THE BEATLES

Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band

1967 - Parlophone

A CURA DI
ANDREA ORTU
26/09/2016
TEMPO DI LETTURA:
10

recensione

Sgt. Pepper's Lonely Heart Club Band, per tutti semplicemente "Sgt. Pepper", è uno di quegli album che non necessitano di troppe presentazioni. Parliamo probabilmente del disco più famoso dei Beatles, una raccolta di capolavori in grado di spaziare dal rock psichedelico alla classica, dal pop alla sperimentazione pura, ma forte di quella semplicità - e solidità - che aveva garantito ai Fab Four la conquista della fetta più grossa del mercato discografico. Dopotutto, parliamo di un album che ha venduto oltre trenta milioni di copie. Ed è del '67. L'estetica di quest'opera già di per sé particolare va a braccetto con l'idea di base, ovvero quella del concept album. Se i Beach Boys e Frank Zappa hanno proposto per primi, in ambito rock, il concetto stesso di album incentrato su uno specifico argomento, e se gli Who con "Tommy" ne hanno delineato definitivamente i confini, possiamo allora affermare che Sgt. Pepper rappresenti di fatto un esperimento a mezza via, "né carne né pesce" ma, proprio per questo, capace di incanalare determinati stilemi senza tuttavia rimanervi incatenato. L'idea di calarsi nei panni di una band immaginaria dal background spiccatamente barocco, per l'appunto la "Banda dei Cuori Solitari del Sergente Pepper", ha permesso al quartetto britannico di andare oltre le consuetudini sia in senso prettamente musicale, sia in senso grafico, dando libero sfogo ad un mix di avanguardismi ed ironia davvero unico nella storia dell'arte. Glissiamo i peculiari aspetti di marketing e packaging, come pure l'enormità intrinseca nei contenuti di un'opera al primo posto nella lista dei "500 migliori album" secondo Rolling Stone, ed approdiamo subito all'argomento che ci interessa trattare: la copertina. Partiamo dal presupposto che, nonostante sia considerata da Rolling Stone la copertina più influente di sempre - scalzando "The Dark Side of the Moon", "Never Mind" ed "Abbey Road" degli stessi Beatles - la cover art di Sgt. Pepper non è un'opera d'arte in senso stretto. Quantomeno, non lo è se inquadrata nel contesto dell'arte contemporanea, da cui essa trae ogni singolo spunto grafico e concettuale. In realtà l'importanza della copertina di Sgt. Pepper, famosa quanto e forse più del suo contenuto musicale, non ha nulla a che vedere con un preteso spessore concettuale o artistico, fermo a stilemi derivativi e ad una serie di omaggi, riferimenti e strizzatine d'occhio, bensì ad un discorso ben più ampio e complesso in cui hanno un ruolo fondamentale la società dell'epoca, la decontestualizzazione di un linguaggio ben preciso, la fama stessa dei Beatles e, in definitiva, il passare del tempo col suo senno del poi. Partiamo dall'inizio, ovvero dagli autori materiali dell'opera: gli artisti Peter Blake e Jann Haworth, il fotografo Michael Cooper, ed un personaggio assai di spicco nel panorama londinese dell'epoca, il direttore artistico Robert Fraser. Per capirci, fu proprio durante un'esibizione sponsorizzata da quest'ultimo che avvenne l'incontro tra Yoko Ono e John Lennon, ma fare una lista degli artisti collegati alla sua attività di "mecenate" richiederebbe davvero un articolo a parte. Fu sempre Fraser a dissuadere la band dall'utilizzare l'artwork di The Fool, collettivo con cui i Beatles avevano avuto, ed avrebbero continuato ad avare, numerose collaborazioni. Al posto del famoso design collective, Fraser propose un artista sotto la sua "protezione": Peter Blake. Già piuttosto famoso nell'ambiente culturale britannico, grazie ad opere che fondevano