NIRVANA
Nevermind
1991 - DGC

ANDREA ORTU
14/09/2017











recensione
Ah, il grunge: benedizione e dannazione dell'hard rock, simbolo di una generazione altrimenti priva di riferimenti culturali, vessillo di decadenza per una gran parte della sottocultura metal, ultima incarnazione del più vero spirito del rock 'n roll per tanti altri. Se pensiamo al grunge, pensiamo naturalmente alla Seattle dei primi anni '90, madre della gran parte dei gruppi artefici di tale movimento - che non chiamo, né mai chiamerò, "genere". Da ragazzino me ne piacevano diversi, e per lo più mi piacciono ancora: in primis, i Soundgarden e gli Smashing Pumpkins - abbastanza agli antipodi, mi rendo conto - ma anche Alice in Chains, Pearl Jam e Temple of the Dog; insomma, i più rinomati. Tuttavia, se ripenso a quel periodo è solo una, la band che il mio cervello associa immediatamente al grunge, come in virtù di un radicato automatismo: i Nirvana, senza la benché minima ombra di dubbio. Nessun altro gruppo ha mai rappresentato un intero movimento culturale quanto i Nirvana, e pochi artisti hanno rappresentato una generazione com'è riuscito a fare Kurt Cobain. Buona parte di questo risultato è dovuto a un unico, iconico disco, il secondo di una discografia di appena tre album: il famosissimo Nevermind, capolavoro del 1991 - venticinque anni fa! L'unico modo che ho di parlare di questo album e della sua iconica copertina, è farlo attraverso la mia esperienza personale. Sarò sincero, ho sempre avuto un rapporto conflittuale, coi Nirvana, e proprio in virtù dell'intrinseca connessione fra loro ed il cosiddetto Seattle sound, nonché per la deriva pop dello stesso Nevermind. Il fatto è che ero un adolescente alla riscoperta del rock tradizionale e della sua storia, in un decennio in cui il grunge era già finito da un pezzo ed era divenuto, ironicamente, appannaggio di pochi alternativi o pseudo-tali. Io, con il mio background classicista, vedevo nella sconfitta di un certo tipo di metal anni '80 non un dramma ma, anzi, una possibilità di riscoperta di quel linguaggio anticonformista e figlio del disagio che era stato il caro, vecchio blues. Tuttavia, se il blues nasceva dal disagio reale di un'intera classe sociale - economico, razziale, culturale - il grunge, di contro, nasceva da un disagio vagamente piccolo-borghese, specchio di un'individualità tormentata non già dal degrado delle strade, ma dal conformismo di una vita tanto comoda quanto mediocre - oltre che da depressione, droga e leopardiano "male di vivere". Forse è proprio questo che non sono mai del tutto riuscito a perdonare al grunge, e che istintivamente ho addossato sui Nivana, per non parlare dell'immagine di artista "bello e maledetto" di Kurt Cobain, e di tutto quel materiale posticcio e fastidiosamente teen friendly che vi è sorto intorno. Eppure, quando su Mtv passavano i videoclip dei Nirvana, non potevo fare a meno di apprezzarne il sound greve, le immagini disturbanti, la voce roca e perfettamente sbagliata del cantante. Non essendomi mai posto paletti, col tempo ho imparato ad andare oltre i limiti della mia percezione, e nonostante consideri "In Utero" l'opera più intima di Cobain, ho compreso perfettamente perché Nevermind fosse considerato, a buona ragione, il capolavoro della band di Seattle, a prescindere dall'oggettiva qualità poetica e musicale, e come in realtà tentasse di demolire quella stessa ipocrisia di fondo che rendeva il grunge, a me e tanti altri, così maledettamente controverso. Lasciamo perdere quegli aspetti dell'opera resi pop da inarrestabili meccaniche di mercato, lasciamo perdere pure il tanto decantato teen spirit e la sua rabbia adolescenziale, e concentriamoci sull'insieme, sulla poetica di una band all'apice del successo e su un artista - un ragazzo di soli 25 anni, ricordiamocelo - annichilito da un sistema che ne lacerava lo spirito. Nevermind era soprattutto questo, e nel raccontarlo, raccontava anche