sè durante l'esibizione, e farci passare un bel momento prima del concerto vero e proprio; i VT lo sapevano bene, e non hanno azzardato troppe pretese, sono saliti sul palco e hanno fatto il loro show, cercando di coinvolgere il pubblico sottostante. 

Tracklist:
 

1) High Times (They Are Coming)
2) Blues Hand Me Down
3) Total Strangers
4) Still and Always Will
5) Angel City, California
6) Run Like the River
7) Strike You (Light On Me)

Alle 21:20, in mezzo ad una fiumana di “corna lampeggianti”, ha inizio il concerto/evento che tutti attendavamo, l’esibizione dei nostri amati australiani, gli AC/DC. Il palco si presenta come un enorme semicerchio sovrastato da due grandissime corna luminose, da sempre simbolo della band di Angus e Co. I due megaschermi alla destra e alla sinistra del palco e quello centrale trasmettono le immagini del primo allunaggio della storia, con le famose parole di Neil Armstrong “un piccolo passo per l’uomo, un grande balzo per l’umanità”. Poi parte come un razzo il meteorite AC/DC: una incandescente palla di fuoco che attraversa l’atmosfera, inizia il conto alla rovescia prima dell’impatto, e il meteorite viene a “schiantarsi” proprio sul gigantesco palco dell’Autodromo in mezzo ad una pioggia di fuochi d’artificio. Il pubblico è in delirio!! Partono le note della title track dell’ultimo album della band, Rock or Bust. Sui megaschermi l’immagine di Angus con l’immancabile divisa da scolaretto color blu cobalto e cappellino abbinato, che comincia a far cantare la sua Gibson SG “diavoletto”, mentre il pubblico accompagna il pezzo con battito di mani e urla di gioia. Rock or Bust, ovvero “rock oppure rovina”. Il messaggio che la band vuole trasmettere è semplice ma efficace: o siete con noi oppure…peggio per voi!! Scherzi a parte, il pezzo si è già collocato tra i grandi inni al rock’n’roll da parte della band. “Buonasera Imola!!!” esordisce un Brian Johnson in forma smagliante, con l’inseparabile berretto calato sugli occhi e una mise total black. E la gran festa prosegue con Shoot To Thrill, un altro rocker che scuote e fa ballare gli oltre 90.000 fans (compresa la sottoscritta) presenti all’Autodromo. Durante l’esecuzione del pezzo Angus ci regala il suo famoso “duck walk”, ed il pubblico impazzisce letteralmente!! Gli AC/DC sono una perfetta macchina per fare musica, sanno bene cosa vuole e cosa si aspetta da loro il pubblico, e loro non si risparmiano assolutamente! Dopo ogni brano eseguito con professionalità e precisione maniacale, qualche secondo di pausa prima che la macchina da guerra AC/DC si metta di nuovo in moto per regalarci altri highlights della loro vastissima produzione discografica. E’ la volta di Hell Ain’t a Bad Place To Be. Sui maxischermi si alternano le immagini dei membri della band, da quelli storici (Angus Young, Brian Johnson e Cliff Williams) alle “new entries”,  Stevie Young, nipote di Angus e Malcom, e Chris Slade, che ha di fatto militato nella band già in passato, svolgendo il ruolo di drummer dal 1989 al 1994. E’ di nuovo Angus al centro dell’attenzione, quando da vero “ragazzaccio” fa le corna ad una folla adorante e urlante. Non appena attacca l’intro di Back In Black,  dall’album omonimo che fu una specie di “battesimo del fuoco” per Johnson, i fan si scatenano saltando su e giù a suon di musica e partecipando ai cori. A questo punto del concerto è ormai abbastanza buio e si può apprezzare il gioco di luci che illuminano il palco e tutto il Paddock Rivazza, la zona del prato antistante il megapalco. Il pezzo che segue nella scaletta della serata è Play Ball, la seconda canzone tratta da “Rock Or Bust”, l’ultimo lavoro della band. Purtroppo la resa live del pezzo non è delle migliori, e il sound nell’insieme sembra un po’ scordato, l’unica “pecca” a mio avviso di un concerto a dir poco strepitoso. Ma ai nostri amati australiani si perdona tutto, quindi eccoci di nuovo a saltare e a cantare tutti insieme il chorus di Dirty Deeds Done Dirt Cheap, mentre Angus corre su e giù per il palco, vestito da bravo scolaro con  cravatta e divisa, per la gioia dei circa 92.000 fan. Dopo il pezzo, approfitto della pausa un po’ più lunga del solito per cedere la “penna” al mio amato collega, Lorenzo, che proseguirà il resoconto della serata.  