LED ZEPPELIN
PRESENCE
1976 - Swan Song Records

ANDREA ORTU
31/03/2016











recensione
Nell'estate del 1976 uscì "Presence", il settimo e penultimo album dei Led Zeppelin, progetti postumi esclusi. Pochi dischi rock sono stati altrettanto criticati ed al tempo stesso significativi quanto Presence. Dall'uscita del precedente full length, Physical Graffiti, successe un po' di tutto: dopo il successo di quell'album l'entusiasmo venne smorzato da un grave incidente automobilistico ai danni di Robert Plant e sua moglie Maureen, che rimase gravemente ferita. Anche le condizioni del cantante, benché meno critiche, non erano da prendere alla leggera; tali da costringerlo in sedia a rotelle per un lungo periodo, col conseguente annullamento di qualsiasi tour della band britannica. Un danno sia economico che d'immagine, insomma, per delle rockstar percepite come eteree ed immortali dai propri fans. Tutto questo sommato ad altre problematiche, come un certo allontanamento da parte di John Paul Jones dalle dinamiche del gruppo, o come il generale disagio di tutti i membri della band a causa dell'esilio fiscale, che li costringeva lontano dall'Inghilterra e dai propri cari. Presence riflette appieno quel particolare periodo dei Led Zeppelin, attraverso una più cupa e matura introspezione intrappolata nella necessità di suggerire l'antico spirito della band. La cover art, unita al titolo stesso, è più esplicativa delle contraddizioni dell'album di qualsiasi traccia al suo interno, seppure attraverso una lettura "inquinata" da stereotipi immaginifici tipici degli anni '70. Il progetto per la realizzazione della grafica del settimo lavoro in studio degli Zeps venne affidato a Storm Thorgerson, co-fondatore dello Studio Hipgnosis assieme all'amico e collega Aubrey Powell. Entrambi avevano già collaborato alla realizzazione della cover art di Houses of the Holy e di Led Zeppelin (1969), anche se ciò che ha reso il nome di Thorgerson immortale tanto nell'ambito musicale quanto in quello artistico è la sua storica collaborazione con i Pink Floyd, per i quali realizzò gran parte delle grafiche, compresa quella del celeberrimo album The Dark Side of the Moon. Quelli della mia generazione avranno forse più presente il lavoro di Thorgerson ricordando la copertina di Absolution (2003), dei Muse. Per realizzare le illustrazioni di Presence intervenne anche George Hardie, abituale collaboratore dello Studio Hipgnosis nonché reduce anch'egli dei lavori per i Pink Floyd e per il primo disco dei Led Zeppelin. Il soggetto scelto da questi grandi designer per Presence è un chiaro rimando al film 2001 Odissea nello Spazio, di Stanley Kubrik: un misterioso obelisco nero a forma di parallelepipedo, distinto rispetto al famoso monolito del film dalla deformazione della sua superfice, distorta ed affusolata come se l'oggetto fosse stato "strizzato". L'artwork di copertina mostra l'obelisco adagiato su di un tavolo quadrato, circondato da una sorridente famiglia dall'aspetto stereotipato e borghese, simile a quelle di una certa iconografia americana anni '50 e '60: padre e madre in abito da sera, un bambino ed una bambina nei loro vestitini delle grandi occasioni. A fare da sfondo all'intera scena è una grande finestra di vetro, dalla quale è possibile osservare lo scorcio di un ambiente portuale; trattasi in realtà di un porto turistico artificiale, un'istallazione ideata per l'annuale Earl's Court Boat show, nello spazio chiuso dell'Earl's Court Arena di Londra durante la stagione invernale 1974/75, luogo ove i Led Zeppelin avevano suonato poche settimane prima del disastroso incidente di Robert Plant. Gli artwork all'interno dell'album presentano situazioni varie con soggetti diversi, ma caratterizzate dal medesimo stile grafico e, soprattutto, dall'assidua presenza del misterioso solido nero. Il piccolo obelisco (30 cm circa) ha ovviamente una valenza simbolica, in linea con il misticismo associato a forme geometriche basilari già sperimentato col prisma