THE BLACK

GORGONI

Artwork

A CURA DI
NIMA TAYEBIAN
26/02/2015
TEMPO DI LETTURA:
8,5

recensione

Parlare di Mario Di Donato significa parlare di uno dei personaggi più rappresentativi della scena heavy/rock italiana. Attivo sin dalla fine degli anni sessanta con una serie di affascinanti progetti (Un Caso Di Follia, Respiro Di Cane, Unreal Terror, Requiem), arriva nel 1988 a mettere in piedi il suo progetto più maturo, prosecuzione dei suoi sforzi nelle precedenti band, ossia i The Black, che, come in molti sapranno, si inserisce in quel crocevia occult rock tanto caro ad artisti quali i Coven, Paul Chain, i Death SS (tanto per fare tre nomi). Partendo dunque da un background doom e heavy, Di Donato infarcisce il tutto con tematiche dal sapore arcano, liriche in latino (avete sentito bene!) e, considerando la sua doppia attività, oltre che di musicista, anche di pittore, adorna i suoi album con copertine davvero immaginifiche ed oscure, per la gioia degli occhi di tutti i suoi fans (davvero molti, considerando che l'artista, in precedenza più underground e relegato a nome di culto, ha saputo con gli anni allargare progressivamente il suo fan-base. Al giorno d'oggi è molto apprezzato anche all'estero, tanto da essere spesso invitato a suonare in grossi concerti, come ad esempio il Malta Doom Festival). Dunque ci troviamo di fronte, indubbiamente, ad un uomo dotato di un genio non indifferente, capace di dare forma alle proprie intuizioni attraverso diverse metodologie espressive e capace di non fermarsi solo ad un "linguaggio", che potrebbe risultare, come per tutti gli uomini dotati di una spiccata creatività, pressochè limitante. Chi conosce Di Donato come musicista, chi ha familiarità solo ed esclusivamente con la sua proposta musicale, sicuramente ignora il fatto che questi, partito da basi artistiche (ha frequentato il liceo artistico) ha avuto modo di studiare sotto l'egida di grandi nomi quali Remo Brindisi, ed Ennio Calabria. E ha avuto come compagno di corso quel grande Andrea Pazienza destinato a diventare uno dei più celebri nomi del fumetto italiano (ricordiamo in tal senso i suoi Zanardi, Pompeo, Pertini). I suoi trascorsi in ambito artistico vengono con gli anni riversati in una brillante serie di epifanie creative, che trovano alcuni picchi assoluti in certi artwork concepiti proprio per la sua ultima creatura, battezzata The Black. E' appunto di una di queste cover che vogliamo parlare oggi, ossia quella di "Gorgoni" (2010, edito dalla Black Widow Records), sino a questo momento l'ultimo parto rilasciato con questo monicker. Dunque, osservando l'opera vediamo come questa sia strutturata su una scena composita impostata su più elementi, con in primo piano una figura eletta a protagonista assoluta dell'opera, che, inequivocabilmente (se anche non conoscessimo il titolo dell'album) identifichiamo con una Gorgone. Per chi non lo sapesse le Gorgoni sono figure appartenenti alla mitologia greca, mostri generati dagli dei primordiali Forco e Ceto (la prima identificata come una divinità che rappresenta i pericoli provenienti dal mare, sorella di Crono e Rea; la seconda personificazione di un terribile mostro marino simile ad una gigantesca balena) che la tradizione vuole di aspetto orribile, con artigli di bronzo, ali d'oro, zanne suine, una corta barba ispida e serpenti al posto dei capelli, peculiarità che è rimasta nell'iconografia moderna. Le sorelle, tre in tutto, avrebbero poi il dono (o la maledizione) di pietrificare con lo sguardo qualunque sciagurato le fissasse negli occhi. Le sorelle portano il nome di Steno, Euriale e Medusa, e rappresentano diverse forme di perversione: Steno quella morale, Euriale quella sessuale e Medusa quella intellettuale. Quest'ultima, unica mortale delle tre, viene uccisa per mano di Perseo, in una spedizione di morte ordinata da Polidette, re di Serifo, intenzionato a sbarazzarsi del giovane per sposarne la madre, Danae. Perseo, dopo aver raggiunto le Graie (o Forcidi, sorelle delle Gorgoni), obbliga queste a rivelargli la dimora dei mostruosi esseri. Armato dunque di sandali alati, una bisaccia (kibisis), un elmo dell'invisibilità, donato da Ade, e un falcetto appartenente ad Ermes, arriva a destinazione e, trovandole addormentate, quindi inoffensive, decapita l'unica delle tre vulnerabile, ossia Medusa. Certo non tutti sono concordi sulla "triade" di Gorgoni: Omero ad esempio, in più di un occasione non manca di sottendere l'unicità di questa figura mitologica. Riguardo a Medusa, alcuni narrano che questa non è sempre stata orribile (tra questi Ovidio) ma che in origine fosse una fanciulla bellissima, punita successivamente da Atena per aver avuto rapporti sessuali con Poseidone in uno dei suoi luoghi di culto. Tornando quindi alla cover vediamo la nostra Gorgone svettare al centro dell'opera con uno sguardo inespressivo, iconico (sembra di trovarci di fronte alla rivisitazione di qualche icona russa, solo che a posto di una Madonna, troviamo lei, la megera con il capo colmo di serpenti). La sua bocca è aperta in una smorfia; lo sguardo si sofferma sulla dentatura, in bella evidenza, decisamente distante dall'iconografia classica e che rispecchia invece la rivisitazione fatta da tanti artisti nel tempo: dunque una dentatura normale, decisamente distante dalle zanne da porco di cui parlano i classici. La testa è cinta da una miriade di serpenti, dipinti senza badare troppo ai dettagli (è evidente che quel che conta, in questo dipinto, è una visione d'insieme), tanto che i motivi decorativi sono risolti con poche veloci pennellate di colore (bianco e violaceo). La Gorgone è ammantata da una tunica, su cui sono presenti dei motivi ripetuti a croce; attorno al collo ha un amuleto, sul quale vediamo la raffigurazione di un volto. A sinistra vediamo, in una zona delimitata da una banda verticale che occupa un sesto della copertina, l'immagine della Gorgone ripetuta per altre due volte: due facce praticamente speculari a quella della protagonista del disco, diciamo pure identiche all'originale, solo riproposte in versione monocromatica (per essere precisi sul bluastro, esattamente come gran parte della cover, a parte la Gorgone centrale). A destra notiamo una serie di donne dallo sguardo severo: anche qui la figura è fondamentalmente una, loopata per diverse volte (tre); non manca anche qui la "banda verticale", che taglia di un altro sesto il dipinto (e vediamo come le figure - due in tutto - all'interno di questa fascia, assumano una colorazione più scura). Le donne sembrano tutte puntare con il proprio sguardo inquisitorio il terribile essere centrale, fissandolo con lo sguardo ieratico di statue millenarie. Terribili ed inquietanti, forse anche più della protagonista del dipinto. Intorno una massa di fronde spoglie, e dietro alla Gorgone, quasi invisibile, una figura ammantata di cui vediamo pochissimi elementi, oscurata dalla banda sinistra. Dunque, pur nella sua difficoltà interpretativa, vediamo come in quest'opera sia forte l'ambiguita del concetto di Gorgone/Gorgoni, l'essenza una e trina di un essere che alcuni hanno definito come mostro singolo, e altri hanno concepito in una blasfema triade. In effetti è difficile capire se le effigi dietro appartengano alle due Gorgoni rimanenti (dunque in primo piano potremmo avere Medusa, mentre nella "fascia" avremmo Steno ed Euriale) o se la fascia dietro simboleggi lo specchio (è un elemento presente nella storia di Medusa: Perseo per ucciderla guarda il suo riflesso nello scudo, dalla superficie "specchiante"), dato che il volto della Gorgone in primo piano e gli altri volti nella banda sono identici. Più probabile che si giochi sull'ambiguità di questi due elementi, e dunque risulta quasi impossibile (per lo spettatore come per il critico) dare un'effettiva veridicità di un'ipotesi rispetto all'altra. A colpire, a parte il soggetto e la sua rappresentazione grafica, è l'utilizzo del colore: la tavolozza ricorre a una gamma ristretta di tonalità, ed è evidente uno stacco cromatico tra la figura in primo piano (la protagonista) e lo "sfondo" con la parte paesaggistica e le figure di contorno: la figura principale è infatti plasmata attraverso cromie perlopiù calde, che vanno da certe tinte arancio (il volto della gorgone, le sue vesti) e rossicce ( i motivi a croce della casacca) a pochi, sparuti tocchi di lilla e viola (certi dettagli del volto della gorgone, alcuni riflessi sui serpenti che ornano il capo della megera) in combinazione comunque con alcuni elementi freddi o neutri (il blu del talismano, l'ocra dei serpenti); il fondo, al contrario, è gestito su toni freddi, bluastri, cianotici, senza nessun tipo di inserimento coloristico aldifuori della ristretta gamma tra il blu ceruleo e un annichilente nero mica, passando per certi grigi. Aldilà di una finta naivetè formale (è estromesso dal discorso qualsiasi elemento "accademico"), Di Donato dimostra di saper ben manipolare la materia pittorica, che utilizza con sapienza per dare forma a concetti altrimenti difficili da esprimere,  per rendere visibili elementi che altrimenti rimarrebbero confinati in un limbo puramente cerebrale ed astratto, ossia quello della sua geniale mente creativa. Grazie ai suoi sforzi in questo campo, il poliedrico artista, da un fulgido esempio di come un creativo, quando ha davvero tanto da esprimere, non debba limitare i propri sforzi in un solo campo, ma dovrebbe spingersi verso una ricerca completa per tentare di esternare il proprio mondo interiore con tutti i mezzi possibili ed immaginabili. Aspettiamo ora di vedere cosa il leader del progetto "The Black" ci riserverà per il futuro. Comunque una cosa è certa: ossia che ne vedremo (e sentiremo) delle belle!!