quella generazione di ragazzi cresciuta all'ombra di Mtv, educata dalla televisione, dalla cultura delle immagini e, in definitiva, dal culto del Dio Denaro. Ma quando si fruisce di un'opera del genere, prima ancora di ascoltarne la musica, prima di assimilarne le parole, o gli intenti filosofici, ciò che rapisce e cattura il nostro immaginario è una copertina che ne rappresenti il messaggio. E quando un album iconico, come Nevermind, incontra un artista figurativo in grado sintetizzare una vasta poetica in una sola immagine, quell'album diventa cult. Nevermind è un'opera di culto a pieno titolo, signori, che lo si voglia o no, ed il merito, oltre che ai Nirvana, va ad altre due importanti figure professionali: il direttore artistico Robert Fisher, pittore e scultore astrattista, classe 1928, e il fotografo Kirk Weddle, specializzato in foto subacquee. Robert Fisher è stato un peso massimo, nel settore, un artista poliedrico e vecchia scuola, non già un grafico o un illustratore, ma uno abituato a interagire fisicamente sulla forma e il suo significante. Oltre alla pratica, Fisher era forte di un background professionale vasto e variegato, compresa l'organizzazione di eventi artistici, l'insegnamento a livello universitario, e tutta una gamma più o meno eterogenea di mansioni e attitudini. Importante, per lui, fu la collaborazione e l'amicizia con un vero innovatore dell'arte contemporanea, il pittore espressionista-astrattista Hans Hofmann. L'idea per la copertina di Nevermind, stando alle affermazioni dello stesso Fisher, venne da una fugace intuizione di Cobain. Sembra che il cantante e il batterista, Dave Grohl, fossero rimasti affascinati da un documentario sul water birth, il parto in acqua, e che Cobain avesse riferito a Fisher che un'immagine del genere avrebbe rappresentato una magnifica cover art. Inizialmente, l'idea della band era proprio quella d'immortalare un vero e proprio parto, ma viste le ovvie resistenze della label, si preferì optare per la meno drastica rappresentazione di un infante sott'acqua. Impossibilitato a trovare una foto adatta all'idea che aveva in mente, o meglio, a trovarla ad un prezzo ragionevole, Robert Fisher decise di procurarsela da solo, e allo scopo chiamò a sé il giovane e talentuoso Kirk Weddle, la cui specialità sono i ritratti, la pubblicità, e soprattutto la fotografia subacquea, per la quale era fornito di tutto il necessario - e costoso - equipaggiamento. Weddle, che dal vivo appariva come un tipo dotato d'un umorismo tagliente ed una curiosa ossessione per i costumi da coniglio, portò con sé il suo amico Rick Elden e sua moglie, Renata, e il loro bambino di soli quattro mesi, l'ormai famoso Spencer Elden, e in appena quindici minuti confezionò lo scatto divenuto leggenda: il piccolo Spencer è ripreso a tre quarti dal basso, a pelo d'acqua, felice e sorridente per un bagnetto a corpo libero, mentre sullo sfondo il sole illumina la superficie spezzando in due l'inquadratura, offrendo così allo scatto dinamismo e profondità. Di fronte al bimbo, in primo piano, fluttua una banconota da un dollaro agganciata a un amo da pesca, dando l'idea che il piccolo nuoti verso di essa a braccia aperte; una metafora piuttosto palese, nella sua inesorabile immediatezza. Il titolo dell'opera, il cui anticonformismo è sintetizzato nell'incorrettezza grammaticale dell'espressione "never mind", compare in basso a sinistra sotto il moniker del gruppo, graficamente deformato come per effetto dell'acqua. Kirk Weddle racconta così la lavorazione dell'impresa: "...condussi lo shooting insieme ai soli genitori ed un bagnino. Posi la fotocamera, munita di un motore di scatto, in una custodia impermeabile, e la sistemai su di un cavalletto appoggiato sul fondo. Siccome i bambini rappresentano sempre un'incognita, in fotografia, feci diverse prove di luce e di messa a fuoco utilizzando una bambola. Una volta che ebbi appurato di aver ottenuto il framing, la