Le luci si spengono di nuovo, l’attesa si fa spasmodica, mentre le mani cominciano già a battere i palmi senza neanche che il brano sia partito; ad un certo punto, fulmini e saette invadono il palco, gli schermi sembrano prendere fuoco dall’elettricità che si respira, Angus entra e…intona uno dei riff più riconoscibili della carriera AC/DC, parliamo ovviamente di Thunderstruck. Il pezzo incede, avanza, il popolo inizia a cantare e non la smette più, e quando Brian intona il ritornello, si salta, la folla si spinge l’una contro l’altra in un immenso mare oceanico di mani e corpi che si muovono all’unisono, e dalla posizione in cui ero io (appena dietro le torri di Delay), diciamo che l’ho sentito tutto scagliarsi verso di me. Finita la botta di elettricità che molti aspettavano (me compreso), è il momento di riposarsi un poco, giusto qualche minuto, prima di mettere l’orologio indietro e fare un po’ di Rock’n Roll ad alto voltaggio con High Voltage. Direttamente dal 1974, anno di pubblicazione del disco omonimo e primo lascito degli Ac Dc nell’olimpo del Rock (se non consideriamo il disco precedente, rilasciato solo in Australia e Nuova Zelanda), la canzone non risente affatto del tempo, è impregnata, ancor di più di tanti brani successivi, di quella matrice Blues/Rock’n Roll anni ’50, che fa letteralmente ballare il pubblico di Imola, con Angus che si diletta nuovamente nel passo dell’oca, e che studia tutto il pubblico con la massima cura, quasi come se ci stesse sfidando a fare più di quel che stiamo facendo adesso. Con stile e classe innata, come la formazione australiana ci ha abituato in tutti questi anni, si prosegue a ruota con un altro pezzo che fa spaccare l’autodromo in due, il palco trema sotto le possenti note di Rock’n Roll Train, tratta dall’album del 2009 che riportò dopo anni gli AC/DC in Italia, a Udine. La scossa ci arriva direttamente nel cervello, Angus comincia a spogliarsi (sappiamo bene cosa succederà quando rimarrà in pantaloncini, ma ne parleremo più avanti), le sue mani si muovono con una maestria che, per me che li seguo da tanti anni, ma soltanto su vinile o nei video, stupisce per eleganza e tocco; le sue corde vengono plettrate con una energia e un tocco così morbido al tempo stesso, che in alcune occasioni sembra veramente che sia un’estensione del suo braccio, tanto sono fusi insieme. Brian Johnson invece, come ormai è abituato, zompetta da una parte all’altra come un ragazzino, incitando, cantando e saltando assieme al pubblico, con un sorriso smagliante quando i suoi occhi si posano sulla folla che è accorsa a vederli. Silenzio di nuovo, ed è bellissimo vedere come i giochi di luce sul palco cambino in continuazione, ci sono colori di tanti tipi, e se a qualcuno la struttura era sembrata “niente di che” durante il giorno, appena le luci si sono accese, si è ricreduto. Il silenzio dura poco, molta della platea non si accorge che un filo d’acciaio sta calando qualcosa, qualcosa di enorme e massiccio, una campana. La campana si muove, intonando la sua melodia di morte (campana che, peraltro, reca marchiato a fuoco il logo della band, e che è veramente funzionante, il gruppo se l’è fatta realizzare appositamente per i live), e tutti sappiamo bene che cosa ci aspetta. Le porte dell’inferno si aprono con Hells Bells, brano certamente in cui non mancano i momenti nei quali impazzire letteralmente di gioia, dai riff all’atmosfera generale che si respira, il tutto sotto quella immensa campana che ci guarda e ci scruta dall’alto. E’ il momento adesso di ascoltare un altro singolo, il terzo, estratto