arte tradizionale e media moderni, Blake è ricordato anche e soprattutto per le sue collaborazioni in campo musicale, il cui esempio più noto è naturalmente Sgt. Pepper. Per fare un altro esempio, il suo ultimo lavoro - realizzato nel 2016 alla veneranda età di ottantaquattro anni - è l'artwork di I Still Do, di Eric Clapton. Blake lavorò alla copertina di Sgt. Pepper in stretto rapporto con la moglie, Jann Haworth, artista di origine americana forte di un curriculum ampio almeno quanto quello del marito; una donna forte, capace di dominare la variegata scena pop-art britannica nonostante la giovanissima età, "scoperta", ovviamente dall'onnipresente Fraser. Entrambi gli artisti scelsero come strumento il collage, che nel caso di Sgt. Pepper richiese sia foto famose, facilmente reperibili, sia scatti inediti. Quest'ultima incombenza venne affidata al giovane e talentuoso fotografo britannico Michael Cooper, immortalato dalla storia - nonostante una morte tristemente prematura - grazie soprattutto al suo lavoro per i Rolling Stones e, in seguito, per il leggendario artwork di cui stiamo parlando. Inutile sottolineare la partecipazione di Cooper ai salotti di Robert Fraser, vero? Ebbene, forte del quartetto artistico più ricercato d’Inghilterra, l’altro favoloso quartetto aveva tutte le carte in regola per dare al suo ottavo album qualcosa che fosse ben di più, che non una semplice copertina. Le aspettative, lo sappiamo, vennero abbondantemente superate. La cover art di Sgt. Pepper raffigura i Beatles, nei panni della loro band immaginaria, in una sorta di foto di gruppo assieme ai più illustri e disparati personaggi pubblici, vivi e non. Com’era facile immaginare, Blake scelse la ben collaudata tecnica del collage, a lui familiare, per creare il variegato sottofondo di figure famose e famosissime, ma la composizione, il gusto dell’oggettistica in chiave scultorea, nonché i colori accesi e contrastanti sono chiaramente frutto dell’occhio e della volontà della Haworth, artista a tutto tondo con una naturale predisposizione all’unire gusto estetico e sperimentazione. Idealmente, il nutrito gruppetto di celebrità avrebbe dovuto rappresentare un “pubblico ideale” dinnanzi il quale suonare, anche se di fatto è molto più probabile che le varie figure siano state scelte semplicemente in virtù della fama, nonché della loro importanza sia in un contesto di tendenza (Marylin Monroe, Sonny Liston, Winston Churchill) che di controtendenza (Aleister Crowley, Karl Marx, ed in un certo qual modo Edgar Allan Poe). I Beatles, al centro della composizione in “costume di scena” e baffi posticci, si autorappresentano come una band inesistente ma in carne ed ossa, affiancati dalle statue di cera (allora come oggi proprietà del museo di Madame Tussauds) raffiguranti la band reale, con quell'iconico look al quale tutt’oggi vengono associati i Beatles. Un po’ come dire che l’identità fittizia scelta per Sgt. Pepper è più reale del mito costruito intorno alla cosiddetta Beatlemania, o forse, più semplicemente, un contrasto concettuale volutamente ricercato e di sicuro impatto. Inutile fare l’elenco di tutti i personaggi immortalati dalla copertina, basti ricordare, oltre quelli già citati, alcuni dei più blasonati. Ad esempio: Marlon Brando e Marlene Dietrich, Oscar Wilde e H. G. Wells, Albert Einstein e Bob Dylan, Stan Laurel e Oliver Hardy (Stanlio e Ollio), nonché quattro figure di rilievo legate alla Self-Realization Fellowship, l’organizzazione religiosa del guru Paramahansa Yogananda. Pare che John Lennon avrebbe voluto infilarci dentro anche Adolf Hitler e Gesù Cristo, ma che per ovvie ragioni non fu possibile