TRIO BASMATI
BASMATIC FEST
Artwork

NIMA TAYEBIAN
21/12/2016











recensione
Quello che andrò a presentare oggi è possibilmente uno dei prodotti più originali che siano giunti alle mie orecchie da un po' di tempo a questa parte. Il disco in questione - in realtà una demo di nove tracce - è il primo parto ufficiale di un duo di Ascoli Piceno, non inscrivibile in un mero e semplice progetto musicale, bensì in un progetto artistico a trecentosessanta gradi. Un gruppo "sinestetico", come mi piace definirlo, capace di fondere musica e arte - in primis figurativa e performativa - in risultati tanto affascinanti quanto unici. Loro sono il "Trio Basmati" (avevo detto un duo? Poi capirete...) e la loro demo chiamata "Basmatic Fest". Innanzitutto c'è da precisare che la demo, a parere dei nostri - Vincenzo Lopardo (batteria) e Davide Laudadio (chitarra ed effetti - riportati sul retro con la dicitura "loop station") può tranquillamente non essere considerata tale, quanto piuttosto un prodotto artistico esente da limitanti e soffocanti etichettature. Effettivamente a giudicare dalla qualità del prodotto - nove tracce non troppo lunghe - davvero sopraffina e parecchio "avanti", stringere, soffocare il tutto in un cappio nomenclativo è davvero mortale. Dunque per evitare di soffocare la poesia sarebbe il caso di considerare il tutto un "prodotto artistico". Il concetto di arte, che i nostri sembrano avere nel DNA (poi scenderemo maggiormente nei dettagli) sembra esprimersi qui con grande raffinatezza: nove tracce libere da schemi, ma prive di cacofonie (i nostri confessano che, pur essendo state tutte registrate a presa diretta, in realtà c'è stata una selezione che ha permesso di eliminare le tracce meno armoniose), in cui si rileggono lontani tribalismi ed eterogenei percorsi sonori, mutuati senza dubbio dalla migliore musica sperimentale (io ci ho ritrovato l'ultimo Lennon, la Krautrock, certa prog e altro). Del resto i nostri - durante uno scambio di idee con il sottoscritto - confessano un amore per la musica a 360 gradi. dalla prog alla new wave, dal rock in generale (vengono fatti nomi importanti quali Hendrix, Beefheart, Zappa) alla dance, dalla etno alla folk, dalla world music al jazz. E quest'ultimo genere assumerebbe nel loro modo di intendere e concepire la musica un ruolo fondamentale, da ricercarsi nel concetto di jam. La jam session è per i nostri di importanza decisiva dato il senso "collaborativo" in nuce a questa semplice parola. Dunque ad un'essenza jazz si sovrappone un approccio ben diverso (vengono in mente i Grateful Dead) in cui la musica è libera di fluire senza alcuno schema portante ma solo portata avanti dal più puro senso dell'ispirazione. Ma è opportuno fare un passo indietro prima di mettere altra carne al fuoco, per addentrarci nella genesi del progetto. Vincenzo Lopardo, lucano di origine e ascolano di adozione, chiamato a svolgere il ruolo di "maestro d'arte" nell'istituto di igiene mentale di Ascoli Piceno ha modo di incontrarsi con Davide Laudadio (originario di Lisbona ma sanbenedettese di adozione) , nel quale questi era impegnato come animatore/educatore. I due non ci mettono molto ad intendersi nei discorsi "arte" e "musica", e da questa comunanza di intenti ben presto i nostri mettono in piedi il progetto del "Trio Basmati", portato avanti sino al 2016 in veste quasi esclusivamente live (è infatti di quest'anno il loro primo parto "fisico", la demo insomma che abbiamo già definito come prodotto artistico non ridimensionandone gli intenti). Ora in molti si staranno chiedendo il perchè del termine "trio" quando abbiamo puntualizzato a più riprese che i nostri sono - almeno apparentemente - un duo. E' bene dunque che vi spieghi più a fondo la genesi del nome. Riguardo alla parola "trio", questa è da intendersi in maniera molteplice: in primis per un eventuale bassista che sarebbe dovuto entrare in pianta stabile e che "avrebbe" dovuto comporre questo trio. Dunque un elemento fantasma. Ma non meno fantasmagorica la seconda lettura, secondo la quale il terzo membro è il "loop" di fondo, articolato da Davide durante le esibizioni, come accompagnamento alla sua chitarra e alla batteria di Vincenzo. Dunque anche qui l'elemento è vacuo, fittizio, ma terribilmente strutturale. Improponibile pensare ad una sua mancanza, essenziale dunque nell'economia del gruppo. Parlando tra noi, a