luce e l'esposizione adatti, i genitori adagiarono il loro bambino sull'acqua. Ottenni sette fotogrammi al primo passaggio, e quattro al secondo. Come ci aspettavamo, il bambino iniziò a piangere, dal momento che quella doveva essere la sua prima volta sott'acqua. Il dollaro e l'amo furono aggiunti in seguito. Il risultato è una delle più iconiche album covers degli ultimi 25 anni. Anche la musica all'interno era niente male; ad oggi, ha venduto più di trenta milioni di copie". Oltre alla fotografia del piccolo Spencer, il progetto prevedeva una serie di scatti dei Nirvana nel medesimo contesto, diciamo... acquatico, per i quali tuttavia il povero Weddle dovette penare non poco. Particolarmente malsana, infatti, fu l'idea di fotografare i ragazzi alle dieci di mattina mentre la band era in tour: Kurt Cobain si rese irreperibile, ed arrivò dopo diverse ore solo per addormentarsi in terra per altre due. Di quella nuvolosa mattinata è rimasta una manciata di foto d'enorme valore, con i Nirvana immortalati coi rispettivi strumenti sul fondo della piscina, con in volto l'espressione che avrebbe qualsiasi ragazzo che fa una cosa stupida e divertente. Quegli scatti servivano anche per avere un possibile rimpiazzo della foto del bambino, giacché l'etichetta di David Geffen, quella che aveva in cura i Nirvana, conosceva bene le regole del mercato e le sue piccole, fastidiose ipocrisie. Dopotutto, il ricordo della censura sui bambini del quinto album dei Led Zeppelin, Houses of the Holy, era ancora vivo e vegeto, e la nudità del piccolo Spencer rischiava di suscitare le ire dei soliti perbenisti. Tuttavia, la ferrea volontà del gruppo fu più forte dei timori della label, e l'album uscì così com'era e senza censure; l'unico compromesso, infine, fu un adesivo posto a coprire il pene dell'infante, sul quale pare vi fosse la seguente scritta: "if you're offended by this, you must be a closet pedophile", ovvero, grosso modo: "se questo ti offende, devi essere un pedofilo represso". Ben giocata, Kurt, davvero ben giocata. Nevermind fece il suo ingresso sul mercato supportato da una promozione di primo piano, quasi in antitesi col messaggio che Cobain voleva inviare al mondo, e specialmente al suo mondo: quello della musica. A tal proposito, basti pensare che il titolo provvisorio del disco era Sheep, "Pecora", spietato riferimento al pubblico stesso dei Nirvana, quel popolo di ragazzi evidentemente privi di spirito critico, capaci unicamente di seguire le direzioni che il mercato imponeva loro, grunge compreso. Kurt Cobain era parte integrante del meccanismo e lo sapeva bene, e la cosa lo divertiva e lo straziava al tempo stesso; dopotutto, il successo era giunto inaspettatamente proprio in virtù del brano più ruffiano e teen friendly dell'album: "Smells Like Teen Spirit" - un gran bel pezzo, tanto per mettere i puntini sulle "i". Allo stesso modo, quel dollaro usato a mo' di esca sull'immagine di copertina non era un semplice e vago riferimento al capitalismo, ma qualcosa di più specifico e più profondo, qualcosa di molto vicino ad ogni singolo protagonista di quell'opera. La genialità della foto, tuttavia, sta proprio nell'immediatezza di un messaggio potente ma di facile assimilazione, interpretabile a seconda della visione soggettiva del singolo individuo. Così, la piscina diviene metafora dell'utero materno, mentre la sacralità che normalmente associamo a una nuova vita viene ridicolizzata, annichilita da una semplice e prosaica considerazione: fin da quando veniamo al mondo, siamo schiavi del denaro e delle sue regole, di un invisibile sistema che manovra i fili e decide delle nostre vite; i soldi - o meglio, la promessa dei soldi - sono l'esca attraverso la quale quel sistema ci controlla e ci sfrutta, rendendoci di fatto carnefici di noi stessi. Un messaggio e un'iconografia, specialmente quella in riferimento all'invisibile mano del Sistema, che ricorda da vicino l'altrettanto iconica