dall’energico Rock or Bust, è la volta di Baptism by Fire; brano dalle forti tinte blues, questo pezzo è in sé molto semplice e lineare, ma comunque fa il suo sporco lavoro, e la delusione di Play Ball se ne è andata, rimanendo comunque stupiti di quanto ascoltare gli Ac Dc dal vivo sia esattamente come ascoltare il disco a casa, non ci sono sbavature, non ci sono limiti, ma c’è assolutamente una tonnellata di Hard Rock che ci si riversa addosso. Dopo la botta nuova, è il momento di un po’ di nostalgia, e quale modo migliore se non con uno dei brani che conoscono anche i non fan della band come You Shook me All Night Long? Qui veramente ho sentito 90.000 persone e più cantare all’unisono, mani in alto quasi a coprire tutta la visuale (e in più di una occasione, almeno dove ero io, è successo), facce felici, qualche lacrima di commozione, ma in generale tanta e tanta allegria, la folla del gruppo australiano è un popolo in festa, una enorme accozzaglia di vite, stili e provenienze diverse, con in comune la passione per il Rock, e all’interno della folla questo si respirava assai bene (mi sono ritrovato a cantare abbracciato a persone che avevo incontrato il giorno stesso, e neanche qualche ora prima dell’inizio). Dalle notti di passione ci ritroviamo nella città del peccato con la ritmica Sin City. Brano anch’esso dalle forti tinte Blues e Rock’n Roll, vediamo qui Angus scatenarsi ancor più di come aveva fatto in precedenza (e non che fino ad ora fosse rimasto fermo immobile!), mentre dietro di lui batteria, basso e chitarra ritmica intonano il ritornello assieme a Brian Johnson, sempre più contento e gioviale con il pubblico, fa finta di stringere mani dall’alto, si muove in continuazione, e danza per noi al ritmo delle sue note di distruzione. Un’altra botta di nostalgia, specie per i fan di primo pelo della band, arriva con un pezzo tratto da uno dei loro dischi più venduti, parliamo di Highway to Hell e del suo Shot Down in Flames. L’occasione del 9 luglio peraltro è particolare, quello stesso giorno sarebbe stato il compleanno di Mr Bon Scott, carismatico ed encomiabile frontman della band per la prima parte della loro storia, scomparso prematuramente e con un vuoto incolmabile dietro di sé. Brian però, e questo va assolutamente sottolineato, non pretende certo, come non l’ha mai fatto, di scimmiottare Scott, piuttosto di rendergli omaggio, ed in questa Shot Down si sente molto bene; il tono è quasi sommesso mentre Brian intona le note della canzone, e si sente ancora meglio quanto tutto questo sia un enorme omaggio al cantante scomparso, l’emotività sale, e noi con lei. Neanche a farlo apposta, dopo la strada per l’inferno, prendiamo quella del lutto, anzi, del nero, grazie al secondo album più venduto della storia musicale, quel Back in Black che consacrò definitivamente gli Ac Dc come una delle Hard Rock band per eccellenza nel mondo, e Brian Johnson come degno sostituto di Bon. L’omaggio a Back Black arriva grazie a Have a Drink on Me; dopo aver eseguito la title track, si prosegue con questo sensuale brano di passione e sesso, in cui Brian si scatena ed Angus con lui, probabilmente ricordando i bei tempi andati, e l’inizio di questo enorme sodalizio che dura da più di 30 anni ormai. Luci spente di nuovo, attesa spasmodica per capire quale sarà il prossimo pezzo, e ce ne accorgiamo quando Angus monta da solo sul palco, intona le note accompagnate da un “Ehi, Ehi, Ehi!”, e tutto il pubblico capisce che stiamo per gettare benzina sul fuoco, anzi, stiamo per far esplodere della dinamite, grazie ovviamente a T.N.T. La folla non sembra stanca ancora, continua a cantare come se non ci fosse un domani, e a muoversi come se tutte le ore di sole prese in precedenza fossero solo un vago ricordo. A questo punto, un enorme pallone gonfiabile fa capolino dall’immenso muro di Marshall che si trova intorno alla batteria, il pallone, non appena si gonfia