accontentarlo. Anche Gandhi venne escluso dalla prima versione della copertina. Talvolta i personaggi rappresentati significavano qualcosa, per uno dei quattro Beatles, qualche volta no. Semplicemente, ed è qui che sta buona parte della genialità di Sgt. Pepper, il grande collage di Blake simboleggia un’intera epoca attraverso le sue icone pop, ponendo in auge il messaggio intrinseco della pop-art attraverso il prodotto - artistico ma anche industriale - di una band che di quelle icone faceva  già abbondantemente parte. Dunque perché, come ho già accennato, la cover-art di Sgt. Pepper non è definibile “opera d’arte”, se non in senso lato? Per il semplice fatto che non vuol’esserlo. Quel che Blake e sua moglie hanno fatto, oltre a divertirsi a fare un calderone degli elementi tipici dei rispettivi stili, è stato l’aver preso un linguaggio ben preciso - quello dell’arte contemporanea in generale e della pop-art in particolare - ed averlo decontestualizzato, trascinandolo oltre i limiti della galleria, del salotto, e di una piazza quasi sempre spaesata di fronte all’arte contemporanea, portandolo su un piano diverso sia in termini di comunicazione, sia in termini di mercato. Graficamente e concettualmente, l’opera di cui parliamo non è né innovativa, né particolarmente ricercata. Anzi, è piuttosto il punto d’arrivo d’un messaggio sulla via del manierismo, derivativa sia della carriera dei suoi realizzatori che della pop-art in generale. L’aspetto intrigante, semmai, è constatare come quest’artwork sia quasi una summa di un percorso artistico estremamente ampio, come una sfacciata prova di stile dal sapore post-modernista. Vi troviamo un po' di tutto, dallo spirito caratteristico di alcuni lavori di Robert Rauschenberg, alle sovraccariche metropoli di Paul Citroen, fino a quell'idea di produzione di massa tipica di Andy Warhol. La decontestualizzazione del linguaggio, espediente già usato da un Duchamp o, per rimanere in patria, da un Piero Manzoni, diviene in questo caso un aspetto totalmente fisiologico del ruolo “mercenario” dell’opera, ma non è, come per gli artisti sopracitati, veicolo per qualsivoglia forma di messaggio. Ribadiamo un presupposto ovvio, ovvero che per quanto si dica "pop", l'arte di Blake e compagni era tutt'altro che alla portata del grande pubblico, e mettiamo in chiaro un'altra ovvietà: ciò che ha reso immortale la cover-art di Sgt. Pepper, tanto nel panorama pop che in quello dell’arte contemporanea, è lo spazio che la fama di una band quale erano i Beatles è riuscita a garantirgli, al punto da portare un linguaggio generalmente usufrutto di una nicchia alla portata di tutti. Ed è qui, tutto qui, il grande valore di questa sfilacciata cover-art. Non lo pseudo-complottismo e le congetture nate in seguito, figlie dell'incapacità di lettura di un pubblico troppo impressionabile; congetture, comunque, sapientemente stuzzicate dai Beatles stessi, ben consapevoli delle meccaniche necessarie ad amplificare l'aura di leggenda che ruotava (e ruota) attorno alla band. L'artwork di Sgt. Pepper rappresenta dunque un anello di congiunzione: quello tra l'universo di segni la cui avanguardia interpretava la società, anticipandone ed indirizzandone estetica e pensiero, e quella società stessa, le cui dinamiche culturali divenivano sempre più rapide e mutevoli, sullo scenario di un nuovo tipo di approccio alla cosiddetta "comunicazione di massa". Ancora, attraverso tali dinamiche, l'artwork dei Beatles riuscì a portare la cultura del consumo di massa a stretto contatto con l'arte contemporanea, ormai da lungo tempo chiusa in sé stessa; nei suoi ambienti, nei suoi linguaggi, finanche nella sua presunzione. Personaggi