cover art di Master of Puppets, dei Metallica; ma l'idea alla base, nella sua intrinseca natura anti-sociale, è sempre stata parte integrante del rock, fin dalle sue primigenie radici blues. Il merito di Nevermind, o della sua copertina, è stato quello di riproporre un concetto radicato in ambito artistico e renderlo ancora più incisivo, attuale e forte, mettendolo in rilievo a tal punto da varcare il confine del paradossale e trasformalo, definitivamente, in Pop. Eppure, se osserviamo più da vicino l'opera e ne svisceriamo i contenuti, il significato di quella storica foto cambia in maniera quasi inquietante: ad essere immersi in utero sono ora i Nirvana stessi, mentre il denaro rappresenta il falso riscatto offerto da una società ipocrita e falsa, ma più di ogni altra cosa: stupida. Il grunge, il disagio di una generazione tradita da false aspettative, il crollo del sogno americano del decennio di Reagan, tutta la blanda retorica anti-sociale da cameretta di un certo tipo di musica; tutto questo pesava sui Nirvana e su Kurt Cobain, che ne erano vessillo e distruttori, in una tragicomica contraddizione che non poteva non finire in tragedia. Sul retro di copertina di Nevermind, a fare compagnia alla scaletta, c'è uno dei caratteristici collage che il cantante amava comporre. Su di esso, una scimmia di gomma munita di curiosi accessori - forse un riferimento alla sperimentazione animale - si staglia scura su di uno sfondo ricavato, elenco, da: la pubblicità di una bistecca, illustrazioni dell'inferno di Dante, varie fotografie di malattie vaginali tratte dalla "collezione di foto mediche" di Cobain (?), e infine, nascosta fra anime dannate e vagine, una quasi irrintracciabile foto dei Kiss. L'effetto finale, devo ammettere, è oltremodo affascinante. Il senso di questa malatissima rappresentazione non è tanto palese quanto quello della foto in copertina, ma a tal proposito c'è un'affermazione del filosofo Ralph Waldo Emerson che mi ritorna alla mente: "il conformismo è la scimmia dell'armonia", nonché una strofa di "Stay Away", una delle tracce di Nevermind: "monkey see, monkey do" ("la scimmia vede, la scimmia fa"). Partendo da tali considerazioni, e visto il significato ultimo dell'album, il piccolo primate sul collage assume un senso abbastanza preciso, mentre lo sfondo non fatica a sintetizzare, metaforicamente, gli aspetti più grossolani della società consumistica. Ad oggi, non mi viene in mente nessun'altra opera che riesca ad esprimere, contemporaneamente, sia le contraddizioni di un artista lacerato dalla sua stessa arte, sia uno dei concetti base del rock 'n roll con tale eleganza, forza e precisione, quanto l'ormai leggendaria cover art di Nevermind, il disco che ha trasformato una garage band di Seattle in fenomeno globale, prima che eventi nefasti ne ascrivessero per sempre il ricordo nel mito. L'8 aprile 1994, a est di Seattle, il corpo di Kurt Cobain fu rinvenuto nella serra della sua casa sul lago Washington, insieme ad una lettera di commiato e un fucile Remington M-11. Aveva ventisette anni. Tredici anni dopo, il 19 agosto del 2007, Robert Miles Fisher si spegneva all'età di settantanove anni, lasciando incompiuta una miriade di progetti tra cui un libro sul suo antico mentore, Hans Hofmann, ed altri artisti di rilevo della cultura americana. Il fotografo Kirk Weddle - oggi pressoché un guru, nel suo settore - in un'intervista di pochi anni fa ha detto, col suo immancabile sarcasmo, che Nevermind ha "...decisamente cambiato la mia carriera in meglio. La foto è un'icona. Ho fatto una tonnellata di scatti, ma gran parte del risultato secondo me fu mera fortuna. Prendi questo bambino nel momento perfetto, con una grande idea alla base... e insomma, fu semplice da realizzare. E poi, ti ritrovi una band che in seguito è praticamente esplosa. Se avessi scattato questa foto per un gruppo destinato al nulla, in questo momento non staresti nemmeno parlando con me".