del tutto, rivela la forma, il viso e le movenze di una sensuale e corpulenta donna, con reggicalze ed indumenti provocanti addosso, le sue mani si muovono, mentre il gruppo intona Whole Lotta Rosie. E’ spettacolare vedere le scenografie che la band tira fuori ad ogni canzone, ogni dettaglio è minuziosamente preparato per stupire e rimanere impresso nella memoria del pubblico, e vi posso assicurare che, per me almeno, sarà assolutamente così. A questo punto, dopo che la donnona in intimo rosso ci lascia con un profumo di sesso addosso da far invidia ad uno strip club, è il momento del pogo selvaggio, e si è scatenato veramente (mi sono ritrovato schiacciato in mezzo alla folla, e non sono mai stato uno che si fa schiacciare ai concerti, ma una folla così enorme e dirompente, ti lascia senza fiato) quando Brian si è erto a profeta del Rock, come Bon ai suoi tempi, grazie a Let There Be Rock. Il brano, si sa, è una botta di adrenalina enorme, direttamente in vena, e il pubblico non se lo fa ripetere due volte, poga, salta, schiaccia e spalleggia quelli che hanno accanto, formando una girandola di puro Rock style. A questo punto, dopo un altro momento di silenzio, incede Angus, completamente solo e nel buio del palco, illuminato solo da un occhio di bue. E’ il momento del suo assolo, che è durato la bellezza di 20 minuti tondi tondi, minuti in cui Young ha mischiato Rock’n Roll, Blues, Hard Rock, Proto Metal, e chi più ne ha, più ne metta. Ho visto un uomo di quasi 60 anni muoversi come un ragazzino, giocare col pubblico grazie alle note della sua “Diavoletto” Gibson SG, montare sulla pedana meccanica rialzata e farsi vedere da tutti, girandolare sul pavimento come un pazzo (esattamente come quando aveva 20 anni), saltare, ballare, muoversi a ritmo della musica che suona, ed il tutto, dopo le coronarie che ci ha fatto quasi saltare, è finito in una enorme pioggia di coriandoli, scroscio di applausi, meritatissimi, e poi di nuovo il buio; che dire Angus, chapeau. Il silenzio però non dura neanche qualche minuto (ci stupiamo di come Angus sia ancora in piedi dopo un assolo del genere, ma poi ci ricordiamo che la sua energia è infinita), che Young rientra con le corna in testa, intona un nuovo solo, stavolta nettamente più elettrico del precedente, luci rosse sul palco, una fiamma arde sul retro, e quando incede totalmente la band, la platea letteralmente esplode per il brano che tutti, compresi gli abitanti delle zone vicine, aspettavano, è il momento di Highway to Hell. Avete presente quei video online, come il live al River Plate di qualche anno fa, in cui, su questo pezzo, si vede letteralmente l’onda di gente che salta a tempo di musica? Ecco, trovarsi nel mezzo di quel delirio è un’esperienza unica, ti trovi a saltare accanto ad uno sconosciuto, ma tutti e due state intonando come pazzi lo stesso pezzo, vi guardate e ridete, le corna al cielo, e il ritmo nella testa, il tutto mentre state saltando a più non posso con Brian e Angus che vi stanno sferzando con un Hard Rock dei più energici di sempre, encomiabile. Terminata la botta di fuoco, pensiamo che sia finita, ed invece no, manca ancora un ultimo brano a darci la botta finale, ed i tre cannoni accanto alla batteria ce lo fanno capire fin troppo bene, la carica di For  those About to Rock (We Salute You), ci investe come un fiume in piena. Il brano ormai, da quando è stato forgiato, è la fine di qualsiasi concerto degli AC/DC, è stato scritto apposta, come apposta sono stati messi gli effetti speciali durante la sua esecuzione, Brian che grida “Fire!”, ed i cannoni sparano scintille, come su un antico campo di battaglia, Angus che continua a suonare come se niente fosse successo, e l’intero palco che, sul finale, deflagra come era iniziato in una pioggia di fuochi artificiali, luci e scintille ovunque, il pubblico in delirio, dal primo all’ultimo, la notte diventa giorno, e lo spettacolo è finito.

