THE JIMI HENDRIX EXPERIENCE

Axis: Bold As Love

1967 - Track Record

A CURA DI
ANDREA ORTU
19/02/2017
TEMPO DI LETTURA:
9,5

recensione

Abbiamo, in questa sede, abbondantemente parlato delle cover art di album storici dall'indubbio valore - Abraxas, Sgt. Pepper, The Dark Side of the Moon ed altri – ed abbiamo constatato come esse abbiano non solo giocato un ruolo fondamentale per il successo del disco, ma come abbiano addirittura influenzato l'immaginario collettivo ed il suo evolversi, accompagnando il rock nella grande rivoluzione culturale degli anni '60 e '70. Oggi parleremo di un altro album che di storia ne ha fatta parecchia, come d'altronde ognuno dei quattro full length dei The Jimi Hendrix Experience, focalizzando naturalmente la nostra attenzione sull'artwork di copertina. Il disco è il secondo della band, ovvero Axis: Bold as Love. Per capirci, parliamo dell'opera che contiene Little Wing, elemento che da solo rende un'idea dell'eredità – enorme – lasciataci da quest'album. Il titolo riprende in gran parte quello della traccia di chiusura, Bold as Love, ed è traducibile un po' grossolanamente come "Asse: Audace come l'Amore". Per Axis si intende una linea netta, concettuale, che separa e delinea l'amore in tutte le sue sfumature: non solo l'idillio di tante canzonette, ma soprattutto un sentimento, anzi un'ideale, per il quale sono necessari "audacia", coraggio, dolore, sacrificio e follia. L'anima dell'opera si dipinge dunque di una miriade di colori: astratta separazione delle infinite forme di un unico, monolitico concetto d'amore, insieme intimo ed universale. Sarebbe stato davvero intrigante, se il soggetto dell'artwork avesse tenuto in considerazione tale incipit. Invece no. La cover art di Bold as Love glissa totalmente il senso profondo dell'opera per concentrarsi, piuttosto, su coloro che l'opera l'hanno creata: Jimi Hendrix, Mitch Mitchell e Noel Redding. Non una stranezza, ovviamente, ma forse un peccato, considerato lo spessore umano, emotivo e filosofico intrinseco negli intenti della band. D'altronde, Jimi Hendrix era uno di quei personaggi il cui carisma molto spesso anticipa, e talvolta adombra, lo spessore del suo stesso lavoro. Non solo: incerto riguardo la grafica iniziale, il chitarrista decise che l'artwork dovesse riportare direttamente alle sue origini nativo-americane, intento che gli artisti avrebbero, per così dire, aggirato con stile, proponendo una soluzione insieme ironica ed ammiccante, ma soprattutto specchio di una filosofia ben precisa. L'opera è un dipinto frutto della sinergia tra due diversi artisti: Roger Law, di cui parleremo, ed il fotografo Karl Ferris (oltre naturalmente al grafico, David King). Prima di descrivere l'opera, parliamo dunque degli eclettici professionisti chiamati a realizzarla. Cominciamo da Karl Ferris, la cui collaborazione con i Jimi Hendrix Experience comincia ai tempi dell'edizione britannica del primo album della band: Are You Experienced. Inglese, nato nella storica località di Hastings, nel Sussex, Ferris ha maturato la sua sensibilità artistica fin da piccolo, merito soprattutto degli scorci invidiabili della propria città natale. Dopo un periodo passato al collegio d'arte di Hastings, i cui studi influenzeranno per sempre la sua arte, Ferris comincia a praticare fotografia durante il servizio militare, presso la Royal Air Force, esperienza che potremmo definire "d'urto". Assodate così le basi del mestiere, il ragazzo si reca ad affinare le proprie competenze in Canada. Qui, "a bottega" presso Harry Nygard, Ferris comincia a lavorare ai progetti più disparati, assorbendo l'estetica della cosiddetta beat generation prima, e dell'arte psichedelica poi. Quest'ultima, in particolare, risale al ritorno del fotografo in Inghilterra, ed all'incontro con l'allora fotografo ufficiale dei Beatles: Robert Freeman. L'incontro dovette essere