stranoti come Andy Warhol, per dire, erano famosi più in virtù delle loro stravaganze, che non del significato della loro arte. E così, in pratica, complice il particolare dinamismo culturale di quegli anni magici, Sgt. Pepper riuscì laddove oggi alcuni artisti tentano di porre rimedio. L'esempio più incalzante è l'opera dell'italiano Adrian Tranquilli, il quale cerca di portare il linguaggio dell'arte contemporanea al grande pubblico, usando allo scopo l'iconografia più popolare che esista: quella del cinema di genere e dei supereroi americani. Ebbene, senza pretesa alcuna, l'opera di Blake&Haworth era già riuscita nell'impresa decenni prima, e per di più con quei numeri da capogiro che, be', parliamo pur sempre dei Beatles. Così come l'affermarsi della fotografia aveva creato la prima "diffusione virale" della storia (dell'arte) moderna, quella della Gioconda, trasponendo un'opera d'arte dal museo alla cartolina, alla caricatura, ed infine definitivamente al mito, allo stesso modo Sgt. Pepper ha portato a contatto due mondi e due linguaggi, contribuendo a cambiare entrambi per sempre. L'ultimo atto di questa copertina, straordinaria quanto il suo contenuto musicale, l'ha scritto il tempo. Col passare degli anni, grazie al consolidarsi dei miti e delle leggende che ruotavano intorno ai  Beatles, il fitto sottobosco di figure e riferimenti della cover-art di Sgt. Pepper è divenuto fonte di fantasiose congetture, come ad esempio quella, famosissima, sulla presunta morte di Paul McCartney. Il fatto che sul verso della copertina, sulla quale campeggia una foto del quartetto britannico, Paul fosse l'unico ripreso di spalle, diede ai teorici del "Paul is dead" lo spunto più evocativo sul quale poggiare la loro teoria, secondo la quale McCarney sarebbe morto nel 1966 in un incidente stradale. A dire il vero tali ipotetiche "prove" sarebbero decine, sparse praticamente in ogni opera sfornata dai Beatles dal '65 in poi. Sempre su Sgt. Pepper, per dire, la bambola di pezza di Shirley Temple tiene in grembo il modellino di una Aston Martin, identificata dai cospirazionisti con l'automobile dell'incidente. Oltre alle congetture più estreme ve ne sono altre, dalle velleità sataniste legate alla figura di Crowley alle piante di peperoncino, scambiate per piantine di Marijuana (rassomiglianza forse non del tutto casuale, in quel caso). In ultima analisi, la copertina di Sgt. Pepper si rivelò innovativa anche sul piano prettamente "logistico". Fu infatti la prima ad aprirsi a mo' di album, nonché la prima ad aver stampati sul verso i titoli delle canzoni. Anche l'idea di allegare vari gadget, quali baffi finiti, guanti, eccetera, sarebbe stata innovativa, se non fosse che i costi eccessivi di una simile operazione indussero i Beatles a più economiche misure: stampare l'immagine di tali gadget su un cartoncino ritagliabile. Anche così, i costi della copertina superarono di gran lunga la spesa allora prevista per il packaging, ma ne valse decisamente la pena. In tutta sincerità, io non saprei che altro chiedere ad una semplice cover-art, il cui scopo in teoria sarebbe unicamente di esaltare il contenuto dell'album ma che, nel caso di Sgt. Pepper, diviene a tutti gli effetti qualcos'altro, di ben più ampio ed importante: un’ icona della cultura contemporanea che, in un’epoca di cinetico stravolgimento dei costumi, fu in grado di contribuire a cambiare per sempre i canoni stessi dell'estetica e del linguaggio. Molto spesso sottovalutata dai recensori dei Bealtes, i quali talvolta ne parlano come di un "confuso guazzabuglio", quella di Sgt. Pepper's Lonely Heart Club Band non è una semplice copertina. È La copertina.