Non è stato facile descrivere le sensazioni provate nel posare gli occhi su quella che è una delle band che l’Hard Rock, ormai molti anni fa, lo hanno letteralmente fondato assieme ai Deep Purple, ai Led Zeppelin e a molte altre. Gli AC/DC sembrano essere eterni, non deludono mai le aspettative, e per chi come me non aveva mai avuto il piacere di vederli dal vivo, essere stato fra i fortunati possessori di biglietto (considerando che, come annunciato dalla band stessa, Rock or Bust è in sé l’ultimo tour e l’ultimo album della band, un lascito per i posteri) è stato ancora più gratificante. Il gruppo ci ha voluto lasciare un ricordo indelebile che rimarrà marchiato nella nostra mente per sempre, dandoci una scudisciata di Hard Rock con tutti gli attributi, colpo che abbiamo accusato, preso e portato a casa con noi. Le scenografie, gli effetti speciali, le plettrate di chitarra, le voci e quel sound così Blues, difficilmente verrà scordato da qualcuno dei 90.000 di Imola. Abbiamo posato gli occhi su una band straordinaria, fuori da ogni schema logico, con un’energia e una voglia di far saltare e ballare il pubblico che è difficile trovare in altri frangenti. Presi per un attimo singolarmente, beh, Brian, dopo le svariate operazioni alla gola, ha capito che modulare la propria voce è il mezzo più sicuro per mantenerla fresca e vitale, e così è stato durante il live, sparando a zero sui brani che sapeva benissimo essere i più apprezzati, e mantenendo invece un profilo più “sobrio” durante i brani meno tirati. Il nipote dello sfortunato Malcolm Young (bloccato da una grave malattia, e causa della decisione di interrompere la carriera del resto della band) fa il suo lavoro con maestria e tranquillità, certo non pretende di essere lo zio, ma gli assomiglia in maniera terrificante. Alla batteria purtroppo non era presente Mr Rudd, causa problemi giudiziari, ma il suo sostituto, Chris Slade (reo di essere stato il drummer di album come The Razors Edge) picchia come un fabbro, per quanto, si sa, la parte ritmica non è certo la punta di diamante della band. Punta di diamante, ma neanche, di platino, oro, argento e altri metalli preziosi, è stato lui, il diavolo in divisa scolastica. Angus Young è in forma smagliante, farebbe invidia, e la fa, a tanti chitarristi che hanno la metà o molto meno dei suoi anni, tanto riesce ad essere energico e frizzante, soprattutto quanto è in grado di sopportare due ore di concerto ininterrotte (senza contare la breve pausa dopo il lungo assolo) senza proferire una espressione di stanchezza. E’ la magia del Rock’n Roll questa, quel connubio di Blues e ritmo elettrico che ti entra nel sangue e non ne esce più, ti si radica nel cervello e non ti fa andare via neanche se gli viene chiesto gentilmente. Disagi dunque, come ha sottolineato anche Lucia, della location (non tanto per l’entrata, quanto per l’uscita, considerando la presenza di un unico misero ponte su cui si sono riversati tutti quanti, compreso di camionetta della Polizia che bloccava l’uscita, e le conseguenti enormi code per arrivare al casello, ma si sa, far uscire quasi 100.000 persone non è mai facile) l’evento in sé è stato organizzato con discreta cura per i dettagli ed il benessere dei militanti del Rock presenti, non vi sono stati grossi disagi se non, ripeto, una volta finito il concerto, ma è stato solo un piccolo prezzo da pagare per godersi uno dei concerti più belli che il nostro paese ricorderà per svariati anni, nonché una delle punte di questa estate 2015…Grazie AC/DC!

1)  Rock Or Bust
2) Shoot To Trill
3) Hell Ain't a Bad Place to Be
4) Back in Black
5) Play Ball
6) Dirty Dees Done Dirt Cheap
7) Thunderstruck
8) High Voltage
9) Rock'n Roll Train
10) Hell's Bells
11) Baptism By Fire
12) You Shook Me all Night Long
13) Sin City
14) Shot Down In Flames
15) Have a Drink on Me
16) T.N.T
17) Whole Lotta Rosie
18) Let There Be Rock
19) Solo
20) Highway To Hell
21) For Those About to Rock 
?(We Salute You)