catartico poiché, proprio in seguito ad esso, Ferris inizia a delineare lo stile che lo renderà famoso e ricercato: una visione della fotografia in chiave psichedelica come mai s'era vista prima. A seguito di un fortunato progetto fotografico, la sua fama cresce sempre di più, assicurandogli l'apprezzamento dei più grandi esponenti della cultura pop: da Lennon ai T-Rex, da Eric Clapton a Paul McCartney, fino ad arrivare al 1967 ed al fatidico incontro con Chas Chandler, allora collaboratore e produttore di Jimi Hendrix. Pare che il chitarrista rivolse a Ferris queste parole: "stai facendo con la fotografia ciò che io sto realizzando con la musica". Immaginate la soddisfazione, soprattutto a posteriori. E andò proprio così, perché lavorando alla realizzazione delle varie copertine degli Experience, Karl Ferris, la fotografia, l'avrebbe rivoluzionata completamente. Tutta. Nel 1967, a soli tre mesi dall'uscita di Are You Experienced, usciva nel Regno Unito Axis: Bold as Love. Al centro della copertina, il ritratto dei tre musicisti spicca con forza, quasi con violenza, in quell'intricata selva di colori e decorazioni. Quel ritratto è l'elaborazione di una foto scattata da Karl Ferris, la cui versione "grezza" è possibile ammirare all'interno della confezione originale e, talvolta, in alcune particolari versioni o ristampe dell'album. Ma lo scatto di Ferris, la cui carica espressiva e carismatica rimane il fulcro dell'opera, è solo la minima parte dell'elaborata cover art di Bold as Love. La rivisitazione del ritratto fotografico, così come la realizzazione di tutto ciò che vi è intorno, è opera del già citato Roger Law, artista che definire poliedrico non rende l'idea. In realtà Law, la cui specialità è sempre stata l'arte caricaturale, è famoso soprattutto per aver ideato, assieme a Peter Fluck, lo show satirico di marionette noto come Spitting Image. Tra gli anni '80 e '90 il suo programma conobbe un successo enorme, concludendosi tuttavia nel '96 a causa di un fisiologico calo qualitativo. Oggi, Law lavora soprattutto in Cina, dove produce essenzialmente lussuosi vasi di porcellana, disegnati e fabbricati da egli stesso. Decisamente un cambio di rotta inaspettato, che però riporta l'artista ai suoi anni giovanili, quando veniva espulso dalla Cambridge School of Art. Nel 1967, Roger Law era ancora lontano dalla notorietà del suo show televisivo, e tuttavia, nonostante i suoi appena ventisei anni d'età, aveva già un figlio di cinque ed una carriera piuttosto lanciata. Illustratore e cartoonist presso The Observer dal 1962 al '65, e per il Sunday Times nel '66, Law vince il Designer's & Art Director's Association Silver Award l'anno successivo, il 1967. L'evento rappresenta una svolta importante, per il giovane artista, ponendolo in una visibilità tale da fargli realizzare la cover art del terzo album degli Who: The Who Sell Out – non a caso, una copertina dalla dissacrante vena caricaturale. Sempre nello stesso anno, Roger Law realizza la cover art di Axis: Bold as Love. La collaborazione tra due artisti dallo stile diverso, e dalle diverse competenze, dà spesso vita a progetti sbilanciati, a minestroni d'insopportabile estro fine a sé stesso. Ecco, non è il caso di Bold as Love, ove la sinergia tra Ferris e Law lavora alla perfezione sul filo del rasoio, sempre in bilico tra geniale e pacchiano, senza tuttavia scadere mai verso quest'ultimo. Questa, in sintesi, l'opera: Mitch Mitchell, Noel Redding e Jimi Hendrix, i cui volti sono stati ricalcati e colorati, sono al centro di una vivace rappresentazione manierista di arte orientale, ritratti come divinità indù. Bold as Love diviene così una curiosa riproposizione neo-pagana del pagano stesso, in cui il musicista, sfrontato e ricolmo d’ego, si sostituisce alla maestà divina di Vishnu ed alle sue infinite, mutevoli forme. La struttura dell'opera ricalca piuttosto