di The Dark Side of the Moon ed altre illustrazioni ed opere d'arte del medesimo periodo; un'eredità data da un diffuso immaginario pop intimamente legato all'opera di Kubrik, abbastanza cervellotico e ricercato da essere apprezzato dai palati più pretenziosi e, contemporaneamente, sufficientemente popolare da essere colto da chiunque. Il significato dell'obelisco si pone in relazione col titolo dell'album, ovvero "la presenza". Come dissero dallo studio Hipgnosis, "quando penso ai Led Zeppelin, quel che mi viene in mente sono forza e potenza. C'è una presenza ben definita". E' una visione che trae origine più dalla fama della band, che non dall'oggettiva potenza del gruppo, e tuttavia possiede un'intrinseca base di verità: tutti coloro che fino a quel momento avevano avuto a che fare con gli Zeppelin sperimentarono sensazioni singolari, una "presenza" palpabile talvolta rappresentata dalla loro incredibile energia e sinergia sul palco, altre volte dal loro sereno ed astratto modo di porsi nei confronti della vita. Altre volte ancora, più prosaicamente, dalle loro qualità artistiche e professionali, o perfino dai loro eccessi e difetti. Ma l'aspetto più interessante nel concetto di "presenza" sta nel sottotesto dell'album, in quelle problematiche che afflissero la band dall'estate del '75 fino allo scioglimento definitivo, avvenuto quasi quattro anni dopo l'uscita di Presence. Con Robert Plant costretto in sedia a rotelle e la conseguente impossibilità ad esibirsi dal vivo, ovvero ciò che i Led Zeppelin sapevano fare meglio, l'obelisco nero serviva a ricordare a tutti che la band era ancora lì, che il dirigibile volava ancora nonostante tutto e tutti. Un modo invero assai elegante di esprimere un simile concetto, senz'altro più dell'impacciato film-concerto The Song Remains the Same, uscito nello stesso anno di Presence con il compito (anche) di tenere accesa la fiaccola dei Led Zeppelin. E poi quello sfondo, in cui tutto appare posticcio: dai sorrisi della famigliola riunita fino al paesaggio alle loro spalle, non un vero porto ma la ricostruzione di un porto in uno spazio chiuso. Il senso non solo è ambiguo, ma è anche ben poco documentato, dal momento che l'attenzione è sempre stata catalizzata dall'obelisco e dal suo alone di mistero. In rapporto con i vari artwork interni, si direbbe che lo scopo fosse quello di rappresentare l'obelisco in una moltitudine di situazioni diverse, con persone diverse, come a dire: i Led Zeppelin sono nelle case di tutti, la loro presenza è ovunque. Insomma, un'interpretazione in linea con la particolare filosofia della band, secondo la quale l'energia che collega ogni oggetto vivente e non vivente è espressa nel rapporto causa-effetto, nell'Azione, della cui essenza i musicisti sono sacerdoti e portavoce. Un esempio rilevante in tal senso è l'immagine sul retro di copertina, proprio sotto la lista delle canzoni: un'anziana maestra dagli occhi chiusi per la concentrazione, con una mano posta sull'obelisco ed una sulla testa di un giovanissimo alunno, sotto lo sguardo attento di una bambina. Sullo sfondo, accanto alla lavagna, l'obelisco è materia di studio. Se ne evince che l'oggetto misterioso è portatore di conoscenza, un'argomentazione ricorrente nella poetica della band e normalmente espressa attraverso la rivalutazione neopagana della figura di Lucifero, per definizione "portatrice di luce" intesa come consapevolezza. Ma tornando al carattere posticcio dell'immagine di copertina ed alla sua ambiguità di fondo, mi piace pensare che sia una velata e non particolarmente ricercata critica alla società borghese e perbenista, per così dire "squassata" dalla presenza dei Led Zeppelin. Un mondo carico di falsità ed ipocrisia, come quello di una vecchia convinta che tutto quello che luccica sia oro, colpito al cuore dall'arrivo dell'obelisco nero e tutto ciò che esso rappresenta, dalla potenza intrinseca nella sua forma fallica così facilmente riconducibile a quella di un dirigibile in fiamme.