quattr'occhi, è venuto fuori anche un terzo eventuale elemento che potrebbe essere considerato il terzo elemento del "trio", ossia il pubblico. E da qui si ritorna al senso della parola jam, come "partecipazione. Il pubblico partecipa, a suo modo, con la sua presenza, alle performance/esibizioni del gruppo, inserendosi in qualche modo come elemento aggiuntivo e divenendo una "terza parte". Riguardo invece al nome "Basmati" l'aneddoto è meno cervellotico, dato che riguarda elementi effettivamente mangerecci: a seguito di una sessione nella sala prove i due si incontrarono, una volta, a casa di Vincenzo per cena. Vi era quella sera solo del riso basmati come cibo a disposizione, e ad uno dei due (non ci è dato sapere chi) viene la brillante idea di usare quel nome così esotico, "Basmati", all'interno del monicker. Da qui svelato il perchè del nome "Trio Basmati". Un gruppo che, attraverso un nome dadaista e idee molto chiare, ha cercato di sviluppare una visione completa della musica, in cui il canto è abolito (i nove pezzi sono tutti strumentali) perchè considerato da entrambi "elemento di chiusura": non restii alla voce - per quanto non se ne trova nella loro arte sonora - considerano il "canto" invece limitante, perchè "chiuderebbe" un ipotetica vastità di campo immaginifica incasellando tutto entro binari predefiniti. Da concetti, aneddoti di questo genere si può ben comprendere come i nostri abbiano le idee molto chiare su quel che fanno, sui loro mezzi e come svilupparli. Musica colta, dunque, per menti flessibili capaci di abbracciare il concetto della musica nel senso più ampio del termine. Direi ora, considerando che le recensioni di questa rubrica si occupano in primi delle cover dei dischi presi in esame, di concentrarci sulla copertina di questo "Basmatic Fest". "La Donna era nuda sulla testa del Lupo...". Inizierebbe - e volendo essere ermetici - finirebbe così la disamina alla copertina in questione. Queste infatti sono le parole dei due mastermind del progetto per descrivere la suddetta cover art: parole che nell'effettivo non vanno tanto lontano dalla realtà, condensandola e inscrivendola in una frase ermeticamente suggestiva e comunque del tutto adiacente a quanto si vede. Una donna nuda sulla testa di un lupo, è in effetti il soggetto effigiato, in un arancio sparato che tanto farebbe piacere ai cultori della psicologia Gestaltica. Due soggetti, quindi, immortalati dalla fantasiosa penna di Lopardo, in pochi tratti tanto sommari quanto autoconclusivi. Un epifania "gestuale" che in qualche modo da uno spaccato - pur su versanti più "figurativi" - dell'arte di Lopardo, pittore che attinge a più mani dall'informale e dal surrealismo donando frequentemente ai suoi dipinti una componente "biologica". E' in effetti alla biologia, alla genesi di organismi, che dobbiamo pensare guardando le tele di Lopardo, con forme "amorfe" e cellulari che si incontrano e si scontrano in un sapiente matrimonio di colori. E il gusto per il colore non è andato perduto qui, in questa copertina, che pur affidandosi al monocromo (tutto è immerso in un arancio abbacinante) sa colpire ugualmente in una parsimonia coloristica che sa quasi di punto di arrivo. Una scelta che come in Rothko, proviene da territori policromi via via, nel corso del tempo, sapientemente rarefatti sino agli ultimi esperimenti (in Rothko i policromi neri). Sopra alle due figure effigiate la scritta "Basmati Fest", ridotta a grafismi quasi infantili. Ma il tutto gioca bene con le forme quasi archetipe in basso. Nessuna concessione al naif, solo una scelta oculata che rimanda al concetto di "gioco" e "riduzione ai minimi termini". Nessun logo del gruppo è poi riportato nella cover. Il retro, oltre alla tracklist e ai credits, tutti vergati a mano in maniera ancora una volta "fanciullesca", vi è anche una figura - stilisticamente affine alle due riportate in fronte - in caduta libera, in un "corridoio", uno "strapiombo vuoto" determinato a destra dalla punteggiatura, e a sinistra dalla scritta "Hic Et Nunc Music. 2016". A giocare un ruolo essenziale, anche qui, l'arancio abbagliante in cui tutto è virato. Non credo che ci sia molto altro da dire. Rimando perciò tutti i curiosi a procurarsi il dischetto in questione, e a godere della musica - in primis - ma anche della bellezza dell'artwork di cui ho cercato, a sommi capi, di dare una descrizione.