fedelmente un filone iconografico tipico dell'arte sacra indù, identificabile nell'ampio e complesso concetto conosciuto come Vishvarupa. Tale filone, riconducibile alla teofania della divinità centrale indiana, Vishnu, è caratterizzato da una rappresentazione stereotipata e serializzata, al pari, ad esempio, dell'arte sacra cristiana intorno al medioevo. La divinità – che nell'accezione della Vishvarupa contiene l'Universo intero e gli stessi dèi, suggerendo dunque l'unità intrinseca di tutto ciò che esiste – è sempre ed immancabilmente il soggetto principale dell'opera, ed è come da tradizione raffigurata con un gran numero di teste e di braccia. I volti, talvolta ieratici e simili l'uno con altro, sono più spesso rappresentazioni delle principali divinità indù, oppure dei diversi aspetti del divino (la distruzione, la vita, la sapienza, la sensualità, eccetera). Ovviamente, a seconda dell'epoca e dell'interpretazione, possono esservi molte e sensibili variazioni sul tema, ma la rielaborazione svolta da Ferris e Law prende in esame solo gli aspetti più noti, nonché più recenti, di questa grande tradizione artistica. L'illustrazione realizzata dai due artisti è in un formato "non canonico", rispetto al genere di riferimento, data l'ovvia necessità di conformarsi alle dimensioni dell'album. Volendo quindi trovare un primo difetto, pur banale e sostanzialmente marginale, potremmo andare a notare come l'opera venga inevitabilmente spezzata dal formato del disco, non già attraverso una soluzione continuativa (come ad esempio avviene su The Dark Side of the Moon), ma ad una maniera per cui l'illustrazione funziona solo se l'album viene aperto completamente, ed osservato così nella sua interezza. Presi da soli, fronte e retro mostrano inevitabilmente i limiti del taglio. Tornando all'illustrazione, notiamo come alla base siano rappresentate sei donne in primo piano, ognuna delle quali armata fino ai denti. Forse, possiamo ipotizzare, una sarcastica rappresentazione delle groupies che attorniavano i musicisti, o più in generale della "fanbase" della band . Sullo sfondo, subito davanti l'immanente soggetto principale, alcune figure minori sembrano dialogare fra loro. Non è chiaro se queste possano rappresentare alcune figure reali, persone vicine alla band, o piuttosto – come dopotutto sembrerebbe – determinati personaggi della mitologia indiana. In alto, il nome del gruppo campeggia su di un sole caldo e stilizzato, in caratteri pensati per "scimmiottare" la calligrafia tradizionale sanscrita. Poco sotto, come ad incoronare il fulcro dell'opera, sette teste di cobra sembrano seguire la prospettiva multiforme della Grande Divinità; un dettaglio preso paro, paro, da un originale vishvarupa indiano. Ad ogni modo, sia tali soggetti che le sei donne alla base potrebbero tranquillamente essere parte di una canonica, rispettabilissima opera tradizionale, senza "doppi sensi" di fondo. Tutti questi dettagli, puramente decorativi e "riempitivi", estrapolati a forza dall'iconografia originale indiana, contano relativamente poco in termini di comunicazione. Ciò che conta davvero è il soggetto principale, collocato centralmente sul fronte di copertina: la divinità, Vishnu, e quindi l'Universo, il Tutto, l'Essenza di ogni cosa. A tali concetti, per definizione imperscrutabili ed assoluti, l'artista sostituisce la Rockstar per antonomasia, colui che ha fatto non solo la storia della chitarra elettrica, ma la storia del rock: Jimi Hendrix. È un messaggio notevole, derivativo di correnti filosofiche che vanno dall'umanesimo al neo-paganesimo, passando per quella morte di Dio che fu di Friedrich Nietzsche. E se Dio è morto, il super-uomo destinato a prenderne il posto è la rockstar, vero idolo neo-pagano della sua epoca. Tra l'altro l'iconografia di Vishnu, anche e soprattutto filosoficamente parlando, si presta perfettamente non solo a dare spazio a diversi personaggi, ma anche ad inglobare determinati concetti propri della gran parte dei credo, sia religiosi che filosofici. Inutile aggiungere che se tutt'oggi una simile rappresentazione lascerebbe indignate le frange induiste più "integraliste", all'epoca dei fatti proteste, sabotaggi e minacce furono decisamente una gatta da pelare, per la band e la sua produzione. Lo stesso Jimi Hendrix dovette passare sulla difensiva, arrivando a disimpegnare sé stesso e la band da ogni tipo di responsabilità, ribadendo come la copertina avrebbe dovuto avere un richiamo diretto, e non così curiosamente distorto, alle sue origini nativo-americane. Ecco spiegato, almeno in parte, il motivo per cui della cover art di Bold as Love esistono diverse varianti, e non solo in India. Ovviamente, in realtà qui non si tratta di "discriminazione", ma di sfrontatezza nuda e cruda. I colori dell'opera sono caldi, come calde e sature sono le cromie care a Karl Ferris, un'impostazione classica in tutto il filone cosiddetto psichedelico. La rielaborazione pittorica della foto mostra invece volti stilizzati e plastici, idonei senz'altro a "simulare" la sintesi grafica dell'arte indiana, ma altresì indicativi della propensione caricaturale e dissacrante di Roger Law. Insomma, la sinergia tra i due artisti si esprime alla perfezione sia da un punto di vista concettuale, quanto da un punto di vista grafico e stilistico. C'è però dell'altro. Vero, il sottotesto meta-concettuale dell'opera si presta ad una lettura insospettabilmente ampia ed intrigante, carica di quella nuova mentalità che diede vita a suo tempo all'hard rock prima, ed all'heavy metal poi; ma è anche vero che l'idea tutta è fondamentalmente il frutto di una gigantesca, meravigliosa paraculata. Innanzitutto, l'idea di usare l'iconografia indiana dell'India per accennare alle origini indiane, ma d'America, di Hendrix, è al tempo stesso sia una genialata che una notevole furbata. Senza scomodare precursori o fantomatiche realtà underground, già a metà anni '60 andava infatti diffondendosi un certo gusto per l'esotico, per l'arte orientale, il cui approccio da parte dell'occidente era iniziato principalmente con il japonisme francese, passando poi per Manet e Van Gogh fino ad arrivare, con l'avvento del contemporaneo, a personaggi come Hendrix, i Beatles, i Doors e i Jefferson Airplane (di questi ultimi, citerei non del tutto a sproposito il poster per il concerto all'Indian Shrine Auditorium). Indicativa in tal senso anche l'arte di surrealisti come Mati Klarwein, del cui lavoro per l'album di Abraxas, dei Santana, abbiamo già parlato in passato. Ferris e Law non hanno dunque fatto altro che agganciarsi ad una novità sempre più rilevante, nel loro ambito culturale: quella di una controcultura sempre più di tendenza, di un'idea di universalità che tendeva all'annullamento di qualsiasi forma di discriminazione, preconcetto o intolleranza. In un certo senso, l'opera dei due artisti era già derivativa di un'estetica emergente, il problema – se così vogliamo definirlo – è che lo era per puro caso. O meglio, lo era per la leggerezza ed il sarcasmo con cui si approcciava ad una nuova retorica ampia e stratificata. Insomma, quella di Axis: Bold as Love è stata una copertina intrigante, a tratti geniale e senz'altro d'impatto, sottilmente dissacrante ed esteticamente appagante; ma, al contrario di altre storiche cover arts, non ha contribuito a portare alla luce un nuovo linguaggio, né ad esporlo alle masse. Soprattutto, non ha contribuito ad approfondirne la lettura. Quel linguaggio, piuttosto, lo ha compreso ed usato, intelligentemente ma anche superficialmente, regalandoci un'opera che si insinua con disarmante naturalezza nell'estetica del suo tempo, forte di un unico, indelebile messaggio: il rock è un culto, la rockstar il suo sacerdote. Jimi Hendrix, invece, è Dio.